“E’ morta Felicia Impastato”, una sera apro distrattamente la posta elettronica e saltò dalla sedia. Comincio a cercare su vari siti web (allora non c’erano face book e i social di oggi) e trovo la conferma. Ed era avvenuto addirittura due giorni prima. La sfrenata corsa mozzafiato quotidiana, i mille e più impegni – che purtroppo dobbiamo intervallare con le esigenze fisiche ed economiche personali – in cui siamo immersi portano ad avere notizie così importanti anche con molto ritardo. Un ritardo molto simile a quello con cui riporto queste righe su questo blog. Ma purtroppo, come già scritto, il lavoro, gli accidenti del quotidiano, la salute, la stanchezza pretendono ore e giornate intere. Secondo un proverbio indiano tutto ciò che non viene donato va perduto. E purtroppo siamo costretti a perdere molto.Piansi quella sera, lo confesso, e sentii di aver perso una persona cara, familiare, un pezzo della nostra storia comune. Quella storia che non troveremo mai sui libri ma, come m’insegno una volta Carlo Gubitosa, viene scritta dagli oppressi, dagli ultimi, dagli impoveriti. Quella storia che vive, dal vecchio sindacalismo anarchico alle lotte dei Sud del Mondo contro colonialismo e dittature, dal pacifismo ai solidali di ogni epoca, dalle lotte operaie a quelle più recenti contro la globalizzazione, la guerra permanente e la rapida ascesa delle disuguaglianze sociali. E tantissime altre. Tutte di casa da Felicia.
“Felicia è stata una donna e madre che ha detto di no alle logiche mafiose ed ha dedicato la propria vita al racconto della verità e alla consegna della memoria, in nome del figlio Peppino, militante ucciso perché aveva lottato contro la mafia” hanno ricordato gli organizzatori delle iniziative dal 6 al 12 dicembre a Cinisi (scuole, del Centro Siciliano di Documentazione “Giuseppe Impastato” e Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato) e “nel suo impegno svolto quotidianamente, ha creato comunità, la sua casa è diventata un luogo di aggregazione ed un punto di riferimento per tantissime persone che sognano una società migliore”. Quella casa dove rifiutò di far entrare i mafiosi locali e di cui spalancò le porte a giovani e meno giovani, persone interessate e attivisti impegnate per la giustizia e la solidarietà, per un mondo migliore e contro ogni ingiustizia e oppressione.
Felicia rifiutò in casa i mafiosi ma, dopo l’assassinio di Peppino, aprì le porte di casa a giovani e meno giovani impegnati nell’attività politica, sociale, nella solidarietà e nella denuncia di mafiosi e potenti. Troppo spesso si è abusato del termine “antimafia sociale”. Le scelte di Felicia, i percorsi politici che si sono incontrati e intrecciati dietro quella porta aperta, sono la dimostrazione incarnata che aggiungere l’aggettivo sociale al termine antimafia non serve. Perché denunciare e lottare contro le mafie è un’attività sociale, politica di suo. E senza perderebbe la sua essenza. Le trame, i depistaggi, i potentati svelati dopo l’assassinio di Peppino Impastato, nell’attività del Centro Siciliano di Documentazione, di Casa Memoria, della sua famiglia e dei suoi compagni e delle tantissime esperienze fiorite negli anni documentano quanto la mafia non è solo una formale violazione di leggi dello Stato. Ma soprattutto un sistema di potere, di malaffare, di ingiustizia e oppressione. Denunciare, documentare, destruttura e combattere tutto questo è la massima attività sociale possibile, è politica, è militanza viva ed appassionata. Ai giovani che ha accolto per decenni in casa Felicia ripeteva sempre di tenere la testa alta e la schiena dritta. Come quotidianamente fa chi non si amalgama al sistema, chi non accetta e rifiuta le clientele, la politica della raccomandazione e del più forte, del malaffare e dei potentati che piegano l’interesse pubblico. Quel marcio che, quindici anni dopo, vediamo volgarmente in azione ogni giorno, nelle “fondazioni” che oliano certi meccanismi e rendono benevoli i signori delle stanze dei bottoni, nei clan che opprimono – nel deserto delle piazze e delle strade – porzioni del territorio, nelle multinazionali che devastano e impoveriscono ad ogni latitudine trasformando ogni bene che dovrebbe essere comune in profitto e mercato sfrenato, nei più turpi traffici e tratte che fioriscono nelle periferie e nel cuore delle città italiane, europee e di tutto il mondo.
Felicia, mentre si batteva per ottenere giustizia e verità per l’assassinio di Peppino, ha accolto e intrecciato le resistenze antimafia, anticapitalista, solidali di ogni latitudine, i partigiani di ieri e coloro che oggi lottano per un mondo migliore. La sua casa è stata la casa di dei pacifisti che si impegnano contro le guerre e per il disarmo da decenni e coloro che, a partire da Seattle, Genova e Firenze sono scesi in piazza contro la globalizzazione neoliberista e le ingiustizie globali. E tantissime altre associazioni, movimenti, circoli, parrocchie. E giovani. Ai quali ripeteva sempre di studiare e conoscere. Gramsci scrisse che c’è bisogno di studiare perché è necessaria tutta la nostra intelligenza, don Lorenzo Milani che il padrone è tale perché conosce mille parole e il povero cento. Ed è quindi necessario studiare, imparare, approfondire. Per poter documentare, denunciare, spezzare le catene dell’ingiustizia sociale, del classismo dei potenti, di ogni oppressione e sfruttamento. La ribellione di Peppino, la testimonianza esemplare di Felicia e dei tantissimi compagni che hanno proseguito la sua attività politica sono la dimostrazione incarnata che lottare contro le mafie è ribellione ai codici di una società omertosa e ingiusta, abituata a chinare il capo davanti ai forti per imporsi sui deboli, a trasformare tutto in occasione di profitto, devastazione e saccheggio del bene comune per gli sporchi interessi di pochi. E’ una lotta quotidiana per la libertà e la giustizia, per spezzare le catene dell’omertà e del dominio di pochi su tutti gli altri.
La tenacia di Felicia Bartolotta ci restituisce, ed è per questo importante ancora ricordarla e cercare di proseguire sui suoi passi, un’ulteriore grande lezione: la storia non la scrivono i potenti e non è solo quella dei libri dei vincitori, ma gli oppressi, gli ultimi, gli impoveriti che possono rovesciare la storia già scritta, la piramide della disuguaglianza e dell’ingiustizia e costruire un avvenire diverso e migliore. E la ribellione di chi, nonostante questa società perbenista, conformista e ipocrita va in tutta direzione, crede ancora nei valori dell’umanità e della solidarietà, che si ribella al patriarcato e ai soprusi di regimi opprimenti neocapitalisti, della globalizzazione del mercato ad ogni costo e del trionfo dei ricchi e prepotenti. Felicia Bartolotta Impastato, nonostante le tante archiviazioni e delusioni, ha sempre proseguito la tenace lotta contro chi assassinò Peppino. Perché, ripeteva, non poteva morire prima di vedere la giustizia. E così accadde, grazie all’impegno del giudice Franca Imbergamo, che riaprì l’inchiesta portando alla condanna di don Tano Seduto.
Alessio Di Florio
http://heval.altervista.org/il-ricordo-di-felicia-bartolotta-impastato-e-lantimafia-sociale/