Da Il Manifesto del 24 giugno 2007
Lo scorso anno, esattamente il 25 ed il 26 giugno, gli elettori italiani diedero a se stessi, al mondo e, possiamo dire, alla storia del nostro paese, prova inconfutabile di altissimo senso civico, di profonda sensibilità democratica, di piena coscienza dei propri diritti e delle condizioni istituzionali che li avrebbero potuto garantire e promuovere.
15.701.293 elettrici ed elettori, su 25.663.641 votanti, dichiararono il loro consenso, fedeltà e amore alla Costituzione, che per decenni è stata aggettivata come democratica ed antifascista.
Adopero volutamente questa qualificazione del documento costitutivo della nostra Repubblica perché vera e perché evoca lotte, fatti, movimenti, passioni, progetti, speranze, un contesto di identità plurime ma tese ad obiettivi alti di etica civile e sociale, densi di civiltà politica, esigenti giustizia, libertà ed eguaglianza.
Fu un evento, quello dell'anno scorso, che, a fronte delle tante miserie che emergono dalle cronache di ogni giorno, esalta la base della Repubblica, il suo fondamento umano - diciamolo, senza tema di retorica - il popolo.
Ebbene, immediatamente dopo quei due giorni, un silenzio massiccio, cupo, ininterrotto, tetragono, è piombato su quella data, sul significato di quella sentita, consapevole, autentica, meravigliosa deliberazione adottata dalla libertà delle donne e degli uomini di questo Paese. Perché mai? Cosa aveva quella decisione per essere condannata con l'espulsione dal dibattito politico, con la cancellazione da ogni agenda, addirittura con la damnatio memoriae di quella che si denomina opinione pubblica? Aveva ed ha, quella deliberazione popolare, il significato di una scelta netta, univoca, nitida ed imperiosa, la scelta di una democrazia credibile, controllata perché partecipata, piena di contenuti, materiata di diritti, di tutti quelli di libertà, di tutti quelli civili, di tutti quelli politici. E anche di quelli sociali, che, così dicono, costano tanto alle finanze dello stato. Come se fossero i soli a costare. Come se tutti gli altri diritti non costassero, come se per assicurarli, difenderli, garantirne il godimento, l'uso individuale e collettivo non provvedessero, da sempre, appositi apparati statali. Va esplicitato che i diritti sociali non sono previsti a futura memoria, ma vigono.
Il catalogo è lungo. Comprende il diritto alla previdenza, all'assistenza sociale, alla sanità, alla scuola pubblica di ogni ordine e grado.
Comprende il diritto di ogni lavoratrice e lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del proprio lavoro e in ogni caso - in ogni caso - sufficiente ad assicurare a sè ed alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Comprende il diritto di sciopero. Comprende il diritto corrispondente all'obbligo di ogni imprenditore di svolgere la sua attività non contrastando l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, tanto più, alla vita dei lavoratori. È il diritto a ottenere che la proprietà privata si legittimi, mediante il perseguimento di una funzione sociale e rendendosi accessibile a tutti.
Va esplicitato il significato della democrazia disegnata dalla Costituzione.
È la democrazia che a fondamento della Repubblica colloca il lavoro, non il mercato. È la democrazia che riconosce l'appartenenza della sovranità al popolo. E non si contenta di dichiararlo, ma sancisce che tutti i cittadini hanno diritto di concorrere alla determinazione della politica nazionale, associandosi in partiti politici. Che sono in crisi, certo, ma lo sono perché, appunto, non hanno svolto e non svolgono la funzione ad essi assegnata dalla Costituzione. E sarebbe necessario imporglielo finalmente con legge attuativa di tale ruolo costituzionale.
Significa molte altre cose il diritto dei cittadini a determinare la politica. Comporta che la democrazia costituzionale non si riduca all'elezione, ogni cinque anni, dei rappresentanti del popolo in Parlamento.
Preclude che la democrazia decada a regime elettivo del capo del governo e dei suoi seguaci, fedeli, ubbidienti, impiegati a tradurre in leggi i voleri del capo. Impedisce quindi che il diritto alla rappresentanza possa essere eluso e compresso. Prescrive che, per consentire a tutti di partecipare alla politica nazionale, la rappresentanza sia plurale, e corrisponda alla composizione politica di tutto il popolo, il più e il massimo possibile.
Questi i principi da attuare, gli obiettivi da raggiungere, gli imperativi da eseguire integralmente. A deciderlo fu il popolo italiano il 25-26 giugno 2006 chiamando la Costituzione repubblicana a vita nuova e lunga.
Lo scorso anno, esattamente il 25 ed il 26 giugno, gli elettori italiani diedero a se stessi, al mondo e, possiamo dire, alla storia del nostro paese, prova inconfutabile di altissimo senso civico, di profonda sensibilità democratica, di piena coscienza dei propri diritti e delle condizioni istituzionali che li avrebbero potuto garantire e promuovere.
15.701.293 elettrici ed elettori, su 25.663.641 votanti, dichiararono il loro consenso, fedeltà e amore alla Costituzione, che per decenni è stata aggettivata come democratica ed antifascista.
Adopero volutamente questa qualificazione del documento costitutivo della nostra Repubblica perché vera e perché evoca lotte, fatti, movimenti, passioni, progetti, speranze, un contesto di identità plurime ma tese ad obiettivi alti di etica civile e sociale, densi di civiltà politica, esigenti giustizia, libertà ed eguaglianza.
Fu un evento, quello dell'anno scorso, che, a fronte delle tante miserie che emergono dalle cronache di ogni giorno, esalta la base della Repubblica, il suo fondamento umano - diciamolo, senza tema di retorica - il popolo.
Ebbene, immediatamente dopo quei due giorni, un silenzio massiccio, cupo, ininterrotto, tetragono, è piombato su quella data, sul significato di quella sentita, consapevole, autentica, meravigliosa deliberazione adottata dalla libertà delle donne e degli uomini di questo Paese. Perché mai? Cosa aveva quella decisione per essere condannata con l'espulsione dal dibattito politico, con la cancellazione da ogni agenda, addirittura con la damnatio memoriae di quella che si denomina opinione pubblica? Aveva ed ha, quella deliberazione popolare, il significato di una scelta netta, univoca, nitida ed imperiosa, la scelta di una democrazia credibile, controllata perché partecipata, piena di contenuti, materiata di diritti, di tutti quelli di libertà, di tutti quelli civili, di tutti quelli politici. E anche di quelli sociali, che, così dicono, costano tanto alle finanze dello stato. Come se fossero i soli a costare. Come se tutti gli altri diritti non costassero, come se per assicurarli, difenderli, garantirne il godimento, l'uso individuale e collettivo non provvedessero, da sempre, appositi apparati statali. Va esplicitato che i diritti sociali non sono previsti a futura memoria, ma vigono.
Il catalogo è lungo. Comprende il diritto alla previdenza, all'assistenza sociale, alla sanità, alla scuola pubblica di ogni ordine e grado.
Comprende il diritto di ogni lavoratrice e lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del proprio lavoro e in ogni caso - in ogni caso - sufficiente ad assicurare a sè ed alla propria famiglia un'esistenza libera e dignitosa. Comprende il diritto di sciopero. Comprende il diritto corrispondente all'obbligo di ogni imprenditore di svolgere la sua attività non contrastando l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, tanto più, alla vita dei lavoratori. È il diritto a ottenere che la proprietà privata si legittimi, mediante il perseguimento di una funzione sociale e rendendosi accessibile a tutti.
Va esplicitato il significato della democrazia disegnata dalla Costituzione.
È la democrazia che a fondamento della Repubblica colloca il lavoro, non il mercato. È la democrazia che riconosce l'appartenenza della sovranità al popolo. E non si contenta di dichiararlo, ma sancisce che tutti i cittadini hanno diritto di concorrere alla determinazione della politica nazionale, associandosi in partiti politici. Che sono in crisi, certo, ma lo sono perché, appunto, non hanno svolto e non svolgono la funzione ad essi assegnata dalla Costituzione. E sarebbe necessario imporglielo finalmente con legge attuativa di tale ruolo costituzionale.
Significa molte altre cose il diritto dei cittadini a determinare la politica. Comporta che la democrazia costituzionale non si riduca all'elezione, ogni cinque anni, dei rappresentanti del popolo in Parlamento.
Preclude che la democrazia decada a regime elettivo del capo del governo e dei suoi seguaci, fedeli, ubbidienti, impiegati a tradurre in leggi i voleri del capo. Impedisce quindi che il diritto alla rappresentanza possa essere eluso e compresso. Prescrive che, per consentire a tutti di partecipare alla politica nazionale, la rappresentanza sia plurale, e corrisponda alla composizione politica di tutto il popolo, il più e il massimo possibile.
Questi i principi da attuare, gli obiettivi da raggiungere, gli imperativi da eseguire integralmente. A deciderlo fu il popolo italiano il 25-26 giugno 2006 chiamando la Costituzione repubblicana a vita nuova e lunga.