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Credere nella Costituzione è anacronistico?

Me lo chiedo perché sono sempre più smarrito, tutti infatti dicono di credere nella Costituzione, soprattutto in quell’articolo 3 che nelle aule della giustizia è riassunto nella frase “la legge è uguale per tutti”. Tutti vi si richiamano ma sembrano dimenticare che tale essenza ugualitaria si sviluppa chiaramente nel testo della Carta anche attraverso altri articoli che hanno la funzione di catalizzatori, cioè di strumenti attraverso i quali il comandamento si attua.

Uno di questi è sicuramente l’articolo 39 che parla di “contrattazione collettiva”, quella appunto valida per tutti, ad evitare il caos  delle diversificazioni aziendali e private, perché insito nel concetto egualitario è quello di pubblico, in contrapposizione proprio al privato, nel senso che la norma di lavoro non può e non deve essere “affare proprietario”, sarebbe infatti troppo pericoloso!

Un altro articolo catalizzatore dell’uguaglianza è certamente l’art. 53 che stabilisce la concorrenza di tutti i cittadini alle “spese pubbliche” affermando che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Il discorso dell’uguaglianza si definisce in esso in maniera concreta e non demagogica appunto nel sancire che il carico fiscale non può essere uguale per tutti, tanto che il fine ultimo che la Costituzione si prefigge  è quello di evitare al massimo l’imposizione indiretta, che non è per niente egualitaria. Proprio a tale scopo si prevedono le detrazioni delle imposte indirette per evitare che alcuni cittadini subiscano una doppia imposizione! Su questo tema parole semplici e chiarissime le scrisse Don Lorenzo Milani in Lettere a una professoressa.

Alle indicazioni della Costituzione non ha corrisposto purtroppo una adeguata legislazione che in ormai più di 60 anni ha prodotto e permesso una illegalità diffusa e una cifra enorme di evasione fiscale quasi sempre non perseguita, non riuscendo così a creare nei cittadini una coscienza fiscale democratica, ma all’opposto distruggendola perché ha promosso come  furbi coloro che sapevano giostrare all’interno delle norme e come fessi coloro che non potevano sfuggire alle imposte pagandole direttamente con la busta paga.

Il recente decreto n. 138 sulla manovra fiscale ricalca compiutamente questo andazzo, l’imposizione diretta e progressiva non vi emerge, ed in articolo, che centra con la manovra come il cavolo a merenda, ha sovvertito l’assunto dell’articolo 39 dando grande valenza al contratto tra privati.

A credere nella Costituzione, e di rimando all’uguaglianza,  si è davvero fuori dal tempo?

 

Massimo Michelucci – Massa