Una prima analisi di Aggiornamenti Sociali, rivista dei gesuiti. La vittoria del "no" è netta, le conseguenze politiche tutte da valutare. Intanto, dall'esito del voto si possono trarre un motivo di speranza, una lezione per il futuro e un allarme sulle logiche della comunicazione.
Dopo una campagna elettorale lunga e faticosa per i toni accesi e le contrapposizioni forti, i risultati del voto referendario di ieri ci consegnano alcune certezze e sollevano interrogativi.
Un primo dato chiaro e in controtendenza rispetto ai più recenti appuntamenti elettorali è quello dell’altissima partecipazione al voto, che è andata al di là di ogni attesa attestandosi al 68,48% in Italia e al 30,74% nel voto degli italiani all’estero. Due motivi in particolare hanno reso possibile questo risultato: l’importanza del voto espresso, che aveva per oggetto la modifica della Costituzione, e la percezione che potesse essere l’occasione per “dare una spallata” al Governo Renzi.
Non si tratta forse di un dato così sorprendente, se si considera la partecipazione ampia che ha contraddistinto i tanti incontri e dibattiti organizzati in vista del voto referendario. L’appuntamento del 4 dicembre ha messo in moto, forse al di là delle previsioni degli stessi promotori, una dinamica partecipativa che da tempo non si manifestava in queste proporzioni. Vi è stato un ritorno a discutere su scelte istituzionali e politiche, a impegnarsi in modo attivo e propositivo a livello civile; tutto ciò si è verificato tanto nel campo dei sostenitori del “sì” quanto tra quelli del “no” o tra gli indecisi che sono andati alla ricerca in prima persona di un’informazione obiettiva. Questo patrimonio di rinnovato interesse è un valore fondamentale da non disperdere, per il bene del Paese.
Un secondo elemento certo è la netta vittoria del “no” a livello nazionale. Solo in poche province ha prevalso il “sì” e non vi è stata la netta e paventata spaccatura tra Nord e Sud del Paese, come quella che si verificò a seguito del referendum sulla scelta tra monarchia e repubblica del 1946. Le conseguenze politiche di questo voto, dopo la decisione presa dal presidente Renzi di dimettersi e di concludere l’esperienza del suo Governo, sono ancora difficili da determinare e gli interrogativi al riguardo troveranno una prima risposta solo nei prossimi giorni.
L’esito del referendum pone però una domanda: ha ancora senso mettere all’ordine del giorno il tema delle riforme della Parte II della Costituzione? Il voto a favore del “no” è difficilmente interpretabile in questo senso, vista l’eterogeneità delle sue motivazioni. Si sono infatti espressi per il “no” sia chi ritiene che la Costituzione non vada toccata, sia chi non condivideva il merito delle riforme sottoposte al voto referendario, pur ritenendo necessario modificare in alcune parti il testo costituzionale del 1948, senza contare quelli che hanno bocciato la riforma per ragioni politiche e non sul merito.
Una lezione però si può trarre dalla bocciatura di questo tentativo di riforma, l’ennesimo fallimento in una storia lunga ormai più di trent’anni. Quando decideremo di ritornare a discutere di riforme costituzionali, sarà bene prendere esempio da esperienze di coinvolgimento dei cittadini nella fase di elaborazione delle proposte che si sono già realizzate in altri Paesi, come ad esempio l’Irlanda, e che hanno dato buona prova di sé. Un processo di riforma condiviso, in cui politici e cittadini lavorano fianco a fianco, non può non dare maggior forza alle proposte avanzate e aiutare ad abbassare i toni delle contrapposizioni.
Un ultimo punto, infine, dovrà essere affrontato nei prossimi mesi e tocca l’informazione. Con l’elezione di Donald Trump a Presidente degli Stati Uniti, l’espressione “post truth” è entrata prepotentemente nelle nostre conversazioni. Più che di “post verità”, è utile ragionare in termini di “oltre la verità”: non è, infatti, in questione solo l’obiettività dell’informazione. Bisogna prendere atto che molti oggi ripongono la propria fiducia in modo assoluto nelle posizioni e nelle notizie diffuse da siti o realtà in cui si riconoscono, credendovi appunto al di là della verità di quanto sostenuto. In parte è stato così per la campagna referendaria in Italia, che si è contraddistinta non solo per la durezza dei toni, ma anche per le cosiddette bufale che riguardavano gli argomenti tanto del “sì” quanto del “no”.
Questo tema diviene allora prioritario e coinvolge diversi attori: i media tradizionali, i nuovi media, chi gestisce le piattaforme dei social network e tutti noi, che da lettori rilanciamo le notizie. Sono certamente responsabilità diversificate e possibilità di intervento distinte, che richiedono tuttavia una riflessione attenta sull’etica della comunicazione. A un livello che ci tocca direttamente, come lettori e utenti dei social network, possiamo però iniziare a esercitare maggiormente il nostro spirito critico per non dar credito a notizie verosimili, non sostenere siti e testate che fanno disinformazione e non aumentare il livello di contrapposizione nel dibattito.
Ufficio stampa e comunicazione
Stefano Femminis
Aggiornamenti Sociali/Fondazione Culturale San Fedele
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