Nell’ottobre 1945, infreddoliti e senza soldi, migliaia di ragazzini tornarono a Milano, dai paesi dove le loro famiglie erano sfollate a causa dei bombardamenti. Le scuole erano malandate, senza vetri e senza riscaldamento. Fu costituito il secondo liceo scientifico, senza nome, perché il vecchio “Vittorio Veneto” non poteva contenerli tutti: oggi si chiama “Leonardo”. I partiti intanto preparavano le basi per la futura Costituzione, anche se il referendum monarchia-repubblica si sarebbe tenuto l’anno successivo, 1946.
La maggioranza degli italiani scelse la repubblica e i partiti promossero l’Assemblea costituente che, con discussioni, pesi e contrappesi, fu il regalo al Paese del 1° gennaio 1948. Gli studenti di quel secondo liceo scientifico dividevano a metà le aule e i tempi con quelli del liceo classico “Carducci” che li ospitava, a due passi da piazzale Loreto, dove i nazifascisti avevano ucciso un gruppo di partigiani e, dopo il 25 aprile 1945, erano stati appesi a testa in giù i cadaveri di Benito Mussolini e dei gerarchi, fucilati sul lago di Como. Lo scheletro della funerea stazione di servizio, con i nomi, era stato a lungo sotto gli occhi degli studenti scaricati dal tram che faceva capolinea proprio lì di fronte.
Quella fu la mia prima lezione di storia politica e sociale contemporanea. Il professore di italiano, giovane ma austero, ci consigliò alla fine del 1948 di acquistare e leggere la Costituzione, in vendita nella cartoleria di fronte. Sapemmo più tardi che aveva fatto parte della Resistenza: lui ci parlò sempre della libertà, dei nostri diritti e doveri, ma mai di fascismo e antifascismo. Ha lasciato un grande segno laico, positivo, in tutti noi: non odiava, aveva capito. Le nuove generazioni avrebbero dovuto formare una società e uno Stato diversi dai precedenti.
La Costituzione repubblicana era alla base di questa società, noi ragazzi quasi senza accorgercene ne eravamo fieri. Avremmo capito più tardi, dopo aver studiato la storia antica e moderna, aver affrontato il Medioevo e il Rinascimento, gli imperi e la Rivoluzione francese. Capimmo poco a poco cos’erano stati il clero e la nobiltà, chi era dentro le mura e chi fuori, qual era il popolo contadino e operaio col quale eravamo stati in contatto nei tragici anni precedenti. Alle manifestazioni di gioia del 25 aprile e del 1° maggio c’era una “fiumana di gente” e noi studenti, con le calze e i calzoni rattoppati, eravamo pieni della nostra vita. In testa camminavano uomini e donne della Resistenza (anni dopo avremmo visto le fotografie e i filmati), ma noi ci sentivamo tutti insieme un popolo unito.
Eravamo, senza saperlo il Quarto stato, dopo il clero, la nobiltà, la borghesia, eravamo i giovani che andavano verso il futuro, per noi non avrebbe più dovuto esserci il mondo dei poveri, il proletariato: eravamo noi che camminavamo da piazzale Loreto a piazza Castello a rappresentare il popolo, la nazione, il mondo nuovo, l’Italia. Avevamo una Costituzione, nata dalla libertà. Poi… poi a poco a poco il Quarto stato, quello dei lavoratori dipendenti, dei contadini nei campi e nelle stalle, è tornato ad essere quello che era, come l’aveva visto il pittore Pellizza da Volpedo un secolo dopo la Rivoluzione francese. La Costituzione democratica rispecchia il popolo, forte delle sue braccia e del suo cervello, ma ancora nelle mani degli altri. La “fiumana” ha perso, il denaro ha vinto.
Una voce dalla piazza: “Non è un finale troppo amaro?”
“Sì, ma settant’anni dopo non mi viene di meglio”.
Mario Pancera