Il dibattito, se così si può chiamare, intorno alla riforma della Costituzione, ma, in generale, l'attuale dialettica politica mi lasciano perplesso e, sopratutto, mi fanno percepire inadeguato a questa cultura politica, che ormai ha contagiato quasi tutti, segnando una sconvolgente continuità con gli ultimi due decenni trascorsi.
In qualche modo anche il dibattito televisivo tra Renzi e Zagrebelsky si è trasformato in una sorta di tifoseria, preoccupati, un po' all'americana, su chi sia il vero vincitore, su chi abbia “sfondato” il video... quando poi il vero sconfitto è la politica e la sua incapacità a stare dentro la complessità dei problemi, la capacità di soffermarsi e riflettere sui diversi punti di vista.
Mi sento inadeguato a questa stagione politica, forse per l'età, perché la politica, secondo me, è la capacità di stare dentro alle situazioni complesse, senza volerle semplificare o ridurre, ma individuando quei percorsi, anche culturalmente minoritari, che possa far crescere la consapevolezza del sistema, che metta in campo azioni perché quei valori e quelle scelte si radichino nel paese.
Una politica che sia capace di percorrere i sentieri della complessità, senza negarne le difficoltà e senza preferire le scorciatoie, sapendo che nessuna scelta è neutrale.
Ma una politica del genere non ha bisogno di velocità, ha bisogno di sapersi fermare, di analizzare, di praticare la capacità di ascolto, di esaltare le doti di fare sintesi tra posizioni diverse e, sopratutto, come mi insegna la tradizione del movimento nonviolento, tenere ben saldi tra di loro i fini e i mezzi, perché non ci può essere una Politica con la P maiuscola se non si accoglie la linearità e la trasparenza dei percorsi politici.
In questa linearità e trasparenza si comprende come “forma” e “sostanza” non possano essere disgiunti.
Ed è proprio questa incapacità a stare nella complessità, tenendo insieme e valorizzando le varie differenze, che mi fanno sentire inadeguato a questa pratica politica, nella quale contano gli slogans, gli urli, la denigrazione dell'avversario... l'incapacità a percepire l'importanza dell'essere plurali.
Dubbi, perplessità sono elementi fondante dell'abitare la pluralità... accoglierli, ascoltarli e cercare sintesi deve essere uno sforzo a cui nessun statista può sottrarsi per rendere un paese più saldo e coeso.
Ed è chiaro che in quest'ottica anche i tempi della politica e della decisione diventano diversi, perché una partecipazione democratica, consapevole e attiva, nucleo fondante della prima parte della nostra costituzione, non può declinarsi con il decisionismo veloce.
D'altra parte proprio la situazione della Spagna ci dice come un'economia possa crescere anche in assenza di un governo, segnando come, purtroppo, i poteri che la governano, a causa del contesto liberista nel quale viviamo, sono altrove rispetto al potere politico, che ormai da decenni ha rinunciato, a vantaggio di altri non eletti, a questo suo ruolo di governo, di indirizzo e di controllo.
A maggior ragione, nel momento in cui si mette mano alla riforma della costituzione anche solo nella parte dell'organizzazione dello stato (sostanza) è necessario sia valutare la coerenza con il complesso dei valori fondanti che, sopratutto, essere capace di fare sintesi tra le diverse posizioni, costruendo un testo alto condiviso, per ricercare la più estesa coesione sociale, come è stato fatto dai padri costituenti.
Paradossalmente sarebbe stato preferibile fare dei passi più piccoli nel riformare la Carta Costituzionale, che per sua natura deve essere condivisa da una fortissima maggioranza, se questo poteva essere un percorso per garantire maggiore coesione sociale.
Per fare questo motivo sarebbe stato saggio ascoltare perplessità e dubbi, cercando un compromesso alto e non al ribasso, per cercare una formulazione e scelte condivise.
Ad esempio, rispetto al superamento del bicameralismo paritario (che condivido pienamente) si è mai riflettuto sul fatto che quello strumento ha permesso, in moltissime occasioni, di migliorare testi di legge che avevano lacune e distorsioni?
Superare quel bicameralismo significa quindi assumere anche la necessità di trovare luoghi e strumenti di controllo affinché le distorsioni di una legge possano essere sanate prima della sua emanazione.
Ma la proposta di riforma fatta va nella direzione auspicata del superamento del bicameralismo paritario? Semplifica l'iter legislativo? Garantisce istituzioni di controllo e di correzione nell'emanazione di un testo di legge?
La complessità, e non la velocità, ci chiederebbero di costruire una nuova organizzazione dell'iter legislativo e dell'apparato istituzionale, che tenga conto di queste necessità, e che diano corpo e spessore ad un reale bisogno di rappresentanza nelle istituzioni di tutte le sensibilità politiche e culturali che animano il paese, includendo e non lasciando ai margini.
Perché solo una democrazia matura, capace di essere inclusiva, è il vero antidoto contro le derive populiste, autarchiche, xenofobe, razziste e fasciste che stanno emergendo in tutta Europa, e non solo in quelle democrazie giovani dell'est, ma anche in paesi con una tradizione democratica forte quale la Francia e l'Inghilterra.
Il bisogno di un aggiornamento della Carta Costituzionale, così come della organizzazione dello stato e della pubblica amministrazione, richiederebbero quell'attenzione, quella capacità di ascolto, quella coerenza tra prima parte e seconda parte della Costituzione, che non mi pare proprio siano insiti in questa riforma, né nel metodo con il quale si è costruita.
La Costituzione vigente è stata scritta da un’Assemblea costituente eletta con metodo rigorosamente proporzionale, in modo che tutte le componenti politiche – espressione della società civile – potessero essere rappresentate e condividerla. Questa riforma è invece proposta da una parte, all'interno di un parlamento eletto per altro con una legge elettorale dichiarata incostituzionale (quando, invece, il centro sinistra si era impegnato a non ripetere più l'errore di approvare una riforma costituzionale a maggioranza).
Per questo motivo voterò NO a questa Riforma, sapendo che non è vero che è l'ultima spiaggia, dal momento che in questi 70 anni numerosi articoli della Costituzioni sono stati riformati e adeguati.
Voterò NO anche perché mi si chiede di esprimere un SI o un NO unico sulla modifica di 48 articoli sui 139 che costituiscono l'attuale Costituzione, senza permettere di scegliere tra riforme di articoli che condivido e quelle che non condivido. Il voto unico sul “pacchetto”, anche in presenza di argomenti completamente eterogenei tra di loro, è l'indicatore di come la proposta del quesito sia l'approvazione o meno non di una riforma di articoli della costituzione, ma di una sua riscrittura.
Voterò NO perché è possibile superare il bicameralismo partitario e ridurre il numero dei parlamentari, senza per questo alterare tutto l'impianto della costituzione vigente... perché la riduzione dei costi della politica non può passare con una riduzione degli spazi della partecipazione e della rappresentanza, come sta avvenendo con l'abrogazione delle provincie, il ridimensionamento del Senato e l'introduzione di norme elettorali che mirano sempre di più a togliere rappresentanza alla pluralità delle sensibilità politiche.
Voterò NO perché si è deciso di ridurre il numero dei senatori, modificando (?) le loro competenze... senza poi introdurre strumenti di controllo e di correzione ad un Camera dei Deputati, alla quale, ad esempio, spetterà il compito di deliberare in materia di dichiarazione di guerra, che prima spettava a tutte e due le camere, consegnando così ad una minoranza del paese la responsabilità di una tale scelta.
Voterò NO perché, le competenze del Senato proposte, pur con tutte le riserve relative alla nomina dei senatori, mi appaiono incoerenti: doveva essere la camera rappresentativa dei territori, ma, al tempo stesso, oltre alle materie che riguardano città e regioni, deve anche anche occuparsi degli indirizzi della normativa europea, materia, che, per quanto mi è dato di conoscere, impatta in una stragrande di argomenti, non solo di interesse dei territori locali.
Voterò NO perché sono contrario a questa cultura decisionista, rispetto alla quale ho già confessato la mia inadeguatezza, che non viene annacquata semplicemente eliminando il quorum dai referendum e introducendo il referendum propositivo, quando poi si toglie rappresentanza nelle istituzioni.
Cultura politica, quella che emerge, che aumenta le separazioni dentro al sistema sociale, con dei tempi e delle pratiche che sempre di più vanno a sacrificare quella partecipazione attiva e consapevole che dovrebbe essere il fondamento di una democrazia matura e in crescita, favorendo l'esclusione e il senso di non appartenenza ad una comunità... ed è drammatico che protagonista di questa trasformazione, in continuità con la cultura del berlusconismo, sia una forza che si richiama anche ai valori della sinistra.
Però alla fine di tutto questo confesso che non mi dispiace sentirmi inadeguato a questa politica, perché forse significa che sono ancora capace di pormi domande, che provo ancora il piacere e il bisogno di abitare il dubbio, che non ho ancora smarrito certi valori di fondo e che voglio che questi valori di fondo siano coerenti con la pratica politica: perché forse il senso è quello tenere insieme valori, fini e strumenti... anche quando, nella massima trasparenza, si deve praticare un compromesso.
La domanda che mi pongo allora... sono io inadeguato, oppure è questa pratica politica ad essere inadeguata a rappresentare le contraddizioni e i conflitti che sono nel nostro sistema sociale?
Buratti Gino
Massa, 28 ottobre 2016