A Roma, la notte fra sabato e domenica, in una sala privata presa in affitto grazie a una colletta, un gruppo numeroso di migranti da un paese subsahariano tiene una veglia per commemorare la morte, in patria, del congiunto di uno di loro. Si ricorda il defunto, si cena, si fa musica. Il rito serve a onorare il morto nell'unico modo possibile: tornare in patria sarebbe costoso, per alcuni anche pericoloso, interdetto in assoluto per chi non ha il permesso di soggiorno in regola. Il rito è anche occasione d'incontro, convivialità, amicizia. La sala sta nell'estrema periferia romana, isolata da ogni agglomerato di case. Quindi non c'è il rischio di disturbare il vicinato. Eppure un'ora dopo, inesorabile come la morte, arriva una pattuglia di carabinieri a interrompere la veglia funebre. Quasi tutti se la svignano in fretta, non solo gli "irregolari": le visite delle forze dell'ordine di solito non sono di cortesia se si ha la pelle scura e un accento straniero. La veglia è ormai compromessa. Onorare i morti, cioè l'atto sociale basilare che ha fondato la civiltà umana, sembra diventato anch'esso un privilegio dei "bianchi", tanto meglio se nazionali, cattolici, benestanti.
La stessa sera, nella capitale, gli "indignati" hanno piantato le tende in piazza San Giovanni. Ci andiamo sul tardi per osservare e capire. Con la speranza di constatare che la rivolta di massa - che dilaga dal Maghreb al Mashrek, da Madrid a Tel Aviv - stia approdando in Italia. E che scuota finalmente il piedistallo precario che regge il nostro despota, la sua famelica corte, scombinata e grottesca, le sue politiche indecenti, la manovra dissennata e iniqua: "antipopolare", come si diceva un tempo. Leggiamo cartelli e slogan. Ci piace molto il richiamo alla pratica della democrazia partecipativa. Ma ci colpisce il numero di divieti: da "Vietato sporcare la piazza" (giusto) a "Vietato introdurre simboli di partito" (?). Ci viene in mente "Vietato vietare", slogan di una rivolta che ormai si perde nella notte dei tempi. Proviamo un pizzico di delusione: si sa, se si coltiva l'utopia, la prova della realtà non è mai alla sua altezza. Di radicale, almeno nel senso in cui l'intendiamo noi, ne vediamo pochino; di graffiante, ancor meno; di indignato, qualche allusione al despota nostrano. Dato lo stile prevalente, ci accontenteremmo di qualcosa come "L'immaginazione al potere". Troviamo invece, vergato su un cartello: "+ cuore - mente", completato da un cuoricino rosa. Sarà che, vecchi come siamo, non capiamo che l'indignazione può esprimersi come leggerezza? Ci diciamo: non è obbligatorio che un movimento di protesta esprima il massimo di effervescenza, creatività, radicalità nella fase nascente. Questa è roba dei tempi nostri. Forse questo movimento scoprirà la politica poco a poco e saprà dirla in modi inediti ed efficaci.
Continuiamo a sperare. Che la Fiom, la Cgil, i sindacati di base, quel che resta della sinistra-sinistra, il movimento per i beni comuni, le galassie antirazzista, femminista, gay-militante e altre, i tanti focolai di lotta disseminati per la Penisola finalmente in qualche modo convergano, abbiano un sussulto decisivo e comprendano davvero: se non ora, quando? Di una cosa siamo certi: non si sconfiggerà il despota e la sua corte se a tenere le piazze saranno solo indignati, popolo viola e grillini. A proposito di questi ultimi: ci si può aspettare molto da gente che, se dici che vanno difesi i diritti fondamentali di tutti, anche dei migranti e dei rom, ti risponde: "Se ti piacciono, portateli a casa tua"? Noi, che a casa nostra ce lo siamo portato, qualcuno di quei reietti che dispiacciono a Beppe Grillo, ai grillini vorremmo chiedere: ora che siete cresciuti, siete disposti a difendere, per dirne una, il diritto dei migranti di onorare i propri morti? E anche gli altri diritti spettanti a tutti, alla vita, al lavoro, alla salute, all'istruzione, al rispetto, alla dignità?A coltivare troppo la speranza, si sa, si rischiano delusioni cocenti. Che ci tocca vedere, la stessa notte, tornando a casa da piazza San Giovanni? Sul muro di un intero isolato, una serie di manifesti enormi e ben più funerei della veglia dei migranti riportano il programma dell'ultima giornata della festa di Giovane Italia, l'organizzazione giovanile del Pdl. Il nome non allude a Mazzini, ma al versante giovanile del defunto Msi: erano fascisti dichiarati, giovanotti esuberanti, autentici mazzieri, per dirla tutta. Nei manifesti giganteschi c'è spazio anche per le citazioni. Al povero Martin Luther King tocca stare fra Junger e D'Annunzio. E non solo. La sua frase sulla rivolta come lingua degli inascoltati annuncia un dibattito fra ben noti ribelli inascoltati: Calderoli, Brunetta, Storace, Mario Sechi. Notiamo che a parlare del "senso della Patria" c'è anche Luciano Violante. Che se la faccia con gli eredi dei "ragazzi di Salò" ci sembra del tutto normale. A lasciarci stupefatti è, invece, il nome di Giuliano Pisapia nell'ultima tavola rotonda. Stupore e delusione: avevamo caldeggiato vivamente, anche su questo blog, la sua vittoria come sindaco di Milano. Da ingenui pensavamo che si sarebbe atteggiato secondo un codice almeno rigorosamente antifascista...
Ma noi continuiamo a sognare che una risata seppellirà il despota e la sua corte, sorgendo dalle piazze fragorosa e corale. E che la stessa risata continuerà a risuonare quando i Violante, Bersani, Veltroni, Pisapia o chiunque altro diranno o faranno idiozie. Lasciateci almeno sognare...
Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo