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Perché prevalga il senso della giustizia (Dacia Maraini)

Pubblicato sul "Corriere della sera" del 17 giugno 2008 e tratto da "Notizie minime della nonviolenza in cammino", n. 567 del 3 settembre 2008

Stiamo assistendo a una campagna martellante per arrivare (e in parte ci siamo arrivati) a una legge restrittiva nei riguardi delle intercettazioni telefoniche. Gli argomenti che si considerano più utili per suscitare l'indignazione dell'opinione pubblica sono due: l'alto costo degli ascolti e il numero delle intercettazioni in aumento, per cui ormai praticamente "tutti gli italiani" sarebbero spiati da un orecchio maligno e insinuante che fruga nella vita personale senza riguardo, con una particolare propensione per le infedeltà, gli inciuci, i pettegolezzi, insomma i particolari più scabrosi e intimi della vita privata.
Ora le cifre ufficiali dicono che la spesa per le intercettazioni è di 224 milioni su 7,7 miliardi, il che consiste in meno di un decimo del bilancio della giustizia. E in quanto al numero degli ascolti si tende a confondere la quantità delle intercettazioni con la quantità di persone messe sotto controllo telefonico.
I provvedimenti di ascolto non rivelano la cifra degli intercettati, perché ogni decreto riguarda un numero telefonico che spesso viene ripetuto 3 o 4 volte, tenendo conto che ogni 15 giorni bisogna rinnovare il provvedimento. Alla fine si scopre che gli intercettati non raggiungono le 80.000 persone l'anno, il che equivale allo 0,2% degli italiani.
Quindi l'allarmismo è costruito ad arte per creare panico, incertezza e senso di angoscia. E potremmo aggiungere: per mettere in riga la magistratura e la stampa d'informazione. È chiaro che una persona equilibrata trova ripugnante l'indugio sulle conversazioni private che vengono riportate con malizia dai giornali. Ma pretendere la rinuncia all'intercettazione fuori che nei casi di criminalità organizzata, vuol dire privarsi di un'arma potentissima. Le parole dette da un medico che è intenzionato ad asportare un polmone sano per fare soldi, le parole di un prete che contratta il silenzio di un ragazzo che l'ha denunciato per violenza sessuale, le parole di un politico che prende le mazzette per concedere un appalto, sono vere e proprie confessioni, che non possono essere messe in discussione perché non riguardano discorsi sentiti e riferiti, ma rivelano in presa diretta il pensiero e le volontà di chi agisce contro la legge.
Fra l'altro è molto difficile stabilire un limite netto fra criminalità organizzata e altre forme di illegalità. La forza della mafia o della camorra consiste proprio nel coltivare quelle frontiere labili che separano l'amministrazione pubblica dalla continua pressione per l'ottenimento di favori illeciti, protezioni e vantaggi. Il problema sta, come al solito, nella lentezza della giustizia. La cosa più logica sarebbe di astenersi dalla pubblicazione di conversazioni telefoniche fino a processo avvenuto e colpevole condannato.
Ma poiché questo potrebbe avvenire nell'arco di 5 o 10 anni, dati i tempi della nostra giustizia, dobbiamo forse permettere a coloro che delinquono di continuare a farlo indisturbati? Non diventa a sua volta colpevole chi, informato di una grave colpa, omette di denunciarla, sapendo che la persona in questione potrebbe reiterare il crimine? D'altronde non è che l'ascolto sia casuale e arbitrario.
C'è sempre una denuncia, e la richiesta passa al vaglio di due magistrati prima della intercettazione vera e propria. In un Paese così incline all'imbroglio, alla truffa, in cui molte, troppe amministrazioni pubbliche e private sono sospettate di illeciti, tanto da venire commissariate, il senso della giustizia credo che prevalga, per gli onesti cittadini, su quello della riservatezza.