La critica di Sofri al film di M.T. Giordana sulla strage di piazza Fontana richiama quella delle sezioni ANPI della Versilia e di Massa al film di Spike Lee sulla strage nazista di Sant’Anna di Stazzema. Simili sembrano le ragioni alla base della contestazione di un autore di fama mondiale, fatta tra l’altro anche contro un giudizio diverso dell’ANPI nazionale, e per la quale le piccole Anpi subirono l’accusa di essere retrograde verso la cosiddetta espressione artistica libera e incontestabile.
Le ANPI erano convinte di una falsità espressa dal film: la responsabilità partigiana per colpa di un traditore. Un leggenda diffusa da decenni nell’immaginario collettivo, ma che era stata confutata dalla storiografia.
Quando le Anpi volantinarono le loro ragioni, ad una prima del film a Viareggio, vennero trattate con superficialità, e subirono il vituperio di chi le bollò come portatrici di posizioni culturali illiberali ed anacronistiche, nonché come ridicole depositarie della verità.
Le Anpi precisarono che la libertà di espressione è sicuramente un diritto innegabile, ma che esisteva un problema concreto quando sconfina nel falso storico. E tale certezza veniva dalla sentenza del Tribunale Militare di La Spezia che aveva sancito la strage come un’operazione pianificata contro la popolazione, senza responsabilità dei partigiani.
Quindi contestarono il fatto che il film, per dire una falsità, avesse ricevuto anche finanziamenti dallo Stato.
L’osservazione però più profonda che stava a motivo della loro sollevazione fu il convincimento che il messaggio attraverso il film, che è un mezzo di comunicazione invincibile, e che tra l’altro avrebbe avuto una platea mondiale, sarebbe divenuto la “verità”, e ciò al di là delle fatiche della ricerca storica, che sarebbe andata a farsi benedire.
In definitiva la protesta esprimeva la preoccupazione che nella società dell’apparenza, dove gli strumenti della conoscenza hanno abbandonato ogni criterio di scientificità, la verità rischiasse di diventare appannaggio unico di veicoli di divulgazione più semplici e dirompenti, ma anche purtroppo più superficiali, che in ogni caso, per onestà intellettuale, andavano in un qualche modo contrastati.
Credo che su questo stesso identico motivo si basi al fondo la denuncia di Sofri, convinto delle sue verità, che un qualche innegabile riscontro oggettivo lo vantano. E che ciò spieghi come mai tale denuncia sia stata espressa all’uscita del film di Giordana, e non prima alla pubblicazione del libro sui cui è basato.
Il messaggio di un libro in effetti non è immediato, le argomentazioni possono essere vagliate, un errore può essere decantato. Per un film la situazione è diversa, in quanto non ha ostacoli a diventare verità, magari unica, e ciò è sicuramente cosa pericolosa.
Nel 2008, le piccole sezioni Anpi, constatato come il sentore pubblico della Resistenza si fondasse solo sui libri di Pansa, avevano il terrore che i giovani, interrogati su Sant’Anna, rispondessero: “Sì conosco la storia, fu colpa dei partigiani, l’abbiamo visto nel film di Spike Lee”.
Sofri, probabilmente avrà avuto paura che i giovani di oggi, interrogati su Piazza Fontana, finiscano per rispondere: “Certo responsabili furono anche gli anarchici, e Pinelli (quello morto e famoso) anche lui ebbe le sue colpe, lo abbiamo visto nel film di Giordana”.
Forse Sofri si sarà allarmato un po’ troppo? Io invero credo proprio di no.
Massimo Michelucci