Pubblicato su Notizie Minime della nonviolenza - n. 796 del 20 aprile 2009
Viviamo in un eterno presente, per molti versi angosciante, senza apparente passato e nemmeno futuro.
La memoria, sempre cosi’ difficile da tramandare, e’ rimossa perche’ disturba il presente e mette a disagio. Particolarmente evidente per il 25 aprile o per la Giornata della Memoria. Si e’ iniziato con la cosiddetta “memoria divisa”, destra e sinistra, fascismo ed antifascismo, che doveva pero’ ricomporsi in nome di una par condicio del tutto arbitraria, che poneva sullo stesso piano partigiani e nazifascisti.
Abbiamo assistito a spettacoli deprimenti e a dibattiti preconfezionati sulla Resistenza e sul fascismo, dove una volta si’ ed una volta no, veniva annunciata la scoperta dell’acqua calda: ovverosia che non tutti i partigiani erano angeli e che non tutti i fascisti erano in fondo cosi’ cattivi. Si e’ proseguito con uno stillicidio di superficiale revisionismo che intaccava sostanzialmente la memoria resistenziale, mettendo sotto accusa le “responsabilita’” dei partigiani. Decontestualizzando l’azione dalle coordinate reali, difficili e drammatiche, in cui le scelte e le azioni della Resistenza si svolgevano, e offrendo una visione della storia “come presente” nel senso che il passato veniva giudicato con la consapevolezza dell’oggi e facendo finta che esistessero le odierne condizioni per comportamenti, teorici e pratici, diversi. Si e’ giunti cosi’ ad un vero ribaltamento, per cui, nell’attuale clima politico e sociale, il 25 aprile non e’ piu’ un problema per la destra italiana, per il suo rapporto con il passato nazionale, per la sua visione del presente e del futuro; ma un rituale passato, che appartiene a tutti gli italiani perche’ svuotato dei suoi valori essenziali.
Ha scritto lucidamente Alessandro Portelli: “Abbiamo affidato agli eredi di Almirante pure la nostra memoria, pure la Resistenza deve aspettare che sia Fini a rendergli l’onore che non si nega agli sconfitti. Il gesto di omaggio, in parte opportunistico e in parte autentico, reso da Fini alle Fosse Ardeatine all’inizio degli anni ‘90 si e’ trasformato nel suo contrario: nella definitiva appropriazione alla destra di uno dei nostri luoghi di memoria piu’ cari. Non si tratta di definitiva accettazione da parte della destra dei valori dell’antifascismo, ma al contrario, della relegazione dell’antifascismo a un passato che ha solo valenza rituale.
L’ennesima indecente assimilazione di nazismo e comunismo (di fronte a un luogo dove sono sepolti piu’ di cento comunisti ammazzati dai nazisti) e l’ammonimento a non ripetere gli ‘errori del passato’ (quali, esattamente?
Li vogliamo nominare?) servono in ultima analisi a prendere le distanze dalla storia, a relegare nel passato i rischi della nostra civilta’, e all’apologia del nostro democratico, bipartitico e governabile presente di
ronde, xenofobie, razzismi”.
Solo che il nostro presente razzismo non indigna minimamente. Abbiamo imparato a conviverci.
C’e’ una nave turca, la Pinar, cargo mercantile carico di immigrati in fuga da fame e guerre, ferma da giorni al largo di Lampedusa, abbandonata a se stessa, senza soccorsi, al centro dello scontro tra i governi di Malta e Italia su chi deve intervenire. Certo, e’ uno scaricabarile vergognoso, ma noi, “uomini comuni”, e’ come se avessimo voltato lo sguardo ed il volto dall’altra parte.
E’ stato cosi’, per molti versi, anche durante il nazifascismo. Troppo facilmente si e’ parlato di “barbarie”, “bestialita’”, “belva nazista”, allontanandole cosi’ dal quotidiano; dimenticando che “barbari”, “selvaggi” e “bestie” sono capaci di fare cose orrende, ma i campi di sterminio li hanno fatti “uomini comuni” con gli strumenti della “nostra” civilta’.
Auschwitz non e’ stato un rigurgito barbarico medievale, ma un fenomeno orribilmente contemporaneo, nel doppio aspetto della mobilitazione tecnologica necessaria per realizzare l’eccidio, e della mobilitazione ideologica necessaria per tentare di legittimarle.
Solo l’Occidente moderno aveva i mezzi per fare cose simili. Primo Levi ricordava come la responsabilita’ dello sterminio spettasse non a un pugno di maniaci, ma ricadesse sul capo di milioni di persone che con il loro comportamento hanno reso possibile che cio’ avvenisse.
Se i lager li hanno realizzati “uomini comuni”, esseri umani come noi, questo vuol dire che il rischio ce l’abbiamo dentro anche noi. Possiamo essere vittime, ma possiamo essere carnefici, o complici silenziosi.
Ecco perche’ un “errore del passato” da non ripetere e’ quello di essere complici delle nostre guerre umanitarie, dei nostri bombardamenti democratici, delle nostre civilizzate torture e delle violenze sempre nuove e sempre uguali verso i piu’ deboli.
L’ennesima indecente assimilazione di nazismo e comunismo (di fronte a un luogo dove sono sepolti piu’ di cento comunisti ammazzati dai nazisti) e l’ammonimento a non ripetere gli ‘errori del passato’ (quali, esattamente?
Li vogliamo nominare?) servono in ultima analisi a prendere le distanze dalla storia, a relegare nel passato i rischi della nostra civilta’, e all’apologia del nostro democratico, bipartitico e governabile presente di
ronde, xenofobie, razzismi”.
Solo che il nostro presente razzismo non indigna minimamente. Abbiamo imparato a conviverci.
C’e’ una nave turca, la Pinar, cargo mercantile carico di immigrati in fuga da fame e guerre, ferma da giorni al largo di Lampedusa, abbandonata a se stessa, senza soccorsi, al centro dello scontro tra i governi di Malta e Italia su chi deve intervenire. Certo, e’ uno scaricabarile vergognoso, ma noi, “uomini comuni”, e’ come se avessimo voltato lo sguardo ed il volto dall’altra parte.
E’ stato cosi’, per molti versi, anche durante il nazifascismo. Troppo facilmente si e’ parlato di “barbarie”, “bestialita’”, “belva nazista”, allontanandole cosi’ dal quotidiano; dimenticando che “barbari”, “selvaggi” e “bestie” sono capaci di fare cose orrende, ma i campi di sterminio li hanno fatti “uomini comuni” con gli strumenti della “nostra” civilta’.
Auschwitz non e’ stato un rigurgito barbarico medievale, ma un fenomeno orribilmente contemporaneo, nel doppio aspetto della mobilitazione tecnologica necessaria per realizzare l’eccidio, e della mobilitazione ideologica necessaria per tentare di legittimarle.
Solo l’Occidente moderno aveva i mezzi per fare cose simili. Primo Levi ricordava come la responsabilita’ dello sterminio spettasse non a un pugno di maniaci, ma ricadesse sul capo di milioni di persone che con il loro comportamento hanno reso possibile che cio’ avvenisse.
Se i lager li hanno realizzati “uomini comuni”, esseri umani come noi, questo vuol dire che il rischio ce l’abbiamo dentro anche noi. Possiamo essere vittime, ma possiamo essere carnefici, o complici silenziosi.
Ecco perche’ un “errore del passato” da non ripetere e’ quello di essere complici delle nostre guerre umanitarie, dei nostri bombardamenti democratici, delle nostre civilizzate torture e delle violenze sempre nuove e sempre uguali verso i piu’ deboli.