Un interessantissimo articolo apparso sul Guardian di ieri mostra quanti muri (r)esistano ancora al giorno d’oggi.
In realtà, da quando il muro di Berlino è finalmente caduto quasi un quarto di secolo fa, anziché accorciarsi com’era auspicabile, la lista si è costantemente allungata. Basta visitare la mostra fotografica che è stata allestita proprio sull’ultimo pezzo rimasto (a mo’ di cimelio) del muro che un tempo divideva l’attuale capitale tedesca, e che raccoglie le potenti immagini dei vari muri e barriere che Kai Wiedenhöfer, fotografo berlinese, ha scattato negli ultimi sette anni in giro per il mondo, in posti difficili da raggiungere e pericolosi da visitare, quali Baghdad e Gaza.
I giornalisti del Guardian si sono concentrati in particolare su dieci situazioni, ciascuna delle quali è graficamente rappresentata attraverso immagini satellitari.
Ovviamente c’è la barriera di separazione che divide Stati Uniti e Messico, con i suoi (finora) 555 kilometri fatti di acciaio, cemento e filo spinato, sempre più fortificata e militarizzata; c’è il muro che Israele sta costruendo dal 2002, dichiaratamente a fini di sicurezza, che divide un popolo e sottrae illegalmente terre al territorio palestinese; c’è poi il muro che dal 1953 segna la demarcazione tra due mondi, più ancora che tra due paesi, la Corea del Nord dalla Corea del Sud; e ci sono i novantanove muri che dividono le comunità protestanti e cattoliche di Belfast in Irlanda del Nord.
Esistono poi comunità “murate”, ma al contrario, nel senso che il muro anziché essere prigione è una sorta di volontaria protezione dal mondo che c’è fuori, come il muro diAlphaville in Brasiledove dal 1978 l’élite metropolitana cerca sicurezza dalla criminalità di San Paolo. Altri muri recentemente eretti dividono e isolano vari quartieri della città di Homs nella Siria di oggi, devastata dalla guerra civile. L’ultima frontiera, avamposto politico dell’Europa, è quella che divide la Grecia dalla Turchia, lungo la quale il governo greco sta ora costruendo un muro lungo circa diecimila metri per impedire l’immigrazione in Europa da paesi del c.d. Terzo mondo.
Impressionante e altamente tecnologica è la barriera che si trova a Ceuta e Melilla, territorio appartenente politicamente alla Spagna ma geograficamente al Marocco, che segna idealmente la linea di divisione, invalicabile, tra l’Africa e l’Europa e che lo scrittore spagnolo Lorenzo Silva ha definito “un simbolo del fallimento dell’Europa e del genere umano in generale … una barriera che separa due mondi”. Si estendono per oltre 4000 kilometri le barriere di filo spinato che l’India ha pianificato e sta costruendo per circondare e isolare da sé il confinante Bangladesh, mentre circa 2700 kilometri di sabbia, pietre, filo spinato e mine costituiscono la più antica barriera di separazione ancora in funzione, che corre nel deserto del Sahara in un territorio conteso tra Marocco Algeria e Mauritania.
Oltre a quelli già menzionati, altri muri esistono, più o meno conosciuti, più o meno lunghi, più o meno militarizzati. Costruiti con i più vari pretesti e giustificazioni. Ma tutti accomunati da una cosa: la paura. E l’incapacità di trovare una soluzione diversa.
È da tempo che ci rifletto su, e il muro mi pare un paradossodifficilmente spiegabile in un mondo internazionalizzato come quello dove viviamo, in cui la libera circolazione delle merci e delle persone è obiettivo fondamentale e valore irrinunciabile tanto a livello sociale che economico. È un fenomeno in controtendenza rispetto ai nostri tempi, di universalizzazione – dei diritti, delle culture, delle economie, anche della criminalità – in cui “Tutto-Mondo diventa sempre più la casa di tutti” (detto con la bella espressione di Chamoiseau e Glissant) e che mette a nudo le debolezze della nostra società.
I muri dividono, isolano e impediscono la libera circolazione e lo sviluppo di un territorio. A volte, come nel caso di Gaza, i muri letteralmente imprigionano. I muri violano i diritti fondamentali delle persone, a partire dalla libertà di movimento, che comporta ricadute negative sulla maggior parte degli altri diritti individuali: alla salute, all’istruzione, al lavoro, etc.; i muri separano comunità e famiglie, limitano l’accesso all’acqua e al cibo e quindi ad un adeguato standard di vita.
Certo, nessun muro è eterno: i muri servono solo a prendere tempo, ci ammoniscono gli storici. Eppure sessant’anni dopo la sua costruzione, il muro che divide le due Coree sembra irrimediabilmente incastonato nel territorio e destinato a rimanere. Similmente, proprio in questi giorni è trapelata la notizia che i negoziatori israeliani avrebbero proposto di trasformare il tracciato della “barriera di separazione” nel confine permanente tra Israele e lo Stato palestinese. Da notare è che questo tracciato è statodichiarato illegale dalla Corte internazionale di giustizia dell’Onu già nel 2004 e sarebbe quindi da smantellare piuttosto che da rendere permanente.
Come affermato dallo storico Frederick Taylor a proposito del muro di Berlino: “Puoi fermare le persone, puoi porre loro dei limiti ma troveranno sempre una via. I muri mostrano che i politici hanno finito le idee in merito a cosa fare in una situazione difficile con il vicino, che non sono in grado di trovare una alternativa”.
Si tratta quindi forse del male minore e pertanto di una situazione da tollerare in attesa della fine del conflitto, del superamento dell’impasse? Il fatto è che il costo che i muri hanno sulle vite delle popolazioni interessate è altissimo. La storia ci insegna che al muro, ed al regime applicato in suo nome, è sempre associata violenza e morte. Berlino pochi giorni fa (il 9 novembre: la caduta del muro) ha ancora una volta commemorato le 136 vittime tedesche che trovarono la morte cercando di passare “dall’altra parte” nel corso dei 28 anni di esistenza del muro. Ma quante migliaia sono le vittime dei nostri muri moderni, di cui anche il mar Mediterraneo è entrato a far parte? E quante ne dovremo ancora commemorare prima che la politica sia in grado di trovare soluzioni più accettabili di un “semplice” muro di cemento, di una barriera elettrificata, delle mine e del filo spinato?
L'articolo apparso sul Guardian: http://www.theguardian.com/world/ng-interactive/2013/nov/walls#intro