Finalmente, doverosamente, il governo italiano decide di richiamare il suo ambasciatore dall'Egitto.
Renzi commenta che è stata una questione di dignità.
Quello che colpisce del caso Regeni anche in questo caso è vedere come se ne sottovaluti l'importanza politica e lo si riduca a una questione di umanità o di onore.
La madre di Regeni ha ricordato nella conferenza stampa più volte quest'altro piano, parlando in maniera diffusa dei segni delle torture e ricordando i motivi per cui suo figlio era lì: per fare ricerca sui sindacati repressi dal regime. Era una persona consapevole, non una vittima casuale.
È questo il piano che ogni volta manca, sia da parte egiziana in maniera plateale (il volerlo ridurlo a vittima o perché frocio, o perché malcapitato o perché in un gioco più grande di lui) ma anche da parte italiana (anche qui il volerlo ridurlo a quello che se l'è cercata: sprovveduto, militante, al soldo dei servizi segreti).
Sua madre l'ha ben definito: Giulio era un ragazzo contemporaneo, un cittadino del mondo. Parlava le lingue, faceva ricerca di alto livello, si occupava di questioni internazionali, difendeva i diritti di altri popoli. Questo suo essere un cittadino del mondo, un esempio, dovrebbero rivendicare il governo e i parlamentari a cui a parte rarissimi casi (vedi Manconi) del caso Regeni frega un cazzo: non sono in parlamento quando Gentiloni riferisce, non vanno alla conferenza stampa, se ne escono con puttanate sull'Egitto nostro alleato.
Aver perso un uomo - anche basta chiamare ragazzo un 28enne (è giusto che lo faccia una madre che ha perso un figlio non i giornali) - come Regeni è davvero una perdita per la politica italiana, non rivendicare oltre la dignità diplomatica un pieno riconoscimento del suo valore sarebbe stupido oltre che ingiurioso.
La verità su Regeni non è solo una questione giudiziaria o di dignità istituzionale. Ma è una questione politica enorme e sfaccettata: ci parla di tortura, di sparizioni dei dissidenti, del ruolo del diritto internazionale, di cosa significano i rapporti commerciali tra nazioni che hanno una forte contesa politica, della libertà della ricerca universitaria, dell'importanza dell'informazione, dei diritti sul lavoro, e ancora.
Sul volto di Giulio, dice la madre, c'era tutto il male del mondo. Combattere quel male non è una questione di empatia, altruismo, sensibilità, ma di volontà politica.
In tutto questo pesa e continua a pesare il ruolo di Repubblica. Dopo aver intervistato Al Sisi, responsabile come si è visto di una serie di depistaggi clamorosi, senza nulla chiedergli delle sparizioni, degli squadroni della morte, del regime, dell'andamento delle indagini, ma anzi facendolo sproloquiare dei rapporti meravigliosi tra Italia ed Egitto; da giorni Repubblica riporta il contenuto di una presunta fonte anonima che continua a mandare messaggi ambigui alla redazione del giornale con informazioni da una parte credibili dall'altra incredibili. Ma Repubblica rispetto a questa fonte non mette un filtro: come nel caso dell'intervista di Al Sisi si esime dal ruolo di selezione e intervento giornalistico e si limita a fare da megafono. A quello che ha detto Al Sisi, a quello che dice la fonte.
Segnalato da Marina Amadei
L'aspetto politico della vicenda Regeni
- Christian Raimo
- Categoria: Politica internazionale
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