La comunità carrarese, proprietaria degli agri marmiferi, deve assistere alla devastazione del suo ambiente naturale, senza poter avere voce in capitolo, da oltre due secoli e mezzo. Grazie alle leggi estensi e grazie alla passività e inerzia di molte delle amministrazioni che nel tempo si sono succedute alla guida del territorio (salvo eccezioni, di fatto poco incisive).
La tendenza alla privatizzazione degli agri marmiferi e quindi alla possibilità dei detentori di cave, di imporre una gestione del territorio sempre più pericolosa e contraria agli interessi della città, si è andata accentuando in parallelo con lo sviluppo delle tecnologie di estrazione e di utilizzo economico commerciale del materiale escavato. Se un tempo dalle cave si estraevano solo blocchi destinati all'edilizia e, in misura limitatissima, alla scultura e alla produzione di granulati, con un impatto ambientale relativamente limitato (i ravaneti erano però già imponenti e caratterizzavano il paesaggio montano sulla città) con l'introduzione di metodologie di estrazione molto più veloci (filo diamantato, ecc.) e con la richiesta, da parte dei mercati, di grandi quantità di carbonato di calcio, la spoliazione e devastazione delle Apuane è diventata incontenibile, sempre più veloce e sempre più impattante.
L'attività di escavazione si è completamente rinnovata, per cui diventa difficile non solo fare paragoni tra la produzione di cento anni fa, o anche solo di 40 o 50 anni fa e l'attuale. ma si può e si deve dire che tra quei sistemi industriali e produttivi di allora e quelli di oggi, non c'è più niente in comune.
Oggi siamo in una dimensione produttiva che potremmo definire postindustriale così come sono postindustriali i profitti crescenti, l'occupazione in caduta libera nel settore di produzione e trasformazione e le conseguenze sempre più gravi sull'ambiente. Basterà pensare alle dimensioni che ha assunto il fenomeno delle polveri che ha gravissimi riflessi sulla salute della popolazione e non è stato certamente risolto trasferendo il trasporto dei marmi da una parte a un'altra del territorio con la Strada dei Marmi. Ed è sotto gli occhi di tutti l'incidenza negativa dell'attività estrattiva sul sistema idrogeologico, della marmettola che impermeabilizza i corsi d'acqua e intorbida le sorgenti, della deviazione e canalizzazione dei torrenti per realizzare strade per i camion del marmo, della formazione di ravaneti su declivi boscosi ed altro ancora. Non si può più pensare di affrontare politicamente e socialmente l'escavazione del marmo come 50 anni fa.
C'è stato un salto tecnologico, industriale, produttivo e commerciale che ha determinato una dimensione quali-quantitativa del settore così diversa e ampia che è ridicolo solo pensare di poterlo normare sulla base delle leggi estensi. Salute e lavoro, ambiente e produzione sono rapporti che vanno ridefiniti radicalmente e che non possono più trovare risposte accettabili nel quadro dell'economia liberista dominante e delle attuali forme di democrazia delegata. E infatti non le hanno trovate. La situazione di oggi crea forti tensioni sociali destinate a crescere.
La collettività non può più essere esclusa dalle decisioni e dal governo effettivo e diretto del territorio. Lo sfruttamento e la devastazione di un territorio, e quindi anche del nostro, non sono più delegabili, perchè il diritto alla salute e la salubrità e vivibilità dell'ambiente non sono contrattabili, contabilizzabili, e delegabili, essendo diritti umani fondamentali. In altre parole occorre porsi di fronte a questi problemi con una cultura nuova che va prodotta attraverso la partecipazione dal basso, cosa che fino ad oggi non è mai stata accettata, come dimostrano anche le esperienze popolari di lotta per la salute e l'ambiente avvenute in questo territorio (da quelle contro la Farmoplant e l'Enichem che portarono anche a un referendum vinto dalla popolazione contro i partiti e i sindacati) a quelle per la sicurezza dopo l'alluvione del 5 novembre 2015.
Non si può accettare che la produzione di marmo possa continuare nei modi selvaggi e senza limiti di oggi. Nell'immediato, prima che il problema marmo possa venire reimpostato e ripensato nei termini sopra accennati, che richiedono cambiamenti di sistema politico ed economico che non sembrano attualmente a portata di mano, crediamo che ci siano dei provvedimenti possibili da prendere. Ne facciamo un elenco che sicuramente è incompleto e perfettibile. Tutti gli agri marmiferi, nessuno escluso, vanno considerati di proprietà della collettività carrarese la quale attraverso i suoi organismi istituzionali e la popolazione ne autorizzerà la coltivazione, temporanea e a titolo oneroso e ne definirà le modalità. I cosiddetti "beni estimati", rappresentando un abuso le cui origini secolari non ne rendono meno illegittima l'esistenza e il diritto, vanno aboliti come, del resto, ha indicato la Corte Costituzionale. La concessione di coltivazione non può essere ereditaria, a tempo indefinito, vendibile o subappaltabile. L'esistenza del cosiddetto socio esperto va perciò vietata, perché è solo un marchingegno ingannevole per reintrodurre surrettiziamente la vergogna delle rendita parassitaria dei settimi. O il concessionario lavora direttamente la cava o la cava deve ritornare nelle disponibilità della collettività che provvederà, mediante gara, a nuova assegnazione. Il corrispettivo da pagare alla collettività per lo sfruttamento degli agri dovrà essere calcolato sull'effettivamente escavato e sul valore reale di mercato del materiale estratto e sulle modifiche apportate all'ambiente e non su ipotetiche medie.
Sulle quantità e qualità dell'escavato deve essere esercitato un controllo accurato e costante che impedisca qualsiasi forma di produzione e di pagamento in nero. Devono essere tassativamente vietati e sanzionati con la caducazione, la modifica dei crinali dei monti; l'escavazione al di sopra dei 1200 metri; Il danneggiamento del sistema idrico naturale; la modifica, l'occupazione con detriti, la cementificazione, degli alvei dei torrenti e di ogni corso d'acqua che discendano dalle cave. La produzione deve essere contingentata, non deve essere inferiore al 20 % almeno di blocchi e non inferiore alla produzione di scaglie per il carbonato di calcio. L'asportazione delle terre deve essere totale in modo da garantire la sicurezza del territorio.
Le cave infine devono essere riconosciute come miniere e venire sottoposte alla legge mineraria vigente. Si deve infine provvedere alla revoca delle concessioni nei casi in cui la violazione delle norme fin qui indicate e della sicurezza siano accertate.
Anpi e Fiap Carrara