Interessante, e segno mirabile della strategia dei neofascisti, che l’identitarista, cattolico integralista, “pro-vita”, omofobo e amico dei nazisti, Fontana, centri il suo discorso da presidente della Camera su un elogio della “diversità”.
Proprio lui parla contro l’omologazione contro l’omologazione – lui che della lotta contro le diversità ha fatto una bandiera. Diversità ha sempre significato questo: scostamento da una norma – quanto ai comportamenti sociali, alle propensioni sessuali, a una presunta normalità di razza. Concettualmente, diversità significa negazione dell’identità. Diversità implica la Norma, e dalla Norma è sempre stata additata come Patologica.
Invocare l’orgoglio della Diversità ha sempre significato indicare la dignità di ogni comportamento singolare a prescindere dalla Norma – e anzi, far segno a un dissolvimento della Norma, in quanto implica necessariamente una patologizzazione della Diversità.
È un fatto, questo, così ovvio che nel linguaggio di senso comune “diverso” era sinonimo di gay – quei gay così inaccettabile per l’identitarista Fontana.
Ma come accade non da oggi, i fascisti, i neofascisti, i parafascisti e i criptofascisti tendono a “normalizzarsi” appropriandosi dei concetti altri, svuotandoli, risignificandoli. Nell’orizzonte discorsivo di Fontana, la Norma diventa il globalismo, quel globalismo che impone – nella prospettiva dei Fontana – il dissolvimento della Tradizione, delle Identità: di Dio, Patria e Famiglia, quel trinomio così indistintamente caro a fratelliitalioti e leghisti.
Rivendicare la Diversità, allora, con una esemplare operazione di rovesciamento di senso, significa rivendicare il valore dell’Identità, quell’Identità di Tradizione così messa a rischio dal globalismo planetario, quel globalismo che dissolve tutti i rapporti stabili – cosa vecchia, come sappiamo: non è da ieri che il capitalismo affoga “nell’acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell’esaltazione religiosa”.
Come sempre, ovviamente, dai vari Fontana non è certo il capitalismo nei suoi aspetti strutturali che viene messo in questione; da questo punto di vista, si tratta semmai di tornare al valore originario di quel famoso enunciato della Thatcher “la società non esiste, esistono solo gli individui e le famiglie”, dove a fondamento della rivoluzione neoliberale si poneva proprio un’inedita congiunzione tra liberismo economico e conservatorismo etico (come ha messo bene in luce Roberto Ciccarelli nel suo Una vita liberata).
Un tradizionalismo che fa bene il paio con quello dell’altro presidente, La Russa, che invoca la festa del Regno, per disinnescare il valore fondazionale del 25 aprile. Lo ricordiamo, La Russa, comiziare dal palco nel film di Bellocchio “Sbatti il mostro in prima pagina”, gridando di “oltrepassare fascismo e antifascismo” – e di sicuro gli va riconosciuta la coerenza.
Queste scelte come presidenti dei due rami del Parlamento sono segni evidenti di come la vera natura del governo presente è quella gridata alle adunate di Vox, e che quando parliamo di fascismo al governo non stiamo esagerando. Conviene ribadirlo: nessuno pensa al fez e manganello, il fascismo si è adeguato ai tempi, adesso abbiamo davanti fascisti postfascisti (o “fascistoidi”, come li chiama Lea Melandri). In ogni caso, cuori neri, che hanno in odio ogni diversità, a dispetto delle loro capriole semantiche.
Pubblicato su Il Manifesto del 15 ottobre 2022 - Tratto dalla pagina FB dell'autore