In questi ultimi anni abbiamo più volte indicato non solo l’afonia dei cattolici in politica – la debolezza di rilevanza nella progettazione e nella costruzione della polis – ma anche le cause che l’hanno prodotta, tra cui l’intervento diretto in politica di alcuni ecclesiastici e la scelta di agire come un gruppo di pressione. La diaspora dei cattolici in politica agli inizi degli anni ’90 appariva non solo come una necessità motivata, ma anche come una preziosa “opportunità”, una “benedizione”: rendeva infatti evidente che la comunità cristiana vive di fede e di coerente comportamento etico, ma non di soluzioni tecniche nella politica e nell’economia.
Di fatto però questa diaspora si è ridotta a irrilevanza e, fatto ancor più grave, ha lasciato segni di contrapposizione e forti divisioni tra i cattolici stessi. In tale ambiguità, proprio per l’esposizione diretta avuta da alcune figure rappresentative della Chiesa, questa ha subito una perdita di credibilità e nella comunità cristiana è apparso, dopo una stagione di grandi convinzioni, un sentimento di scetticismo, di frustrazione, anche di cinismo…Potremmo dire che comunità cristiane depresse sul versante politico, per incarnare comunque il Vangelo hanno scelto di privilegiare una presenza sociale fatta di volontariato, di carità, finendo però anche di aumentare la sfiducia verso la politica. Alcuni hanno tentato di essere “cattolici in politica” senza integralismi e cercando di restare ispirati dalla propria fede. Ma sono stati irrisi come “pretenziosi cattolici adulti”, considerati inadeguati alla strategia in atto se non addirittura presenze nocive nel necessario confronto con la polis.
Ora il vento è cambiato e ha fatto sentire come una certa “aria ammorbata” vada purificata: si ritiene allora opportuno abbandonare la strategia adottata in questi ultimi vent’anni, senza tuttavia confessare gli errori compiuti, senza assumersi alcuna responsabilità per questo impoverimento del tessuto ecclesiale e, di conseguenza, della presenza dei credenti in politica. Ecco allora ancora una volta il ricorso alle associazioni cattoliche, minoranze ispirate dalla fede cristiana ancora attive e presenti nel paese, ecco l’appuntamento di Todi.
Evento certamente importante, che viene dopo anni di non ascolto reciproco, nonostante da parte dell’autorità ecclesiastica si sia tentato di far cessare guerre e inimicizie tra le varie associazioni già alla fine degli anni ’90. E il ritrovarsi questa volta è finalizzato a rispondere a una domanda: quale presenza significativa i cattolici possono avere in politica in questo momento giudicato di grave crisi a tutti i livelli per il nostro paese?
Ma proprio questo evento suscita anche una domanda di fondo negli appartenenti alle comunità cristiane: perché un incontro su tematiche che riguardano tutti i cittadini cattolici viene riservato invece alle associazioni che, salvo l’Azione Cattolica, peraltro soffrono attualmente di un forte depotenziamento a livello di convinzioni? Più volte in questi vent’anni abbiamo auspicato un “forum” che nelle varie chiese locali raggruppi tutti i cattolici per favorire la conoscenza e il confronto su temi che richiedono una traduzione politica. Abbiamo specificato che questo “forum”, aperto a rappresentanti di tutte le componenti della Chiesa, dovrebbe, in un dialogo libero e fraterno, cercare ispirazione dal Vangelo e confrontarsi con la dottrina sociale della Chiesa, restando tuttavia su un terreno prepolitico, preeconomico, pregiuridico, nella consapevolezza che la traduzione di queste ispirazioni cristiane messe a fuoco insieme appartiene ai singoli cattolici che devono confrontarsi negli spazi politici in cui sono presenti e con tutti gli altri cittadini.
Nessun integralismo, nessuna pressione lobbistica, nessuna imposizione, ma la riaffermazione che essere cattolici in politica significa da un lato restare ispirati e coerenti con la propria fede e, d’altro lato, nel dialogo rispettoso con gli altri cittadini, cercare faticosamente soluzioni politiche, economiche, giuridiche adeguate alle esigenze che si presentano e al bene comune che intende salvaguardare e costruire. Così facendo, se anche i cristiani apparissero una minoranza, non ci sarebbe nulla da temere perché sarebbero una presenza significativa capace di costruire alla formazione di politici con a cuore il bene comune, alla progettazione di un nuovo patto educativo, all’ideazione di un futuro per le giovani generazioni; una presenza in grado di fornire esigenze etiche di umanizzazione e contributi decisivi in quel confronto di idee e decisioni che oggi tanto difetta.
Quello di Todi non è stato un “forum” di questo tipo, anzi: ha rischiato di cedere alle sollecitazioni perché fornisse soluzioni solo politiche e contingenti: Eppure c’erano state alcune indicazioni che avrebbero potuto mettere in guardia i partecipanti, a partire da quelle del segretario della CEI Mons. Crociata che, ai politici che si dicono cattolici, ha recentemente ricordato che esiste un primato della fede, luce per ogni scelta, una comunione tra cattolici che li precede e che deve manifestarsi nel discernimento di ciò che il Vangelo chiede; ma nel contempo ha sottolineato che c’è un diverso ordine che riguarda il carattere contingente della scelta politica di schieramento e la forma politica in cui i cristiani sono chiamati a operare.
Nessun partito cattolico, quindi, e neanche di “cattolici” hanno ripetuto diversi vescovi, né tantomeno un “partito della Chiesa”. La laicità della politica va assolutamente salvaguardata e i cattolici dovranno inevitabilmente operare con responsabilità una scelta di campo che li renda una “parte” di schieramenti o di spazi politici in cui si collocano.
Ma non è questo per ora ad apparire decisivo, quanto piuttosto recuperare le ragioni profonde dell’azione nella polis, il tessere un dialogo nella comunità cristiana per essere muniti di ispirazione, il sapersi collocare nella compagnia degli uomini senza esenzioni ma assumendosi responsabilità, il saper parlare di progetti in termini non dogmatici ma semplicemente umani, antropologici affinché gli altri comprendano e possano confrontarsi liberamente con i cristiani, lasciando poi alle regole della democrazia e ai suoi criteri le scelte necessarie ai diversi livelli e le esigenze del legiferare per il bene della convivenza.
E in questo spazio prepolitico di confronto i cattolici potrebbero anche imparare un’esigenza fondamentale per la loro fede: l’importanza di non fare letture parziali del Vangelo, privilegiando alcuni principi e valori e dimenticandone altri…Secondo Paul Valadier, lo statuto del cristianesimo è quello di essere una “religione anormale”: perché per ogni cristiano il rispetto asoluto della vita umana, il rifiuto della guerra,la salvaguardia della pace, la giustizia e l’uguaglianza sociale, il perdono del nemico, la riconciliazione nei conflitti sono tutti valori irrinunciabili. Impresa non facile certo, soprattutto in una stagione in cui riemerge l’atavica tentazione della religione: andare a braccetto con il potere politico finché il vento non cambia direzione.
Enzo Bianchi
Fonte: Comunità di via Gaggio - Lecco
Pubblicato su "La Repubblica" del 22 ottobre 2011