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In che paese siamo

Ministri che si dimettono e tornano a galla, altri inseguiti dalla Giustizia, religiosi in affari d’ogni genere e i cattolici disorientati
di Mario Pancera L’onorevole Umberto Bossi, leader della Lega Nord, dice alle sue camicie verdi che al momento non c’è bi sogno di usare i fucili perché per ora c’è la pace. Anni fa aveva spiegato che le sue armate erano pronte a marciare contro Roma. Bossi è ministro delle riforme per il federalismo e, nonostante l’handicap dovuto a un ictus, è in grado di manovrare come vuole i suoi elettori. Nello stesso tempo, cioè nell’annuale raduno leghista di Pontida, l’ingegnere Roberto Castelli, esperto di acustica, due volte ministro della Giustizia, oggi sottosegretario alle infrastrutture e ai trasporti, evoca la secessione nel tripudio di decine di migliaia di fedeli. Passano 48 ore: Bossi torna all’antico e dice che ci sono dieci milioni di leghisti pronti a battersi per la Padania. Notizie prese dai giornali.

Intanto, compare sotto i riflettori un ex sacerdote, già dirigente Fininvest, amico sia della Lega sia del presidente del consiglio Silvio Berlusconi, cioè il teologo Aldo Brancher che, eletto nelle file del Popolo della libertà, diventa ministro per l’attuazione del federalismo. Brancher è un imprenditore, esperto di economia e di finanza e molto amico di Giulio Tremonti, ministro dell’economia e delle finanze. Tremonti (già socialista, vicino, si dice, alle posizioni di De Michelis, personaggio messo alla berlina con la celebre frase «nani e ballerine» dallo stesso leader del tempo, Bettino Craxi) è stato più volte ministro nei governi Berlusconi.

Nel 2004, però, dovette dimettersi a causa di una controversia con l’onorevole Gianfranco Fini a motivo di conti non chiari nella finanziaria, ma tornò rapidamente in sella. Il suo successore, infatti, si dimise perché si era scontrato con uno scoglio: il cattolicissimo Antonio Fazio, a quel tempo governatore della Banca d’Italia. Fazio finì nel mirino della magistratura e nel 2005 si dimise a sua volta, ma intanto Tremonti era già lì. Fini e Tremonti sono ora nello stesso partito. Questi sono gli uomini, sempre secondo i mass media.

Si fatica a seguire gli intrecci, che si complicano ancora di più se si pensa a un altro ministro, due volte nominato nei governi Berlusconi e due volte costretto alle dimissioni: Claudio Scaiola. Figlio di un sindaco democristiano di Imperia e sindaco a sua volta, Scaiola, dicono, va a messa tutte le domeniche. Anni fa ha avuto problemi con la giustizia. Le sue prime dimissioni arrivarono dopo un’espressione pesante nei confronti di una vittima del terrorismo; le seconde dopo aver dichiarato di non sapere chi aveva pagato per lui una casa nel cuore di Roma. Religione e affari, la casta, la cricca e altri.

Ma ci sono anche altri casi di cui si occupa la magistratura: quello del cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli e quello del sacerdote (ma su sua richiesta ridotto allo stato laicale) Pierino Gelmini, fratello di un frate un po’ dimenticato, padre Eligio, già confessore dei calciatori del «Milan». Insieme col cardinale c’è l’ex ministro berlusconiano, Pietro Lunardi, anche lui oggi nei guai. Aspettiamo naturalmente i risultati, ma ci si domanda: che paese è mai questo? E la confusione non è solo ai vertici. È un paese in cui accade anche dell’altro, che spesso sfugge dopo poche ore dalla pu bblicazione. Piccole cose di fronte all’immensità della crisi, della marea nera, delle immigrazioni, delle guerre, dei terremoti, ma fanno parte della nostra vita, dove impera sovrano il dio denaro.

Solo due righe. A Bari viene assunto un muto per fare la guida in un museo, a Napoli si sfasciano le casse da morto dei cimiteri per far cuocere le pizze, a Genova si buttano i cadaveri per vendere i metalli delle bare. Palermo sta naufragando nei rifiuti e il sindaco sbotta: ma stiamo diventando come Napoli! e si poteva pensare che il sindaco di Napoli, offeso, gli rispondesse per le rime. Invece, silenzio. In mezzo a tanta immondizia i cattolici sono disorientati. E meno male che, per ora, la stampa c’è.


Mario Pancera