Il buon senso, ma anche la consapevolezza di non averne titolo, vista la mia distanza politica dal PD, mi spingerebbe a non rendere pubbliche queste parole confuse.
Eppure quanto sta accadendo, in quel partito, ma non diversamente dal congresso di SI, ed in generale quanto è accaduto in tutti questi anni, il feroce dibattito, i post dei militanti sui quali mi capita di imbattermi, mi porta a riflettere su un qualcosa che mi sta molto più a cuore e che va ben oltre il PD, investendo tutte le forze politiche, inclusa la sinistra in generale.
Mi riferisco a come dare senso e concretezza alla necessità e bisogno di vivere e praticare la diversità, perché anche questo è un tema fondamentale per la sinistra e per le forze progressiste.
Premetto che ho sempre provato diffidenza verso i grandi contenitori, realizzati magari con fusioni a freddo, preferendo lo sforzo di una pratica politica concreta e reale che porti le forze politiche vicine a riuscire a far pezzi di strada insieme, riconoscendo l'altro senza perdere parte della propria identità e storia, nella consapevolezza delle differenze di ciascuna, ma anche ponendo al centro gli elementi fondanti di un progetto politico che uniscono.
Se già quest'ultimo obiettivo è risultato quanto mai complicato, credo che sia ancor più impegnativo voler costruire un luogo che sia abitato e costruito da culture diverse, che sono rappresentative di differenti interessi e soggettività.
In entrambi i casi, ma ancor di più in quest'ultimo, è necessario avere gruppi dirigenti che siano davvero capaci di fare sintesi delle diverse posizioni, che riconoscano realmente e convintamente i valori e le verità che vengono portate avanti dai diversi soggetti.
Questa è l'unica condizione non solo per fare pezzi di strada insieme, ma, ancor di più, per provare a costruire insieme lo stesso edificio.
Purtroppo a sinistra, e ciò va ben oltre la possibile scissione del PD, a prescindere di come poi questa vicenda si concluda, abbiamo poca predisposizione a tradurre in passi concreti la necessità di fare pezzi di strada con soggetti diversi, cercando gli elementi unificanti.
Quel valore della diversità che è un elemento fondante del movimento delle donne necessita un agire concreto, non può essere ridotto a puro slogan..., necessita capacità dialoganti che sono lo sbocco naturale di un metodo altro di fare politica.
Ai compagni e agli amici del PD, ma in generale a me e ai compagni della sinistra, vorrei suggerire una maggiore attenzione quando si vogliono mettere insieme diversità, una maggiore cura e manutenzione, uno sforzo di gestire i conflitti, consapevole che il conflitto è il seme della democrazia.
Un soggetto o un percorso plurale non può essere gestito nella logica “maggioritaria”, perché questa logica schiaccia e non valorizza minimamente le diversità.
Non può nemmeno essere governato da una logica puramente proporzionale, intesa come mero sforzo di rappresentanza, ma è necessaria un'abitudine alla pratica di un sano metodo del consenso, che porti tutti i soggetti a raggiungere insieme l'obiettivo minimo possibile, senza forzare il passo più lungo che lascerebbe altri dietro oppure li spingerebbe verso il burrone, sapendo che i tempi di questo processo non sono i tempi di una cultura decisionista: ma dobbiamo essere consapevoli che la gestione di un gruppo complesso che si vuole mantenere unito non è la stessa di governare e amministrare.
Una pratica continua, che va sempre aggiornata e migliorata, di ascolto e di sintesi di una linea politica che sia condivisa, non scelta meramente a maggioranza.
Cura e attenzione, sapendo che ogni scissione - e alcune le ho vissute direttamente a partire dalle ultime vicende del PCI - è una sofferenza, non solo personale, ma anche politica... è l'esito di una inadeguatezza, di tutti i soggetti coinvolti, in particolare dei gruppi dirigenti, a praticare la cultura delle differenze.