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Cittadine giornaliste

La 25enne Ragae Hammidi di Casablanca, Marocco, ha una doppia vita. Cinque giorni la settimana frequenta una scuola commerciale, ma nei fine settimana è una giornalista che esce nelle strade con una piccola videocamera e gira video di persone e questioni che i professionisti dei media lasciano in disparte: “Riporto quel che accade alle ragazze e alle giovani donne. E’ la mia storia. Se quelli che avrebbero la responsabilità di farlo non lo fanno, allora ho il dovere di dirlo io.”, dice Hammidi. E fa un esempio. Il Marocco ha una legge che permette agli stupratori di evitare i processi se sposano le loro vittime. Nel marzo 2012, una giovane donna che era stata costretta a sposare il suo stupratore si è suicidata. Sono stati i cittadini locali a riportare la storia mentre i media professionali, temendo reprimende ufficiali, sono stati zitti.

“Riesci ad immaginare una giovane che prima viene violentata e poi forzata a sposare lo stesso tizio che le ha fatto del male? Ci sono molte storie simili, nel nostro paese, che non sono coperte dai media. Perciò tocca a noi cittadini parlarne. Prendiamo le nostre videocamere e i nostri cellulari e raccontiamo la storia mentre la vediamo accadere.”

Hammidi ha parlato delle sue esperienze durante il 1° Forum Globale su Media e Genere che si è tenuto a Bangkok (Thailandia) nella prima settimana di dicembre. Organizzato dall’Unesco, il Forum mira ad aumentare la partecipazione delle donne nei media ed anche il loro accesso alle nuove tecnologie di comunicazione. Hammidi ha ricevuto il suo training da “Global Girls in Media” un organizzazione per lo sviluppo mediatico che insegna alle studenti delle scuole superiori come diventare “cittadine giornaliste” e riportare istanze di genere.

Ci sono migliaia di cittadine giornaliste – la maggior parte di esse senza alcun addestramento – che danno notizie dal Marocco e da altri paesi arabi, inclusi Sudan, Tunisia, Bahrain, Egitto, Giordania, Yemen e, in modo rimarcabile, Siria. Tutti questi paesi hanno un tratto comune: i loro media tradizionali sono largamente controllati da governi che si oppongono alla libertà di stampa oltre un certo limite. Questo fatto, accoppiato al facile accesso alla tecnologia di internet, ha spinto i cittadini a prendere il giornalismo nelle loro mani. Il materiale che loro generano – articoli scritti, video, messaggi audio e fotografie – sta velocemente diventando una fonte primaria di informazione per un pubblico mondiale.

Fedwa Misk è l’editrice fondatrice di Qandisha, una rivista online di Rabat, Marocco. Sebbene si tratti di un prodotto mediatico del mainstream, lei dice che solo il 20% delle persone che ci scrivono sono giornalisti professionisti. La ragione, aggiunge Fedwa, è che la rivista solleva questioni “disturbanti e disagevoli” come lo stupro, l’abuso domestico, la tortura e le leggi regressive anti-donne. “Molte delle mie scrittrici sono donne che hanno fatto esperienza di tutto questo in prima persona, perciò c’è molta onestà nei loro pezzi. I lettori amano questa cosa. Abbiamo istanze in cui sono anche molto veloci nel rispondere, se chiamati all’azione.”

Molte cittadine giornaliste sono guidate dalla loro passione per le questioni di genere, e spesso sono disponibili ad offrire i loro lavori gratuitamente – un’altra ragione per cui molti media sono disponibili ad accettarli.

Bushra Al Ameen è la proprietaria di “Al Mahaba” una stazione radio comunitaria a Baghdad, Iraq, dedicata alle donne. Spesso usa contenuti forniti da cittadine giornaliste, soprattutto provenienti dalle aree che le sue reporter non riescono a raggiungere. “Dirigo una radio che trasmette per 18 ore al giorno.” dice, “Se cittadine giornaliste vogliono darci le loro storie, le prendiamo.” Ma costoro rischiano anche spesso le proprie vite, in special modo nelle regioni che sono politicamente instabili. Secondo le ricerche condotte dal Centro di Doha per la Libertà di Stampa, dall’inizio delle sollevazioni in Siria nel 2011 al novembre 2012, 72 reporter – inclusi cittadini/e giornalisti/e – sono stati uccisi.

“Prigione, sparatorie, stupri organizzati, tortura: questi giornalisti sono soggetti a varie forme di violenza ogni giorno. Tuttavia è difficile sapere il loro esatto numero perché molti di loro continuano a muoversi dentro e fuori il fare giornalismo.”, dice Abeer Saady, Vice Presidente del Sindacato egiziano dei giornalisti. Saady, una reporter di professione che è stata torturata fisicamente dalla polizia egiziana, tenta di identificare, localizzare e istruire le donne cittadine giornaliste nei paesi arabi: “E’ molto importante che esse ricevano training sulla sicurezza, perché se qualcosa accade loro, nessuna compensazione sarà pagata.”

Peter Townson, scrittore principale del Centro di Doha per la Libertà di Stampa, pensa che abbiano bisogno di training anche su come si racconta una storia: “Nella maggior parte dei casi non si possono verificare le fonti. Perciò di base tu non sai quanto ciò che viene riportato è reale e quanto è esagerato.” L’unico modo per rimediare, dice, è identificare e addestrare i cittadini giornalisti.

Rachael Maddock-Hughes, direttrice di strategia e partnership a World Pulse, un’organizzazione attivista con 50.000 cittadine giornaliste, è d’accordo. World Pulse, che ha la sua base nell’Oregon (Usa), addestra le attiviste sociali al giornalismo dal basso in 190 paesi. “Canalizziamo anche le loro storie e le loro soluzioni ai media del mainstream.”, dice Maddock-Hughes. Il programma, spiega, aiuta le donne ad articolare meglio i loro messaggi e permette loro di essere prese più sul serio e di raggiungere un pubblico più ampio, soprattutto su questioni come la violenza di genere.

Shekina, una delle cittadine giornaliste addestrate da World Pulse, è stata la prima donna a scrivere contro la pratica dello “stirare i seni” nel suo paese dell’Africa occidentale, il Camerun. Girò anche un video in cui si vedevano donne anziane applicare ferri da stiro bollenti sul petto delle adolescenti, per impedire ai loro seni di svilupparsi. Il video sollevò indignazione e la domanda globale affinché fosse messo fine alla pratica. Allo stesso modo, attiviste diventate giornaliste dal basso, hanno scritto e lanciato campagne mondiali contro pratiche sociali come la mutilazione genitale femminile e l’ostracismo subito dalle ragazze durante le mestruazioni.

Ci sarebbe ancora più azione e impatto diretto, se più persone a livello di base avessero accesso ad internet, dice Meribeni Kikon, una cittadina giornalista di Kohima nello stato indiano del nordest Nagaland. Lei scrive sulle diseguaglianze di genere praticate dalle chiese locali e della violenza contro le donne, come gli stupri. Dice che tali questioni non possono essere riportare dai distretti, perché non hanno connessione ad internet: “Se le donne avessero l’accesso a internet, potrebbero non solo testimoniare, ma anche cercare aiuto in situazioni di crisi.”

Anche Eun Ju Kim, prima direttrice donna di International Telecom Union (ITU), Asia-Pacifico, sottolinea il ruolo della tecnologia nel promuovere l’eguaglianza di genere: “Nel mondo intero donne e ragazze sono dietro agli uomini perché manca loro l’accesso ad eguali opportunità nella tecnologia informatica. L’accesso alla banda larga è oggi critico per l’empowerment delle donne.”

Ndt.: il Forum ha rilasciato la seguente Dichiarazione finale.

Noi, le delegate al Primo Forum Globale su Media e Genere, tenutosi a Bangkok, Thailandia, dal 2 al 4 dicembre 2013, dichiariamo il nostro impegno verso i fondamentali diritti umani iscritti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, la promozione dell’eguaglianza di genere dentro ed attraverso i media, l’empowerment delle donne, e la creazione di un’Alleanza Globale su Media e Genere (GAMG).

CORNICE:

Noi riaffermiamo gli esiti della Dichiarazione di Pechino del 1995 e della Piattaforma d’Azione.

Noi riconosciamo che i media hanno un ruolo cruciale nel promuovere la piena partecipazione delle donne in ogni aspetto della vita e della società e, a tal scopo, invitiamo l’Unesco e l’Agenzia Donne delle Nazioni Unite a sottoscrivere questa Dichiarazione ed a implementare le sue raccomandazioni.

Invitiamo anche le altre Agenzie delle NU, corpi intergovernativi, organizzazioni mediatiche, istituti di addestramento e sviluppo, organizzazioni professionali, donatori, ditte e fondazioni commerciali, rilevanti ong e istituzioni educative, ad abbracciare questa Dichiarazione e a sostenere l’implementazione delle sue raccomandazioni in modo appropriato.

IMPEGNO:

Noi siamo impegnate per l’equità di genere e l’empowerment delle donne attraverso le generazioni, per la piena partecipazione e l’abilitazione all’accesso all’espressione e al processo decisionale per le donne, promuovendo media inclusivi rispetto al genere e un ambiente comunicativo che raggiunga l’eguaglianza di genere nelle organizzazioni dei media, sindacati, istituzioni per l’istruzione e l’addestramento, associazioni professionali dei lavoratori nei media, corpi di regolamentazione e auto-regolamentazione nei media; che ottenga la bilancia di genere nei consigli d’amministrazione e manageriali che governano i media e i cui livelli definiscono la politica delle compagnie, prendono decisioni finanziarie, e hanno la supervisione delle operazioni nei media, influenzando perciò i seguenti aspetti:

accesso e partecipazione alle piattaforme digitali;

sicurezza delle donne nei media;

raffigurazione positiva, non stereotipata e bilanciata attraverso tutte le forme di media e i contenuti degli stessi;

promozione di principi etici e di politiche che sostengano l’eguaglianza di genere;

miglioramento della diffusione di genere all’interno dei gruppi occupazionali dei media;

potenziamento dei comunicatori con abilità mediatiche, informative e letterarie che possano aiutare l’avanzamento della causa dell’eguaglianza di genere.

Noi sosteniamo lo stabilirsi dell’Alleanza Globale su Media e Genere (GAMG), in linea con i principi e obiettivi delineati nella cornice.

Noi chiamiamo l’Unesco e l’Agenzia Donne delle Nazioni Unite, così come la famiglia delle NU e tutte le organizzazioni partner ad unirsi all’Alleanza Globale su Media e Genere e a contribuire all’implementazione della sua Cornice e del suo Piano d’Azione.

Noi chiediamo all’Unesco e all’Agenzia Donne delle Nazioni Unite di disseminare ampiamente, attraverso il sistema delle NU, le nostre proposte per l’inclusione di Genere e Media nell’agenda dello sviluppo sostenibile Post 2015, in particolare nello scopo relativo a Eguaglianza di Genere e Potenziamento delle Donne (Annex I) e nello scopo della buona governance, e nella Conferenza NU sulle Donne del 2015 (Annex II).

Noi chiamiamo anche chiunque può aiutare l’Alleanza Globale su Media e Genere (GAMG) ad unirsi a noi nel sostenere per le donne l’accesso alle opportunità e ai benefici che la società della conoscenza e le tecnologie mediatiche stanno portando all’umanità oggi e che potrebbero in futuro portarne ancora di più.

(P.S.: Be’, fa piacere vedere che non siamo solo Boldrini e io a pensare che i media hanno influenza sulle vite delle donne, eh?)