Le critiche all'appello per il 13 febbraio erano volte a dare alla manifestazione l'impronta della soggettività femminile evitando il rischio grave di dividere le donne fra 'per benè e 'per malè; il dibattito da riprendere sulla prostituzione; il problema della diversità della sessualità maschile.
- Barbara Bertoncin: Alla vigilia della manifestazione del 13 febbraio, alcune donne avevano avanzato critiche e perplessità sulla formulazione dell'appello. In particolare non era piaciuta la distinzione tra donne "per bene" e donne "per male". Anche tu sei intervenuta...
- Luisa Muraro: Per capire il dibattito che si è aperto attorno alle manifestazioni del 13 febbraio per me è importante ricordare alcuni precedenti. Già in passato Concita De Gregorio e altre donne avevano espresso una specie di sollecitazione impaziente, e anche polemica, nei confronti delle donne perchà - a loro dire - le donne non reagivano come avrebbero dovuto davanti a certi problemi e a certi scandali.
Il primo precedente è l'appello "Usciamo dal silenzio" per difendere la legge 194 sull'interruzione di gravidanza, legge la cui modificazione stava diventando merce di scambio tra politici italiani e vaticani. In quell'occasione alcune, in risposta polemica a quell'invito, avevano coniato uno slogan giusto e spiritoso, "Mai state zitte". Infatti il femminismo in Italia non ha mancato di far sentire la sua voce, con i mezzi di cui dispone. In definitiva a Milano ne è nata una grande manifestazione, ma con una parola d'ordine modificata: non "usciamo dal silenzio" ma "siamo uscite dal silenzio". Anche nel recente appello della direttrice dell'"Unità", Concita De Gregorio, "Dove siete donne? Diciamo 'ora bastà", lanciato dopo lo scandalo che porta il nome di Ruby Rubacuori, si sente prevalere questo atteggiamento di implicita accusa alle donne di non indignarsi abbastanza o di non manifestare la loro indignazione. Si tenga presente che sui giornali, sulle riviste, in televisione, alle donne che non fanno parte del mondo dello spettacolo o del do ut des politico, raramente viene offerto spazio per dire quello che pensano. Io stessa, che sono tra le femministe più conosciute, dovrei fare anticamera, cioè chiedere, aspettare e stare alle condizioni. Il che non è facile per una donna normalmente impegnata nella vita di tutti i giorni. Una volta, in occasione di un pubblico dibattito, mi proposi di correggere un duplice errore ripetuto da molti (la legge 194 presa per una legge abortista; le femministe confuse con i radicali che parlavano di diritto all'aborto, mentre noi abbiamo chiesto la sua depenalizzazione senza farne un diritto), perciò mi rivolsi al "Corriere della sera", sede del dibattito e del tenace errore; ho avuto lo spazio che chiedevo ma per averlo sono stata mezza giornata al telefono. Dopodiché ti senti dire: perché state zitte? Insomma, una cosa doppiamente irritante. Questo, in breve, è l'antefatto più polemico.
Poi c'è la questione di merito. Ci sono state due chiamate nazionali alla manifestazione, l'appello lanciato da Concita de Gregorio e sottoscritto da altre, seguito da un manifesto intitolato "Se non ora quando?". L'appello, secondo me e molte altre, conteneva delle cose inaccettabili. La più inaccettabile era quella di dire che tutte le donne che non scelgono la prostituzione devono andare a manifestare la loro indignazione dicendo: "Ora basta". Da qui, l'idea di donne italiane che vanno a manifestare la loro dignità provviste di carta d'identità e rivestite di una sciarpa bianca. Con qualche correzione, questo spirito perbenista si ritrova anche nel documento successivo che indice le manifestazioni per il 13 febbraio.
Invitata da una giovane amica a firmare il primo appello, che stava raccogliendo molte firme, ho scritto un testo che ha girato parecchio in internet sul perché non l'avrei firmato: respingevo la separazione fra le donne coinvolte nello scandalo e le altre. Ho spiegato che per me una donna che si prostituisce non sta vendendo tutta se stessa, c'è una parte di lei che resta riservata. Infatti, parlando con donne che si prostituiscono, quasi nessuna, se non proprio per somma provocazione, accetta di essere chiamata, non dico nel termine volgarissimo che si usa, ma neanche "prostituta". Non dicono: "Io sono una prostituta", bensì "Mi prostituisco", presentandola come un'attività in cui non si identificano totalmente. Perciò la separazione cui accennavi, di quelle per bene e di quelle per male, è sbagliata umanamente e politicamente. La correzione è servita; alla manifestazione di Roma, il 13 febbraio, una giovane donna si è emblematicamente rivolta a Ruby Rubacuori (che in realtà si chiama Karima El Mahrug), collegandola idealmente alla manifestazione. Nella pratica femminista, non assumiamo le identità imposte, nè le imponiamo alle altre, ma ascoltiamo quello che l'altra ha da dire di sè e che vuole dire. A proposito di identità: nella preparazione delle manifestazioni, nella fase ancora perbenista, su Facebook si faceva il gioco di assumere identità storiche evocando i nomi di grande donne del passato: "Io sono Anna Kuliscioff", "Io sono Rosa Luxemburg", "Io sono Sibilla Aleramo": a una mia giovane amica ho suggerito di presentarsi con il soprannome di Karima e così lei ha fatto: "Io sono Ruby Rubacuori".
- Barbara Bertoncin: L'altra tua critica riguardava il fatto di appellarsi solo alle donne.
- Luisa Muraro: Il Berlusconi è andato al potere - e che potere - grazie a complicità, debolezze e stupidità del ceto politico maschile: dovevano fermarlo subito e non l'hanno fatto, gli hanno dato un credito che non dovevano dargli. Questa la critica mia e di altre: perché chiamate le donne quando le responsabilità sono maschili?Anche questo difetto d'impostazione è stato parzialmente corretto perché a un certo punto si è deciso di far confluire nella manifestazione delle donne anche quella già programmata da un gruppo di personaggi della televisione.
L'aver criticato e discusso per dieci giorni è servito a impostare e a far vivere diversamente l'iniziativa: la manifestazione ha preso un taglio che a giudizio di molte donne e di alcuni commentatori è stato qualcosa di nuovo, di inedito. Io non ci sono andata, ma mi sono fatta raccontare da molte in molte città.
- Barbara Bertoncin: In piazza ognuna ha portato il suo pezzo d'indignazione, di delusione e di rivendicazione. Le giovani donne hanno portato anche la loro precarietà...
- Luisa Muraro: Quello di non aver un mercato del lavoro che ti offra delle opportunità di autorealizzazione è un problema di sostanza, vitale; l'impossibilità di investire in qualcosa che ti piace, che ti corrisponde, per cui ti sei preparata, è qualcosa di molto duro da accettare. Il 13 febbraio si è manifestato per tanti motivi e con umori molto vari. È probabile, come dici tu, che le donne più giovani abbiano portato soprattutto la rabbia e la protesta per lo stato delle cose dal punto di vista del loro lavoro. Nel suo discorso, fatto a Roma, Alessandra Bocchetti ha dato voce anche ai loro sentimenti. Si tratta di persone giovani, maschi e femmine, che sono cresciute con progetti di vita che ora si rivelano non realizzabili. Non è una cosa da poco veder fallire un pezzo di vita, dover ricominciare a pensarsi in altri termini, molto più faticosi. Non mi sembra che i giovani siano rassegnati a questa svolta, per ora insistono perché gli si aprano le porte che si sono chiuse, alcuni tuttavia cercano di capire e di attrezzarsi per il futuro, altri invece emigrano.
- Barbara Bertoncin: Tu comunque non eri contro la manifestazione...
- Luisa Muraro: Io ho criticato l'appello, ma non ho parlato contro la manifestazione, la mia posizione è stata di contribuire a dare alla manifestazione l'impronta della soggettività femminile e della politica delle donne. Tanto è vero che il secondo testo che ho scritto, quello pubblicato sul "Corriere della sera", mi hanno raccontato che è stato letto e applaudito nel corso della manifestazione di Venezia in campo Santa Margherita. Ho ricevuto critiche e consensi. Ricordo con simpatia la giovane donna che mi ha scritto: "è la mia prima manifestazione, io non mi farò strumentalizzare, ci voglio andare", facendo quasi intendere: per favore, non rovinarmela, non sciuparmela.
D'altra parte, secondo me era ora di dare una smentita a quelli che dicevano: "Ma dove sono finite le donne? Sono sparite, non parlano". Sono anni che i giornali continuano con questo ritornello, perché non hanno capito che la politica delle donne non ha le caratteristiche della politica tradizionale: organizzazione, comunicati stampa... Un giornalismo più attento non avrebbe difficoltà a registrare il fiorire di iniziative e di sapere che il femminismo produce da decenni in questo Paese.
Insomma c'era anche da andare a dire: "Noi ci siamo, noi esistiamo". Alcune sono andate in piazza con dei loro manifesti. All'Udi di Palermo hanno discusso l'appello "Se non ora quando?", lo hanno commentato criticamente, hanno scritto un loro testo e il 13 febbraio sono andate a distribuirlo in piazza, e lo stesso in altre città. Quindi la manifestazione è come virata in un senso più femminista, più all'insegna della politica delle donne. Con uomini però. Questa è una novità, la presenza di uomini che erano accettati e partecipavano.
- Barbara Bertoncin: Tu, che hai fatto tante lotte per la libertà femminile, che idea ti sei fatta delle cosiddette "ragazze dell'Olgettina"?
- Luisa Muraro: La questione la tiri fuori molto giustamente. A suo tempo, intervistata da Radio Popolare: "Sono complici o vittime?", "Nè l'una nè l'altra cosa - ho risposto -, sono una controparte". Sul sito Dea (www.donnealtri.it), qualche giorno fa, il 23 febbraio, Letizia Paolozzi, che è tra quelle che hanno criticato la manifestazione ma senza antagonismo, ha proposto un consuntivo di come sono andate le cose dicendo cose, a mio avviso, condivisibili fra le quali che bisogna porsi la domanda che mi fai tu. Il titolo del suo contributo è Prostituzione: anche noi donne ripensiamoci. Io ho posto questo tema anche alla redazione di "Via Dogana" perché bisogna che ci pensiamo.
Letizia Paolozzi ha ricordato anche l'impegno di Roberta Tatafiore su questo terreno.
A suo tempo incontrammo Carla Corso e Pia Covre che avevano fondato il movimento delle Lucciole e vennero alla Libreria delle donne; su "Via Dogana" c'è un testo che racconta quell'incontro. Quindi non siamo del tutto nuove a queste tematiche. Io ne ho discusso più volte, sempre a un livello un pò informale, con Francoise Collin, che ha fondato la rivista teorica più valida del femminismo francese, che purtroppo ha cessato le pubblicazioni (in Italia siamo state più tenaci). Lei è nettamente opposta alla prostituzione; l'ho ascoltata a un dibattito alla Maison des sciences de l'homme di Parigi, un'istituzione importante del pensiero sociologico, cui partecipavano anche femministe sostenitrici della libertà di prostituzione, che chiedevano lo sdoganamento di questa attività femminile. Questa era anche la posizione di Roberta Tatafiore. Francoise, invece, è rimasta ferma nella sua posizione, che in parte è anche la mia e di molte altre donne, per cui il commercio sesso-soldi non è un lavoro come gli altri e non è una pratica accettabile.
Credo che oggi si debba tornare a parlarne, che per me significa soprattutto lottare per impedire la banalizzazione della prostituzione.
Da destra, forse per difendere il capo del governo dalla ripugnanza che suscita il suo uso delle donne, è partita una campagna, capeggiata da Sgarbi e altri, volta appunto a banalizzare la prostituzione. Purtroppo, da sinistra hanno risposto in una maniera che giudico moralistica. È moralismo prendere le distanze da certi comportamenti femminili senza vedere che in un certo uso maschile dei corpi femminili, c'è una questione immediatamente politica, come più volte ha mostrato e dimostrato Ida Dominijanni. C'è indubbiamente anche la questione del decoro del capo del governo, della figura che fa l'Italia, però, a restare a questo livello, o si cade nell'ipocrisia (che tra l'altro ha già colpito duramente il mondo cattolico a proposito della pederastia) o si finisce in un moralismo strumentale, fatto per attaccare Berlusconi.
Sappiamo che quest'uso dei corpi femminili, della sessualità femminile, della "presenza" di giovani donne belle, da mettere lì per ornamento, si pratica in tanti modi. Si tratta di una mercificazione degli esseri umani: che le interessate pretendano dei soldi in cambio, questo mi pare l'aspetto meno problematico.
- Barbara Bertoncin: Tu ritieni però che qui ci sia dell'altro...
- Luisa Muraro: Il circuito sesso-potere-soldi, questo è l'aspetto che non bisogna banalizzare e che non è affatto facile da rompere. Non dobbiamo fare le cose troppo facili quando si discute di questa faccenda, perché c'è di mezzo la sessualità maschile. La sessualità maschile è molto diversa da quella femminile. Ora, se si va a specificare che cos'è questa differenza sembra che sfugga, ma quando sei in rapporto con un uomo sai bene che salta fuori.
Certo, ci sono uomini che "si inclinano", che sono convinti dal modo femminile di intendere il corpo, il piacere, per cui ci può essere gioia, scherzo, reciprocità. Tuttavia, la sessualità maschile ha delle caratteristiche che sono un pò meccaniche. Chiunque abbia fatto l'amore con un uomo lo sa. Dopodiché, se l'uomo vuole un pò di bene alla sua compagna, cercherà di venire incontro a un'esigenza femminile di vicinanza, di compagnia. Non sempre: io ricorderò sempre lo shock che ho avuto di fronte a un uomo, non uno sconosciuto qualsiasi ma un uomo fine, sofisticato, colto: costui, il giorno dopo la prima volta, è sparito per una settimana senza dire niente. Alle mie rimostranze, beh, ha reagito come se volessi intrappolarlo! Io ero traumatizzata perché credevo che dovessimo in qualche maniera "commentare", magari al telefono, con un cenno... invece niente.
Ci sarà sempre conflitto su questo terreno, temo, perché per un uomo, lo scambio soldi-sesso non è così odioso come può apparire a una donna. Poi c'è la storia del potere, che è una brutta bestia.
Quando ci si mescola il potere, ecco che la libertà, quel poco di libertà che abbiamo, se ne va; ecco che la mente comincia a lavorare in funzione di quel che, nella disparità di potere, può favorire, portare avanti... Io lo so per via dell'Università, ma non è certo l'unico ambito in cui agiscono queste dinamiche. Per questo dicevo che sciogliere il nodo sesso-potere non è tanto facile.
Ovviamente qui non faccio riferimento alle vicende grottesche che hanno visto coinvolto il capo del governo: penso che a questo scandalo, prima o poi, si possa mettere fine. Io mi riferisco alla questione di fondo.
- Barbara Bertoncin: Volevi aggiungere qualcosa sulla prostituzione...
- Luisa Muraro: Sì, tornando a quello che dice Letizia Paolozzi, penso che della prostituzione si debba tornare a parlare, a discutere. Perché è impossibile banalizzare una cosa che - senza soluzione di continuità - finisce nella tratta delle donne e dei bambini e bambine costretti a prostituirsi, con tutto l'orrore che si insinua là dentro. Perché le prostitute non sono tutte donne libere e consenzienti, molte non lo sono affatto, e non perché siano in stato di bisogno soltanto, ma perché sono in stato di servitù, di schiavitù.
Capisco, d'altra parte, che le donne adulte e consapevoli di sè, come quelle del movimento delle lucciole, vogliano banalizzare il mercato sessuale. Ma nel suo insieme, banale non è affatto, neanche quando c'è consenso e consapevolezza adulta. Mi ha colpito, nell'incontro con Carla e Pia, che una di loro ha detto: "Io non bacio mai il cliente sulla bocca". Ecco, questo è il simbolo del voler riservare il dono di sè allo scambio gratuito. Ed è su questo che bisogna lavorare per contrastare la banalizzazione che sembra andare avanti con la libertà crescente di giovani donne che ancora non hanno maturato una consapevolezza di sè e del valore della propria persona. Lo dice anche Emma Fattorini nel dibattito che ha preceduto le manifestazioni del 13 febbraio, sul "Corriere della sera": pur riconoscendo la giustezza di certe critiche fatte all'appello, ha aggiunto: "Ma io devo fare qualcosa perché le mie studentesse sentano e capiscano la miseria di offrire il loro corpo in cambio di soldi". Ecco, questo argomento continuerà a presentarsi nella discussione.
Cosa diciamo noi di queste cose? Ma, più che dire, c'è da agire politicamente nello stile del femminismo. Il punto di leva della libertà femminile è la presa di coscienza, il potenziamento della soggettività femminile, è lo stabilirsi di rapporti forti donna con donna, affinché ci sia una valorizzazione di questa loro differenza. Io resto convinta che le donne, la sessualità non la banalizzino veramente mai.
- Barbara Bertoncin: Nei Paesi nordeuropei prevale la linea che vede la donna che si prostituisce solo come vittima, non si prende neanche in considerazione che ci sia un atto di libertà...
- Luisa Muraro: La questione è che se c'è libertà, questa è espressione di soggettività. Cioè non puoi separare la libertà dall'espressione della soggettività. E la soggettività libera si esprime facendo il male e facendo il bene, per dirla come San Tommaso. Il proibire tutte le forme di prostituzione per legge si fonda su una precisa considerazione e cioè che se si accetta il commercio del sesso, si aprono le porte a cose nefande. Vero. Ma a me questo interessa relativamente. Per me il punto forte è che l'espressione della tua soggettività deve essere libera e capace di valorizzare te in primissima persona. E quindi dissuaderti dal darti via per soldi, dal dare via la tua vita, la tua giovinezza.
Il femminismo nordico si prolunga in un femminismo di Stato, senza soluzione di continuità. In Italia, invece, c'è un femminismo di Stato e c'è, molto differente, un femminismo autonomo, nel quale io mi riconosco. Mi sono spesso confrontata con Kari Elisabeth Boerresen, eccellente teologa femminista.
Lei, per esempio, è arrivata a rivendicare una legge dello Stato che intervenga sulla Chiesa affinché smetta di escludere le donne dal sacerdozio. Come se il sacerdozio avesse le caratteristiche di un diritto, come fosse una carica, un lavoro. A quelle che le hanno obiettato che si cadrebbe in una specie di femminismo di Stato, lei ha risposto: "Infatti, è quello che ci vuole!".
Ma per tornare alla prostituzione, la nostra legge approssimativamente mi pare buona (lo dico senza avere una competenza specifica), perché colpisce la prostituzione unicamente in chi la sfrutta e la favorisce, mentre la persona che si prostituisce e quella che ne usufruisce sono fuori dal tiro della legge. Una legge non può fare tutto, non può sostituirsi alla libera scelta delle persone.
- Barbara Bertoncin: Lea Melandri ha detto che le è piaciuto il tuo articolo e sorridendo ha commentato come le "vecchie femministe", che non erano mai d'accordo, si siano trovate in sintonia davanti al rischio di una certa semplificazione...
- Luisa Muraro: Mi fa piacere. In verità siamo sempre state vicine. Lea vedeva una distanza che io non vedevo, infatti quando si va al dunque, ecco che siamo d'accordo.
- Barbara Bertoncin: Per qualcuna, i recenti scandali sono stati più un attacco alla dignità degli uomini...
- Luisa Muraro: Questo è un punto che è stato molto discusso perché la manifestazione era impostata in modo da far credere che le donne scendevano in piazza per difendere la propria dignità. Molte hanno giustamente obiettato che la loro dignità era in buone mani, le loro. Altre e altri, che la minaccia riguardava piuttosto la dignità maschile. Nel Veneto si è registrato un appoggio dato alla manifestazione anche del clero e delle religiose, un appoggio motivato forse dalla parola d'ordine "dignità della donna", non insolita al discorso e al linguaggio cattolico. Ma ambigua, come risalta a uno sguardo storico. Storicamente la tradizionale predicazione cattolica ha affidato la tenuta della famiglia, e indirettamente del tessuto sociale, alle donne e alle loro virtù di moralità, di fedeltà, di devozione e soprattutto di sopportazione di certi comportamenti maschili, fra i quali l'infedeltà e il ricorso alla prostituzione. Mentre agli uomini è stata concessa - forse perché i preti sanno che cos'è la sessualità maschile - una specie di licenza morale, a cominciare dalla prostituzione che non è mai stata combattuta dalla Chiesa cattolica.
Vengo al punto: una mia ex studentessa dell'Università di Verona diventata suora, una suora molto brava e impegnata come ce ne sono tante oggi, ha fatto una dichiarazione di adesione alla manifestazione vedendoci l'occasione per dare visibilità alle donne nella loro vita quotidiana e far emergere altri modelli di donne. Ma l'articolo che le dà voce, ha un titolo "13 febbraio: le donne sfilano per la dignità", che altera il pensiero di lei in una maniera tutt'altro che innocua. La dignità della persona è un tema centrale del pensiero cattolico e tale deve restare, ma se si comincia a coniugarla al femminile bisogna mettersi in allarme, perché all'orizzonte spunta quella "superpretesa etica" nei confronti della donna. Per la Chiesa vecchio stile, infatti, la dignità della donna va difesa non solo dall'abuso maschile ma anche dalla libertà femminile!
- Barbara Bertoncin: Dicevi che c'è stato un uso strumentale di questa mobilitazione da parte dei due principali quotidiani nazionali.
- Luisa Muraro: Sì, da una parte il "Corriere della sera" e dall'altra "La Repubblica". "La Repubblica" è il giornale che due anni fa, meritoriamente, ha pubblicato le lettere di Veronica Lario. Certo, in funzione antiberlusconiana, sacrosanta, e meno male che l'ha fatto. All'epoca noi siamo subito intervenute, invece la sinistra - comprese le signore che hanno un giornale da dirigere - per qualche giorno è stata zitta. Perché? Forse perché gli uomini l'hanno sentita come una questione che riguardava anche i loro comportamenti sessuali, forse perché si voleva difendere a tutti i costi la separazione tra pubblico e privato, classico bastione della morale sessuale borghese. Alla vigilia della recente mobilitazione, il "Corriere della sera", avendo avuto sentore che alcune femministe avevano criticato l'appello, ci ha dato spazio. Guarda un pò come si riesce ad avere voce... Mentre "Repubblica" dava spazio ai difensori. Qual è il guaio di questa cosa? Che è il solito schema della politica degli uomini, quello di fare schieramenti (salvo poi mercanteggiare tutto e di tutto). Così abbiamo dovuto lottare perché non prevalesse una logica della contrapposizione; la discussione aperta nel campo delle donne aveva innanzitutto il senso di un interrogarci sul senso di quella iniziativa, su come andare, se andare.
Qualcuno l'ha capito, qualcuno invece no: penso all'intervento di Adriano Sofri, veramente molto stonato. Il 15 febbraio, infatti, sulla "Repubblica", nelle primissime righe, prima di inneggiare alla bellezza della recente manifestazione, Sofri ha attaccato le persone che avevano avanzato delle critiche. Alberto Leiss nel sito di Dea gli ha subito risposto pacatamente dicendo: no, le critiche appartengono a un modo di muoversi liberamente. Io stessa sul "Corriere della sera" del 10 febbraio ho aperto il mio intervento con un sincero "Viva le manifestazioni". Sapevo che mi chiedevano il pezzo perché ero di quelle che avevano mosso delle critiche, e ho deciso di rompere lo schieramento, a rischio che non lo pubblicassero. L'hanno pubblicato. Il fatto è che va sempre così. Bisogna giocare d'astuzia. Come dice il Vangelo, bisogna avere la semplicità delle colombe, ma anche la prudenza dei serpenti... perché te la fanno sotto il naso!Sì, se non stai attenta, te la fanno sotto il naso. Per mesi ci siamo chieste: che cosa sarebbe questo neo-femminismo apparso un anno fa e come mai i mezzi d'informazione, sempre restii a dare spazio al movimento delle donne, gli danno tanto spazio? C'erano degli indizi sparsi, alcuni chiarissimi come l'enfasi sulle quote rosa e sul terribile ritardo dell'Italia; l'ultimo è venuto con l'8 marzo con quella strana parola d'ordine di restituirgli un serio significato politico, come se lo avesse mai perso. Sommandoli, risulta che è in corso un tentativo di riscrivere il femminismo cancellando l'originalità del femminismo italiano. Il trucco consiste nel fingere che il movimento fosse finito e ora sarebbe ricominciato ex novo. Falso, perché il movimento in Italia si è sviluppato in continuità con lo slancio degli inizi, che vuol dire: presa di coscienza della differenza femminile, rottura con la politica maschile del potere, valore delle relazioni non strumentali. Sul movimento delle donne, tentano di fare quello che hanno fatto i frati del Medioevo: raschiare via gli scritti dei grandi autori pagani per scriverci sopra le loro prediche. Si chiama palinsesto. Le donne contano sempre di più e chi sta dalla parte del potere cerca di tirarle dalla propria parte.
Fonte: Una Città del 18 marzo 201