Nel 1999 Hajieh Esmailvand, una donna azera che viveva nell'Azerbaijan iraniano, fu stuprata; sei mesi più tardi, fu arrestata dalle autorità iraniane per aver partecipato a "relazioni sessuali illecite". Il processo a suo carico fu condotto in persiano, lingua che lei non parlava nè capiva. Costretta a confessare di aver commesso "adulterio", Hajieh ricevette la condanna a morte per lapidazione. Quando la comunità internazionale per i diritti umani ne ebbe notizia, l'Iran asserì che tali castighi non solo non violavano gli standard internazionali sui diritti umani, ma erano giustificati come l'eredità islamica "autentica" del popolo iraniano.
Nell'aprile 2007, Dùa Khalil Aswad, una ragazza diciassettenne yezida, fu lapidata a morte da membri della sua comunità nel Kurdistan iracheno, perché si credeva che volesse sposare un musulmano sunnita.
In Italia i "delitti d'onore" (che punivano, anche con la morte, donne accusate di essere infedeli o di avere un comportamento sessuale "inaccettabile") sono stati ritenuti meno gravi degli altri omicidi sino al 1981. Fino ad allora, gli uomini che uccidevano mogli, sorelle o figlie per l'onore o la passione erano soggetti ad una sentenza massima di sette anni di carcere.
In alcune sette ebraiche israeliane, un'autoproclamata "polizia morale" incita alla violenza fisica contro le donne che esse ritengono trasgrediscano la moralità: le trasgressioni sono chiedere un divorzio, non coprirsi la testa, o indossare abiti che la setta giudica immodesti.
Nel 2006 il Nicaragua, a causa della pesante influenza della chiesa cattolica, ha reso fuorilegge l'interruzione di gravidanza anche nei casi di emergenza medica. Le donne che tentano di difendere il loro diritto alla salute riproduttiva sono diventate bersaglio di intimidazioni, rappresaglie e violenza da parte dello stato e di membri delle loro comunità. E solo qualche settimana fa, una donna è stata arrestata per adulterio nello stato di New York.
Oggi le donne e le bambine in tutto il mondo, incluse quelle che vivono in occidente, sono soggette ad uno sconcertante ammontare di violenze giustificate in nome della religione, della cultura e della tradizione. Viene loro detto che tali pratiche (l'imprigionamento, la mutilazione, la tortura e persino la morte) sono "culturalmente autentiche", richieste dalla religione, o sancite da antiche ed onorate tradizioni. Quando una donna obietta, chiamando queste pratiche violenze inaccettabili contro le donne, viene marchiata - a seconda di dove si trova - come un'eretica, una traditrice, una pedina dell'occidente, un'imperialista culturale, o peggio.
La "Campagna globale per fermare gli omicidi e le lapidazioni di donne" - www.stop-stoning.org - che io ho contribuito a fondare, lavora per esporre tutte le forme di violenza contro le donne giustificata dalla "cultura" in tutto il mondo. Noi lavoriamo costruendo legami fra le varie iniziative locali delle donne, usando la cornice dei diritti umani definita dalle Nazioni Unite, e forgiando alleanze con individui e gruppi progressisti che condividono la nostra visione fondamentale dell'eguaglianza di genere, dell'autonomia del corpo, e della non-discriminazione.
La Campagna è attualmente ospitata da Women Living Under Muslim Laws (Donne che vivono sotto le leggi islamiche) - www.wluml.org -, una rete di solidarietà internazionale per le donne le cui vite sono modellate dalle leggi e dai costumi che si dice derivino dall'Islam. La rete, in oltre tre decenni di lavoro, ha aperto uno spazio in cui le donne, attraversando confini religiosi, etnici e nazionali, collegano le rispettive lotte per difendere i diritti delle donne.
Lasciatemi dire ben chiaro che nè Women Living Under Muslim Laws nè la Campagna sono contro qualsiasi religione o fede. Noi sosteniamo con forza il diritto di ogni donna a definire la propria identità culturale o religiosa. Ciò a cui ci opponiamo è la legittimazione delle autorità religiose o politiche che in nome della "cultura" promuovono o agiscono discriminazione e violenza contro donne e bambine.
La storia di Hajieh Esmailvand che ho riportato all'inizio non finì con la sua condanna a morte. Dopo che aveva passato anni in prigione, in attesa dell'esecuzione, un'avvocata impegnata, Shadi Sadr, ottenne il rovesciamento della sentenza. Hajieh, sebbene analfabeta, ha continuato a parlare al mondo del suo caso, della manipolazione dell'Islam per giustificare la violenza contro le persone (come lei stessa e Shadi Sadr) che difendono i diritti umani delle donne in tutto il mondo.
"Un gran numero di donne musulmane - religiose, che hanno cultura, che rigettano l'imperialismo - sono incastrate fra i loro convincimenti di fede e le interpretazioni ufficiali o dominanti delle fonti religiose che stimano le donne inferiori", mi ha detto l'autorevole studiosa iraniana Ziba Mir Hosseini, "Perciò queste donne credono che o accettano tale interpretazione, o devono rinunciare alla loro religione. Questo tipo di pensiero non aiuta la loro causa e le loro voci non vengono udite".
Che accadrebbe se le loro voci fossero udite? Cosa potremmo imparare? Questo è il territorio che voglio esplorare.
Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo