Diventare vecchi, prostituirsi a 14 anni. Parlare di vita in mezzo a tutte queste guerre
di Mario Pancera
Verso la fine della vita, dice un amico, ci si fanno molte domande. «Ci si interroga», rispondo. È un modo di dire letterario, dice lui: che cosa abbiamo da domandarci che abbia una risposta? Ti fai una domanda e non sai la risposta: perché è accaduto questo, e quest’altro? Cosa rispondi? Non sai. Puoi rispondere solo con un se dubitativo: se fosse andata così invece che cosà.
Siamo nelle strade di Milano e non in una tragedia di Shakespeare. Non in un cimitero tra un becchino e il principe Amleto, ma su un viale rumoroso e affannato con tram, negozi, gente che corre, chi ha un lavoro e chi lo cerca, tra due persone che si conoscono dai tempi di scuola: verso la fine della vita ci sono molte domande.
Apri un giornale, guardi la tv e non vedi che guerre, battaglie e morti, alternati a balletti, quiz, canzonette e consigli di cucina, in mezzo ai quali compare «la fame», ovvero bambini neri, nudi, con le teste grosse e gli occhi tristi e bellissimi che aspettano di morire. Così tra una pentola, un arrosto e la miseria degli ultimi mondi da sfruttare compare la propaganda di un Ministero italiano, che ha a cuore la nostra educazione. Educazione umana e civile.
C’è da vergognarsi. Siamo in un’Italia – ex cattolica – che invita al volontariato ovvero alla carità del piccolo Ozanam anziché a un’organizzazione sociale, che almeno tenda a distruggere le disuguaglianze in cui siamo immersi. Il francese Ozanam, nato proprio a Milano duecento anni fa, cercò di fare passi avanti, e li fece, ma venne ben presto richiamato e rimesso «all’ordine». Invece di andare avanti, noi siamo tornati indietro. I politici cosiddetti laici invece della giustizia preferiscono la carità. E si guardano bene dal farla loro, chiedono che la facciano altri, i volontari.
Questa è la morte, dice l’amico. È passato mezzogiorno, da una scuola media di Porta Vercellina escono ragazzi e ragazzine che gridano, saltano, si rincorrono con gli zainetti sulla schiena, e questa è la vita. Si legge di ragazze quattordicenni che si prostituiscono per denaro: hanno i soldi per telefonini, internet, rossetti e orecchini, ma la mamma non gli può dare di più, dicono.
Che cosa vogliono di più. Il vecchio amico è così vecchio che ha vissuto, sì, guerra e dopoguerra, ma non ha imparato niente. Non sa rispondere alle nuove generazioni. Ai suoi tempi pensava ai banchi di scuola (era un po’ terrorizzato), all’amicizia e ai primi amori: uno sguardo, un bigliettino, al cinema insieme una domenica pomeriggio. L’amore di ieri e quello di oggi. Innamoramento, rossori, timidezze e prostituzione. Perché? Ecco una domanda verso la fine della vita. Ma anch’essa senza una risposta. A meno di tornare al vecchio, decrepito Vangelo, ormai gettato nel cestino della carta straccia.
In una poesia di Jacques Prévert, anche lui defunto da un pezzo, intitolata «Parigi di notte» viene descritto l’amore: «Tre fiammiferi accesi uno per uno nella notte / Il primo per vederti tutto il viso / Il secondo per vederti gli occhi / L’ultimo per vedere la tua bocca / E tutto il buio per ricordarmi queste cose / mentre ti stringo fra le braccia». Magistrale.
Mario Pancera