Premessa
L’intento di questo saggio è quello di analizzare l’atteggiamento nei confronti della minoranza rom da parte di giornalisti e politici italiani, studiando le loro reazioni ad alcuni dei più significativi fatti di cronaca che hanno visto i rom come protagonisti, sia come colpevoli di reati, sia come vittime di atti di violenza da parte degli italiani. La tesi che intendo approfondire è che l’antiziganismo italiano, denunciato da organizzazioni che si occupano di diritti civili e dalla stessa Commissione Europea (come vedremo nella conclusione), è alimentato dal modo in cui i giornali trattano le informazioni che riguardano i rom e dalle prese di posizione dei politici di entrambi gli schieramenti.
La crisi cui faccio riferimento nel titolo non è soltanto la crisi economica. Negli ultimi anni esiste in Italia una crisi di democrazia e di diritti, evidente nel progressivo decadimento del dibattito politico, nella sempre più compromessa libertà dell’informazione, nel controllo dei mass-media, nel feroce innalzamento dei toni nei proclami dei politici, nei provvedimenti sempre più restrittivi nei confronti di extracomunitari, clandestini e stranieri in generale, nell’ossessione securitaria che giunge fino alla legalizzazione delle ronde, sia pure non armate, in un razzismo che se un tempo si poteva definire strisciante oggi sembra procedere con passo sicuro, libero da ogni impaccio e quasi orgoglioso di sé.
In questo saggio mi concentrerò su alcuni casi emblematici assurti alla ribalta della cronaca, sufficienti, spero, per ricostruire il clima di caccia allo zingaro di questi anni e la sospensione dei diritti che ne è la conseguenza diretta. Non mi soffermerò sulle discussioni nella rete Internet riguardanti episodi di cronaca aventi come protagonisti soggetti rom. Si tratta di una mole notevole di documenti sullo stato attuale di imbarbarimento sociale. Non occorre andare in forum di discussioni di area post-fascista o leghista per trovare affermazioni gravissime, come l’auspicio che i rom vengano deportati o messi nei forni crematori; sono affermazioni che si trovano facilmente in forum di ogni genere, a volte anche di area cattolica, e che generalmente – benché i forum abbiano in genere un regolamento che vieta, a norma di legge, l’istigazione all’odio razziale – non vengono censurate dai moderatori e non suscitano spesso alcuno scandalo negli altri partecipanti alla discussione. Una analisi di questo materiale interessantissimo ci porterebbe lontano dal centro di questo saggio, che è quello di indagare il contributo dei mass-media e della politica all’antiziganismo italiano.
La ricerca che segue è dunque fondata principalmente sull’esame dei principali quotidiani italiani e limitatamente dei telegiornali. Sono consapevole che in un paese in cui si legge poco e la televisione contribuisce alla costruzione dell’opinione pubblica molto più della stampa, questa scelta può apparire discutibile. Essa è dettata da ragioni pratiche: se è facile accedere all’archivio di tutti i quotidiani, lo stesso non si può dire per i telegiornali.
Politicamente, il periodo preso in esame è caratterizzato dal succedersi di tre governi: il governo Prodi II, in carica dal 17 maggio 2006 all’8 maggio 2008, per la coalizione di centro-sinistra L’Unione; il Governo Berlusconi IV, in carica dall’8 maggio 2008 al 16 novembre 2011 per la coalizione di centro-destra Pdl-Lega Nord-Movimento per le Autonomie; il Governo Monti, attualmente in carica, un governo tecnico sostenuto da un ampio ventaglio di partiti (con l’esclusione della Lega Nord e dell’Italia dei Valori).
I casi che prenderò in considerazione sono quattro: il rogo di Livorno del 2007, il caso Reggiani, dello stesso anno, il caso del presunto rapimento di un bambino a Ponticelli nel 2008, il finto stupro di una ragazza da parte di due rom nel quartiere torinese delle Vallette nel gennaio del 2012. Approfondirò questi casi giorno per giorno, analizzando le reazioni dei quotidiani nazionali e le prese di posizione dei politici. Non intendo fare una cronaca puntuale dell’antiziganismo italiano – occorrerebbe uno studio ben più ampio per dar conto in modo adeguato di sgomberi, violenze, aggressioni, umiliazioni subite dal popolo rom in Italia nel periodo preso in esame –, ma sollevare il problema della responsabilità di informazione e politica nella diffusione del razzismo nei confronti del popolo rom nel nostro paese.
Il rogo di Livorno
10 agosto 2007. Poco prima di mezzanotte i vigili del fuoco vengono chiamati per spegnere un rogo di sterpaglie sotto il ponte di Pian di Rota, nella periferia di Livorno. Ad andare a fuoco in realtà è la baracca in cui vivono, sotto un viadotto, quattro famiglie di rom romeni. A fiamme spente si scoprono i corpi carbonizzati di quattro bambini: i fratellini Eva, Danciu e Menji Clopotar, di undici, otto e quattro anni, e Tutsa, di sei anni. I genitori hanno lasciato l’accampamento. Vengono rintracciati due ore dopo: raccontano di essere scappati per chiedere aiuto ai parenti, sicuri che i bambini non fossero nell’accampamento, e che il rogo era stato causato da un’aggressione culminata nel lancio di una bottiglie molotov. Il pubblico ministero non crede a questa versione, e i quattro genitori dei bambini morti vengono accusati di abbandono di minore ed incendio colposo. I due padri, Menji Clopotar e Victor Lacatus, vengono tradotti in carcere, mentre alle mogli vengono concessi gli arresti domiciliari.
12 agosto. La notizia giunge sui giornali nazionali. Al centro dell’attenzione dei mass-media c’è un altro episodio di cronaca, l’omicidio a Sanremo di una ragazza di trent’anni da parte del suo ex fidanzato, che era già indagato per l’omicidio di un’altra ex fidanzata. Il Corriere della Sera titola: La morte nel rogo di 4 bambini rom. Nel sommario: Tragedia a Livorno. «I genitori li hanno lasciati soli». All’interno un dossier dal titolo Un popolo di 160 mila nomadi (e altri centomila fantasmi) informa che, secondo dati del Viminale, il 20 per cento delle famiglie rom che vivono in Italia abita in baracche costruite con materiali di fortuna. Nell’articolo viene riportato anche il commento a caldo del ministro dell’Interno Giuliano Amato: «dobbiamo capire le ragioni di una tragedia così grave che è frutto del degrado in cui ancora troppe persone vivono nel nostro Paese. Occorre dire che questa gente dovunque vada non è ben vista»1. Sul fronte politico si registra anche la dichiarazione del presidente del Consiglio Romano Prodi: «Quello dei rom è un problema politico di una complicazione terribile. Dobbiamo studiare tutti gli aspetti politici e tecnici per trovare tutti i tipi di soluzione possibile al problema». Prodi aggiunge che si tratta di un problema sul quale il nostro paese «è meno preparato, perché si tratta di un fenomeno più recente» e ricorda le persecuzioni cui i rom sono stati sottoposti a causa della loro diversità.
Titolo in prima pagina anche per la Repubblica, che evita di sottolineare l’appartenenza etnica dei bambini (Brucia una baracca, morti quattro bambini), ma nell’occhiello ribadisce: Livorno, i genitori hanno abbandonato i piccoli: la più grande, 12 anni, ha cercato di proteggere i fratelli. Polemica dei commercianti per il lutto cittadino. All’interno, l’articolo si apre con l’accusa ai genitori: «Quattro bambini divorati dalle fiamme. Quattro genitori sotto inchiesta. Un’ipotesi gravissima: abbandono di minore seguito da morte»2. Nella stessa pagina una illustrazione informa sulla presenza dei rom in Europa ed in Italia ed annuncia che sessantamila rom romeni arriveranno nel nostro paese. È singolare l’oscillazione nel sommario: i bambini morti nell’incendio sono piccoli rom, mentre gli altri sono zingari (La difesa degli zingari «Ci hanno aggrediti» ma il pm non ci crede). Il Corriere della Sera e La Repubblica danno anche conto della incredibile protesta dei commercianti livornesi perché il lutto cittadino, deciso dal sindaco, comporta la sospensione delle manifestazioni di «Effetto Venezia», la tradizionale manifestazione estiva nel quartiere Venezia.
La notizia del rogo di Livorno è assente dalle prime pagine de Il Giornale e di Libero, che restano sulla polemica sulle scarcerazioni facili, mentre La Stampa sceglie il taglio basso (La strage dei piccoli rom). Il manifesto apre con una vignetta di Altan: un uomo guarda i resti di un rogo. «Finanza. Nelle borse si bruciano miliardi. Nelle baracche bambini». Nell’editoriale la lucida analisi di Marco Revelli, che punta il dito contro la lettura giornalistica del gravissimo fatto, come sempre segnata dal pregiudizio:
Sono le vittime, atrocemente innocenti, di quella che è apparsa fin da subito come una tragedia sconvolgente. E tuttavia il linguaggio giornalistico stenta a trovare i toni della costernazione genericamente umana che la circostanza dovrebbe suggerire. Resta irrimediabilmente sospettoso. Insinua allusioni a una presunta «fuga dei genitori». Enfatizza le parole del magistrato secondo cui «si configura in ogni caso una serie di reati di una certa gravità». Si parla di «colpevole disattenzione». Di un «uso improprio dei materiali» (le candele usate per illuminare la baracca, priva di energia elettrica, come di acqua corrente, di servizi igienici, di tutto…). Perché quando si tratta di zingari, è difficile sottrarsi al pregiudizio, o anche solo all’abitudine di farne oggetto di cronaca esclusivamente nera, dove la carezza a un bambino diventa un tentativo di rapimento, e l’assenza di ogni più elementare genere di comfort il segno di una colpa3.
Prima pagina anche su Avvenire, il quotidiano dei vescovi, che titola: Baracca in fiamme divora quattro bimbi. Al fatto è dedicato l’editoriale di Marina Corradi, che ragiona sulla differenza tra i figli nostri – i ragazzini italiani che si divertono sulle spiagge – e quelli di nessuno che muoiono nelle baracche:
Quella morte da animali in gabbia non è stata una fatalità assurda, ma la somma di circostanze sotto agli occhi di tutti, e prevedibili: dei bambini lasciati a sé stessi, baracche infiammabili come paglia e, attorno, nessuno. Sappiamo anche che ben difficilmente quattro dei nostri figli sarebbero morti così4.
13 agosto. La notizia scompare dalla prima pagina del Corriere della Sera, mentre Repubblica nel taglio medio titola: Rom, scoppia il caso politico. Si noti come la parola rom racchiuda ormai tutta la questione. Il commento è affidato a Gad Lerner, che ragiona sulla particolare fragilità dei rom, che a differenza di altre etnie non hanno alle spalle uno stato in grado di proteggerli, e contro i quali è lecita qualsiasi licenza verbale. Lerner ricorda le violenze contro i campi, come la spedizione contro un campo di Opera, nel milanese, il 21 dicembre 2006. Occuparsi dell’integrazione dei rom, nota, può causare la fine della propria carriera politica, mentre ottiene il plauso dei cittadini chi provvede allo sgombero dei campi. Nella sua analisi torna l’immagine dei materiali di scarto:
Non possiamo più più permetterci di considerare i rom e gli altri abitanti delle bidonvilles come materiale umano di scarto. Cancellarli non si può, a meno di concepirne lo sterminio. Una follia? Niente affatto: è l’unico esito coerente, dilazionato nel tempo, del malumore che cova e dello scricchiolio sinistro del nostro codice morale5.
Bisogna segnalare il contrasto tra l’articolo di Lerner, che attacca gli stereotipi sui rom, e il sommario, che presenta in quattro punti una sorta di sintesi della realtà rom: la società, il capo, la donna, il maschio. Si apprende così che la donna «Si deve curare solo solo per piacere al marito. Avere solo figlie è ritenuta una sventura», mentre il capo «È il patriarca di una famiglia allargata».
Il caso politico di cui parla il titolo del giornale riguarda le polemiche seguite alle affermazioni del ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero, che ha puntato l’indice contro gli enti locali, accusandoli di «voltare la testa dall’altra parte anche davanti alle condizioni disumane dei campi perché non portano voti». Le parole del ministro suscitano le reazioni dei sindaci, tra i quali Massimo Cacciari, sindaco di Venezia, che rispedisce le accuse al mittente: «Il ministro crede che sia semplice sistemare i campi nomadi e aiutare gli indigenti con i fondi tagliati». Il governo viene attaccato sia dal centro-destra – per Alleanza Nazionale, Forza Italia e Lega Nord il fatto dimostra il fallimento delle politiche del centro-sinistra in fatto di immigrazione ed integrazione –, che dal centro, mentre Pierferdinando Casini (Udc) dichiara che l’Italia è l’unico paese europeo «in cui i bambini sfruttati, spesso dai genitori rom, vengono mandati all’accattonaggio lungo le strade nell’indifferenza delle autorità pubbliche. La legalità va fatta rispettare» – che da sinistra (per Marco Rizzo, del Partito dei Comunisti Italiani, «Le riflessioni di Prodi non sono né di destra né di sinistra, non dicono purtroppo nulla. Che il fenomeno fosse complesso, che avesse origini antiche e che sia esteso in tutta Europa lo sapevano tutti»6).
Sul Mattino di Napoli c’è un’intervista a Kasim Cimzic, presidenti dell’Unione Nazionale e Internazionale Rom e Sinti in Italia, che critica fortemente le parole del capo del governo, perché «quando i politici parlano sembra sempre che noi rom e sinti siamo degli stranieri. Noi invece viviamo in Italia da secoli e consideriamo l’Italia il nostro paese. Con la differenza che noi conosciamo bene la cultura italiana, e gli italiani non sanno nulla della nostra». Sulla questione della gestione politica del campi, Cimzic chiarisce che «il popolo zingaro non vive solo nei campi, ma nella maggioranza dei casi vorrebbe una casa. Come nei piccoli villaggi che esistono in Francia, Spagna, Olanda e Germania. Ma in Italia nessuno ci ascolta. Ed è l’unico paese che continua e emarginarci. In secoli non è cambiato nulla»7.
L’Unità titola: Bambini rom, li ha bruciati l’indifferenza. Nell’editoriale Silvia Ballestra richiama alla responsabilità collettiva:
Restiamo a scuotere la testa davanti a questa barbarie. Che possiamo, per lavarci la coscienza, ascrivere all’incoscienza di genitori che scappano davanti al rogo, che lasciano quattro creature solo al lume della candela, pericolo d’incendio, cesso niente, da mangiare poco. Facile scappatoia, se il privato è privato, se la vita di Dengi, Lenuca, Eva e Denchiu è solo fatti loro. Ma poi – vertigine – e se fossero fatti nostri? Se cominciassimo a domandarci perché quattro bambini sono costretti a vivere sotto il nostro cielo come se fosse un altro cielo – un cielo del Darfur, un cielo subshariano, un cielo ceceno – e invece è solo il cielo di Livorno8.
Nelle pagine interne un’intervista a Massimo Converso, presidente dell’Opera Nomadi, che denuncia: «sono mesi che tentiamo invano di farci ricevere dal ministro Amato»9.
14 agosto. La Padania, fino ad ora distratta dal fatto di Sanremo, si accorge del rogo di Livorno, e titola: Rom, mandiamoli a lavorare. Nell’articolo, Paolo Bassi riesce a scrivere:
L’Italia offre tutte le opportunità affinché queste persone possano avere un lavoro, una casa, una vita di relazione. Chi non accetta l’opportunità di avvalersene, si mette quindi, da solo, al di fuori della legalità. E come tale dovrebbe essere trattato: tolleranza zero, come invoca da sempre la Lega10.
La notizia del giorno è la dura replica dell’Unione Europea alle parole del premier Prodi. La portavoce per gli Affari sociali della Commissione UE, Katharina von Schnurbein, fa notare che esiste una direttiva europea del 2000 che proibisce la discriminazione su base razziale ed etnica, e che il nostro paese l’ha applicata solo parzialmente, con una limitata protezione delle vittime di discriminazione razziale ed una definizione non corretta di «molestia razziale». La dichiarazione, com’è ovvio, fornisce una occasione ghiotta all’opposizione per attaccare il governo, che si difende un po’ debolmente, notando che i rilievi dell’UE «non riguardano la specifica questione dei rom»11.
Da segnalare le interviste a due tra i più importanti rappresentanti della comunità rom in Italia: quella del manifesto a Nazzareno Guarnieri e quella del Giorno a Santino Spinelli. Guarnieri, figura autorevole della antica comunità rom abruzzese, attacca il sistema dei campi, una anomalia italiana che rappresenta un business per alcuni, e pone il tema della partecipazione diretta dei rom, al di là della mediazione di associazioni incapaci di fare i loro reali interessi (il riferimento è soprattutto all’Opera Nomadi)12. Anche Spinelli, musicista e docente di Lingua e cultura romanì presso l’università di Trieste, attacca le associazioni che rappresentano i rom («disoneste») e la politica dei campi. È interessante questo scambio tra l’intervistatrice e Spinelli:
Sappiamo cosa pensano i politici. Ma la gente, gli italiani, secondo lei sono pronti ad accettarvi?
Gli italiani sono persone tolleranti ed intelligenti, ma non sono correttamente informati. Non conoscono nulla di noi. L’idea che si sono fatti deriva da luoghi comuni, da leggende: come quella che gli zingari rubano bambini. Che assurdità.
Beh, per la verità qualche tentativo c’è stato…
Le mele marce sono dappertutto. Ma sono casi isolati, non si può colpevolizzare un popolo13.
Una intervista nella quale si deplora la disinformazione riguardo ai rom, e che al tempo stesso conferma il pericolosissimo pregiudizio sui rom che rubano i bambini, anche se il comportamento viene limitato ad alcune «mele marce». Sulla Repubblica un intervento di don Enzo Mazzi, sacerdote fiorentino sospeso a divinis e guida della comunità di base dell’Isolotto. Don Mazzi ricorda i valori positivi esistenti nella cultura rom, che i campi rischiano di annullare, e richiama l’esperienza positiva di un laboratorio di sartoria per donne italiane e rom aperto da anni all’Isolotto14.
15 agosto. Dopo l’udienza di convalida, andata avanti dalle 9.30 alle 21, il gip ritiene credibile la versione dell’attentato sostenuta dai genitori. La notizia non è appetibile per i giornali: il Corriere della Sera e la Repubblica la relegano, rispettivamente, a pagina sedici e a pagina tredici, senza nessun richiamo in prima pagina. Sul Giornale una intervista al vicepresidente della Commissione europea Franco Frattini, che informa che esiste una direttiva europea del 2006 in base alla quale tutti i cittadini europei possono essere rimandati nel loro paese se non hanno sufficienti mezzi di sussistenza15. Sull’Unità Elio Veltri denuncia la grave situazione di circa ottanta famiglie rom che vivono a Pavia nella zona di una vecchia fabbrica in condizioni di grave abbandono, con il rischio concreto di una tragedia simile a quella di Livorno. Pavia è guidata da una amministrazione di centro-sinistra. Si chiede Veltri: «È solo la destra, come afferma il ministro Ferrero, che si comporta con spirito xenofobo? Sono le amministrazioni di centro destra, con i loro Gentilizi [sic], a creare il clima di intolleranza che imperversa e che trova varchi straordinari nella marcificazione della politica e nel vuoto di ideali? Neanche per sogno»16.
17 agosto. I genitori dei bambini restano in carcere. Il Tirreno di Livorno informa in prima pagina che le indagini seguono la pista dell’aggressione. Si scopre che uno dei quattro fermati, Victor Lacatus, a febbraio si era presentato al pronto soccorso di Pisa dopo essere stato picchiato da ignoti. La notizia è ignorata dagli altri quotidiani. Sul manifesto un importante intervento del filosofo Alberto Burgio ricorda le responsabilità storiche del nostro paese nei confronti dei rom, sia per aver contribuito allo sterminio nazista, sia per la partecipazione alla guerra in Jugoslavia, sia per l’indifferenza del nostro paese e dell’intera Europa nei confronti della persecuzione dei rom nei paesi dell’Est europeo dopo l’891717.
21 agosto. Alla redazione del Tirreno giunge un volantino di rivendicazione del rogo, firmato Gruppo Armato Pulizia Etnica. Il comunicato, sgrammaticato, annuncia un attentato al mese se i rom non abbandoneranno l’Italia. La rivendicazione, che viene considerata poco credibile dagli inquirenti, non riceve particolare attenzione dai quotidiani.
29 agosto. L’avvocato dei quattro genitori rom, Andrea Caldaioli, e l’associazione Africa Insieme diffondono un documento che evidenzia la successione di incendi di baracche e altri rifugi di fortuna di rom verificatisi a Livorno tra il 2006 e il 2007, alcuni dei quali sicuramente dolosi. La notizia compare nelle pagine toscane di Repubblica.
Epilogo. Ad ottobre la vicenda processuale si conclude con un patteggiamento. Victor Lacatus e Menji Clopotar vengono condannati ad un anno e quattro mesi, Elena Lacatus ad un anno e cinque mesi ed Uca Caldarar ad un anno e sei mesi. Essendo incensurati, vengono immediatamente scarcerati.
Il caso Reggiani
30 ottobre 2007, sera. Giovanna Reggiani, 47 anni, moglie del capitano di vascello Giovanni Gumiero, scende alla stazione di Tor di Quinto, a Roma, dopo un pomeriggio passato a fare shopping, e si avvia verso la sua abitazione, quando qualcuno la aggredisce, la trascina in una baracca e la riduce in fin di vita. L’aggressore è Nicolae Romolus Mailat, un manovale romeno di 24 anni che vive nel campo di Tor di Quinto. Dopo l’aggressione, il giovane tenta di nascondere la vittima sotto un viadotto della Flaminia, ma viene disturbato da Emilia N., una donna rom dello stesso campo, che urlando e piazzandosi al centro della strada riesce a fermare un autobus e ad ottenere che la donna, abbandonata dall’aggressore in un fossato, venga soccorsa.
Il tragico fatto cade in tempo di campagna elettorale. Il sindaco di Roma, Walter Veltroni, guida il neonato Partito Democratico contro il Popolo delle Libertà, guidato da Silvio Berlusconi, mentre Francesco Rutelli per il centrosinistra e Gianni Alemanno per il centrodestra si contendono la poltrona di sindaco di Roma. Alla vigilia della sua discesa in campo come guida del Partito Democratico, Veltroni aveva annunciato la linea dura contro gli immigrati ed i rom. Di ritorno da un viaggio a Bucarest, dove come sindaco di Roma aveva siglato degli accordi per favorire il rientro degli immigrati, aveva dichiarato al Corriere della Sera: «Dobbiamo essere un po’ più ruvidi con chi infrange le regole, dobbiamo contrastare i flussi migratori»18. Parlando al Lingotto il 27 giugno aveva presentato la sua linea politica. Quattro i temi centrali: ambiente, patto generazionale, formazione, sicurezza. Riguardo a quest’ultimo punto, aveva dichiarato: «Cominciamo con l’essere chiari: nessuno scrolli le spalle o definisca razzista un padre che si preoccupa di una figlia in un quartiere che non riconosce più. La sicurezza è un diritto fondamentale che non ha colore politico, che non è né di destra né di sinistra». Nel discorso di chi si candida a guidare un partito di sinistra il tema della sicurezza è immediatamente legato a quello dell’immigrazione:
Chi viene da lontano per scappare dalla fame o dalla guerra non può che essere almeno accolto da un Occidente egoista e avido. Ma per chi ruba ai cittadini quel bene prezioso che è la serenità c’è solo una risposta, ed è la severità e la fermezza con cui pretendere che rispetti la legge e che paghi il giusto prezzo quando questo non acade, quale che sia la sua nazionalità. Chi viene qui per fare male agli altri o per sfruttare donne e bambini deve essere assicurato alla giustizia, senza se e senza ma19.
La scelta strategica di impostare la campagna elettorale facendo proprio un cavallo di battaglia della destra, condizionata anche dal rilievo mediatico dato ad alcuni casi di cronaca, si rivela poco felice. L’omicidio Reggiani fornisce ai partiti ed ai giornali di destra una occasione facile per attaccare il governo Prodi ed il sindaco Veltroni e mostrare l’insufficienza della politica della sinistra in tema di sicurezza ed immigrazione. Il governo Prodi ha appena approvato il Pacchetto sicurezza, cinque disegni di legge che tra l’altro ampliano il potere di ordinanza dei sindaci sulle questioni di ordine pubblico.
Appena diffusa la notizia dell’aggressione, Walter Veltroni convoca una conferenza stampa, durante la quale dichiara che «prima dell’ingresso della Romania nell’Unione europea, Roma era la città più sicura del mondo». Una dichiarazione in merito alla quale il leghista Calderoli ha ragione di osservare, sia pure in modo strumentale: «o Veltroni si dimette da sindaco di Roma o la smette di fare dichiarazioni rispetto all’etnia rumena che se fatte dalla Lega sarebbero equivalse ad un’accusa di razzismo».
31 ottobre. All’indomani dell’aggressione, il premier Prodi chiama il capo del governo rumeno, Tariceanu, per chiedere l’invio di una delegazione rumena in Italia al fine di concordare un piano comune per la lotta alla criminalità e convoca un Consiglio dei ministri straordinario per prendere provvedimenti urgenti in tema di sicurezza. Il decreto legge 181 consente ai prefetti di espellere anche i cittadini comunitari, se la loro presenza rappresenta un problema per l’ordine pubblico. Si tratta, con ogni evidenza, di un decreto pensato ad hoc per la comunità rumena, che pur essendo non più extracomunitaria subisce ancora tutti i pregiudizi diffusi nei confronti degli immigrati extracomunitari.
1 novembre. Nella prima pagina del Corriere della Sera articolo di Maria Luisa Agnese, Lo spettro dei «mostri» venuti dell’Europa. Agnese riporta i dati di un sociologo sull’aumento di crimini da parte di cittadini romeni e si chiede se il romeno è destinato a diventare «il nuovo incubo degli italiani», dopo i marocchini e gli albanesi «stupratori». La giornalista parla come se il suo lavoro non c’entrasse nulla con i processi sociali, mentre il titolo stesso del suo articolo contribuisce a dare una risposta affermativa alla sua domanda. In un editoriale sulla Repubblica Miriam Mafai scrive che quella di espellere i cittadini comunitari pericolosi «è una decisione drammatica, che trova tuttavia piena giustificazione nell’aggravarsi della delinquenza che vede sempre più spesso coinvolti cittadini stranieri». Per Mafai si tratta di superare l’«antico tabù della sinistra» che è attenta più alle ragioni dei delinquenti che delle vittime20.
Prevedibili i toni dei giornali di destra. Il Giornale titola Sicuri da morire. Accanto alla foto del cavalcavia, nell’occhiello si legge: Sotto questo cavalcavia è stata violentata e torturata una donna di 47 anni. E il governo che fa? Un altro «pacchetto». Nell’editoriale Maria Giovanna Maglie attacca Veltroni, «che ora chiede la deportazione di massa dei romeni e fino a qualche tempo fa predicava il mito dell’accoglienza»21. All’interno una intervista al regista Carlo Verdone, che lamenta la fine della Roma di una volta, denuncia che i romani vivono ormai segregati in casa e chiede la fine del «buonismo». In conclusione afferma: «Poi, certo, mi domando perché tutti questi giovani rumeni vengano tutti qui, solo qui. Nessuno che vada a cercare lavoro in Marocco o negli Emirati Arabi. Lì la polizia fa paura. Da noi no»22. Eloquente il titolo de La Padania: L’immigrazione che uccide: violentata e scaricata in un fosso da un rumeno. Anche per Libero quell’episodio, che per quanto tragico ha come responsabile un solo immigrato, chiama in causa tutti gli immigrati. Titola: Ti ammazzano per strada (il soggetto sottointeso è, naturalmente: gli immigrati). Nell’occhiello: Piacevolezze del centrosinistra. Nel sommario: Allarme immigrati. Romeno stupra e uccide una donna a Roma. Esplode la polemica. Sulle espulsioni retromarcia del governo: Veltroni ordina e Prodi esegue. Nell’articolo, a firma di Gianluigi Paragone, si legge:
La gente non ne può più. Lascino perdere l’alibi della percezione che è diversa dalla realtà: sarà pure percezione, ma se poi ti violentano per strada, ti rubano e terrorizzano in villa, ti spacciano sotto casa, ti molestano in centro e ti rompono le palle da mattina a sera (perché se uno è senza lavoro in qualche modo deve pur riempire la giornata…) non è più una percezione. È un disagio reale. Gli zingari saranno sempre i soliti zingari fintanto che a loro è permesso infrangere le regole. I romeni saranno sempre i soliti romeni, fintanto che sono i protagonisti dei mattinali23.
Intanto viene smantellato il campo rom di Tor di Quinto: 78 baracche abbattute, 17 persone fermate. I giornali parlano di blitz24, come se si fosse trattato della irruzione in un covo di mafiosi.
2 novembre. I giornali aprono con la notizia della morte di Giovanna Reggiani. Nel titolo di prima del Corriere della Sera la morte della donna appare in relazione immediata con l’inizio delle espulsioni degli immigrati indesiderati: Muore la donna, via alle espulsioni. Nell’editoriale Sergio Romano apprezza la sortita di Veltroni nella sua conferenza stampa, con la quale ha dimostrato «di essere sensibile alla domanda di sicurezza che sale dal Paese», ma avverte che alla xenofobia, «di cui incominciano a intravedersi alcune brutte manifestazioni, non bisogna offrire occasioni e pretesti»25. Nell’editoriale della Repubblica Gad Lerner ricorda il Manuale di stile usato dai giornalisti del New York Times, che afferma che l’origine etnica di chi ha commesso un crimine non è pertinente a meno che non si tratti di un delitto a sfondo etnico, e si chiede: «Ma se davvero il 75 per cento dei crimini commessi quest’anno a Roma è opera di cittadini romeni, sarà mai possibile vincolare noi stessi a un simile codice di civiltà?»26.
Non si cura granché del Manuale di stile il prefetto di Roma, Carlo Mosca, che al Corriere della Sera dichiara:
Firmerò subito i primi decreti di espulsione. La linea dura è necessaria perché di fronte a delle bestie non si può che rispondere con la massima severità. Se l’equazione «rumeni uguale delinquenti» è inaccettabile, tuttavia è altrettanto vero che gli individui pericolosi vanno sbattuti fuori. L’acqua deve essere ripulita dai pesci infetti anche a tutela dei tanti connazionali che arrivano in Italia per lavorare onestamente27.
Un termine forte come bestie viene adoperato per indicare i rumeni che hanno precedenti penali, che saranno destinatari del provvedimento di espulsione: una categoria che include per lo più gli autori di piccoli reati, che hanno già scontato la pena. È bene notare anche che tra le bestie del prefetto Mosca rientrano anche incensurati che vengono ritenuti per qualche ragione pericolosi dalle forze dell’ordine.
Lo smantellamento del campo di Tor di Quinto viene commentato con durezza sulla prima pagina di Liberazione:
Le autorità hanno deciso che la risposta giusta al delitto è passare con le ruspe e abbattere i villaggi dei rom che si trovano a Tor di Quinto sulle rive del Tevere. Era da molti decenni che in Europa e in occidente non si assisteva a qualcosa del genere: villaggi spianati per vendetta, dallo Stato, come risposta a un reato. Scene di guerra, oppure di Far West28.
Sullo stesso quotidiano Lea Melandri parla di una «campagna mediatica e xenofoba contro i rumeni» che occulta un’evidenza: la violenza contro le donne non è legata all’immigrazione, ma avviene nella stragrande maggioranza dei casi in famiglia; il problema non è l’immigrazione, ma il sessismo29.
La Padania dà voce in prima pagina alla protesta del sindaco di Verona Tosi perché un analogo delitto accaduto in Veneto non ha avuto le stesse conseguenze politiche, mentre Il Giornale titola: Ora è tardi per fare i duri. In un articolo richiamato in prima pagina Giordano Bruno Guerri distingue i romeni, che sono spesso bravi lavoratori, dai rom: «I rom sono altra cosa. Popolo nomade vive razziando. Ci saranno le eccezioni, certo, ma la loro cultura è quella»30.
A Roma il presidente della sezione romana dei Circoli della libertà promossi da Michela Vittoria Brambilla annuncia l’avvio delle «ronde della libertà» contro la «delinquenza romena»31. Non per farsi giustizia da soli, spiega, «anche se la voglia di farlo è forte».
Alla voglia non resistono dieci persone a volto coperto, armate di coltelli e bastoni, che aggrediscono nel parcheggio di un centro commerciale quattro romeni. Tre di loro sono vengono feriti, uno in modo grave. Dalle testimonianze è chiaro che gli aggressori sono italiani, così come è evidente la relazione con l’omicidio Reggiani. Davanti ai campi rom compaiono cartelli che inneggiano alla pena di morte32.
3 novembre. L’aggressione al centro commerciale è la notizia di apertura del Corriere della Sera (Spedizione punitiva contro i romeni) e della Repubblica (Squadristi contro i romeni). Nella prima pagina del Corriere è richiamata anche una intervista a Francesco Rutelli, vicepresidente del Consiglio e tra i fondatori del Pd. Rutelli lamenta la «mancanza di autorità della legge che, unita alla sensazione che le vittime dei reati rischiano di pagare conseguenze più gravi di chi i reati li commette, dà vita a una miscela esplosiva». Al giornalista che osserva che molti accusano il Governo di essersi mosso sull’onda dell’emozione suscitata dall’omicidio Reggiani, risponde: «Non è così. Ci muoviamo perché la sfida della sicurezza va vinta, sennò la Repubblica si sfalda». Le nuove parole d’ordine sono «rigore e severità», cose che vanno incontro alla richiesta di sicurezza che viene dal popolo («appena pochi giorni fa nei quartieri spagnoli di Napoli e in quello di Torpignattara a Roma ho incontrato persone del nostro elettorato, gente allarmata che chiedeva sicurezza»). Questo vuol dire aumentare ulteriormente la popolazione carceraria, ma non è un problema: «Ci vorranno nuove prigioni? Le stiamo già facendo»33. Nell’editoriale della Repubblica Stefano Rodotà denuncia il clima di pericolosa intolleranza che si è creato e il rischio che il decreto sicurezza si giustifichi una colpevolizzazione etnica, oltre il principio giuridico della responsabilità personale. Scrive Rodotà:
Serve, davvero, con «necessità e urgenza», un’altra forma di tolleranza zero. Quella contro chi parla di «bestie», o invoca i metodi nazisti. Non è questione di norme. Bisogna chiudere «la fabbrica della paura». È il compito di una politica degna di questo nome, di una cultura civile di cui è sempre più arduo trovare le tracce34.
A pagina quattro dello stesso quotidiano si legge il titolo: Contro il rom urla e cori davanti al carcere. «Il rom» è Romulus Mailat, l’uomo accusato dell’omicidio.
La Gazzetta del Mezzogiorno titola: Rom, battaglia tra i poli. Nel sottotitolo si legge: Scattate le prime espulsioni. Perugia, inglese sgozzata in casa. L’inglese è Meredith Kercher, del cui omicidio i media si occuperanno per anni. Nel sommario c’è anche il riferimento al tentativo di stupro di una ragazza a Jesi. Tutto questo sta ormai sotto la rubrica rom.
Libero titola Romeno Prodi, mettendo un prima pagina una grande caricatura del premier vestito da rom. Nel sottotitolo: Il governo poteva evitare l’invasione dei rom. Sulla prima pagina del Giornale la spedizione contro i rumeni al centro commerciale viene presentata così: «I romani reagiscono coltelli e bastoni contro tre romeni» (sommario dell’articolo di apertura). All’interno l’aggressione viene presentata come una semplice rissa tra italiani e rumeni, nella quale questi ultimi hanno avuto la peggio.
La Padania titola: Sull’orlo di una rivolta popolare. Nel taglio basso aspide, la rubrica a carattere aforistico del quotidiano, sintetizza: «Romeni e romani, stessa radice rom, stesso disprezzo per i popoli che li ospitano. La Padania non vede l’ora di espellerli entrambi». All’interno una intervista al sindaco leghista di Varese. Titolo: Fontana: «A Varese niente rom perché non gli diamo tregua».
I giornali di sinistra denunciano il clima d’odio. Destra dell’odio: rumeni bastonati a Roma, titola l’Unità. Il manifesto titola in prima: La caccia. Nell’editoriale Franco Ippolito si chiede: come mai, piuttosto che prendere provvedimenti d’urgenza per espellere i rumeni, «non è stata scelta la strada, anche simbolicamente più appropriata, della trasformazione in decreto-legge delle disposizioni a tutela delle donne vittima di violenza, pendenti alla Camera dal 25 gennaio?»35. Liberazione riporta in prima pagina i dati del Viminale sulla sicurezza, che smentiscono nettamente l’emergenza sicurezza: Emergenza-crimini? È un imbroglio! Lo dice il Viminale.
4 novembre. Il governo romeno prende ufficialmente posizione riguardo a quello che sta accadendo in Italia. Il ministro degli esteri in un comunicato auspica che il governo italiano prenda provvediementi contro la xenofobia, mentre quello dell’interno dichiara al telegiornale della sera che sarebbe grave se i provvedimenti presi dal governo italiano dovessero «assumere toni persecutori nei confronti dei nostri connazionali». La notizia è sulla prima pagina del Corriere della Sera e della Repubblica.
Intervistato dal Corriere della Sera, il leader del partito di destra Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, afferma che «c’è chi non accetta di integrarsi, perché non accetta i valori e i principi della società in cui risiede». Al giornalista che gli chiede se si riferisce ai rom, risponde:
Sì, mi chiedo come sia possibile integrare chi considera pressoché lecito e non immorale il furto, il non lavorare perché devono essere le donne a farlo magari prostituendosi, e non si fa scrupolo di rapire bambini o di generare figli per destinarli all’accattonaggio. Parlare di integrazione per chi ha una «cultura» di questo tipo non ha senso36.
Sui giornali di destra continuano i toni aggressivi. Libero titola minacciosamente: Legalità o randello. Nel sommario: Da anni l’Italia è meta di invasioni barbariche, alla faccia delle leggi. Mentre il direttore Vittorio Feltri parla di «feccia romena» che si è riversata in Italia per via delle nostre leggi poco severe, Marcello Veneziani scrive: «Fermiamoli. Non facciamoli più arrivare. Non siamo in grado di accoglierli, si stanno creando le condizioni per una guerra civile»37. Il Giornale apre con la foto di una baracca abbandonata, e titola: Volete l’Italia così? Nell’articolo di fondo Mario Giordano scrive che coloro che aggrediscono i rom sono cretini e delinquenti, anche se «l’esasperazione degli italiani è palpabile»38. Sulla prima pagina della Padania l’esortazione: Sveglia padani, tocca a noi.
Mentre i giornali di sinistra continuano a denunciare il clima d’odio (L’onda nera, titola il manifesto, riferendosi alla caccia al romeno), sulla Stampa Michele Ainis chiosa: «La legge Mancino punisce con tre anni di galera l’istigazione all’odio razziale: a prenderla sul serio, metà dei politici italiani dovrebbe finire in gattabuia»39. E i giornalisti?
Ponticelli
10 maggio 2008. Ponticelli, quartiere periferico di Napoli. Poco dopo le otto di sera una donna di ventisette anni, Flora Martinelli, lascia la figlia di pochi mesi nel seggiolone, in cucina. All’improvviso la porta di casa si spalanca e la donna si accorge che la bambina è stata portata via. Esce di corsa sul pianerottolo e vede una ragazzina con in braccio la bimba. La ferma e le toglie la bambina. La ragazzina tenta di fuggire, ma viene bloccata da Ciro, il padre della donna.
Questa è, almeno, la versione riferita ai giornali dalla donna. La ragazzina, Angelica V., identificata subito come una giovane rom, rischia il linciaggio ad opera di centocinquanta persone del quartiere.
12 maggio. La notizia arriva ai giornali nazionali. Il Corriere della Sera titola in prima pagina nel taglio medio: «Voleva rapire una bimba» Arrestata minorenne rom. Nell’articolo un’intervista alla madre della bambina: «Non potrò mai dimenticare, i rom sono cattivi. Se ne devono andare via di qui»40. Questa affermazione razzista e pericolosa viene riportata senza commento dal giornalista; tutto l’articolo è formulato dal punto di vista della madre. Nella stessa pagina anche due pareri, quello dell’Opera Nomadi, che denuncia la psicosi («Altro che rapimento, quella ragazza è entrata in casa per rubare, basta con questa favola che i rom rubano i bambini, da secoli non è mai stato dimostrato un solo caso»)41, e quello del magistrato Sandro Pennasilico, per il quale «è plausibile che il rapimento ci sia stato nelle modalità raccontate»42. Su Repubblica c’è in prima pagina un titoletto nel taglio basso: Giovane rom tenta di rapire una bambina la folla stava per linciarla. Anche l’articolo della Repubblica sposa in pieno la versione della famiglia napoletana, senza consentire all’accusata il beneficio del dubbio (che sarebbe d’obbligo considerati i precedenti: notizie del genere si sono sempre mostrate infondate), e lasciando spazio ad affermazioni razziste, come quella del padre della bambina: «Se ne devono andare, ognuno deve stare a casa propria»43.
Il Giornale mostra in prima pagina la foto della madre di Napoli che stringe la neonata e titola: Quei rom ladri di bambini. Nell’occhiello: Allarme ricurezza. Il meccanismo è quello collaudato: un fatto di cronaca (nel caso specifico estremamente dubbio) che ha un solo colpevole chiama immediatamente in causa tutta l’etnia e innesca i dispositivi retorici legati alla «sicurezza». La campagna d’odio continua all’interno. Choc a Napoli: zingara in casa cerca di rapire una neonata, è il titolo di un articolo nel quale si legge:
Fa riflette il fatto che la ragazza abbia scelto proprio quell’appartamento, certa che avrebbe trovato quello che cercava: «Il dubbio è che ci sia un’organizzazione che si occupa di reclutare manovalanza per l’accattonaggio» ipotizzano alcuni agenti. E la mente va subito alla piccola Angela Celentano, scomparsa il 10 agosto di 12 anni fa sul Monte Faito e mai più rivista44.
In un articolo a parte l’intervista alla madre, dal titolo significativo: La mamma: «Gente cattiva, vadano via». «Voglio lasciarmi alle spalle questa brutta storia. Quei rom, però, sono cattivi, devono andare via da qui. Ora devono capire che la gente onesta non li vuole qui», dichiara45. Completa la pagina un articolo di Stefano Filippi: Altro che leggenda, rubano bambini. Nell’occhiello: La grande paura. Nel sommario: Ora sarà più difficile bollare come luogo comune il timore dei giostrai sequestratori.
La prima vittima del clima d’odio creato dai giornali è un romeno picchiato ed accoltellato a poche ore dal presunto rapimento. La notte ignoti danno fuoco ad alcune baracche già abbandonate dai loro occupanti.
13 maggio. Sul Giornale continua la campagna d’odio, con l’intera pagina cinque. L’articolo principale, intitolato Rivolta a Napoli: «Siamo ostaggi degli zingari», riporta gli umori del quartiere e della città: dal commerciante che dice che i rom se ne devono andare, altrimenti «faremo vedere cosa siamo capaci di fare» al gruppo municipale del Pd che chiede di sgomberare al più presto i campi rom, fino al sindaco Iervolino, che lungi dal placare gli animi azzarda perfino l’ipotesi che si sia trattato di un rapimento su commissione46. Completano la pagina due articoli di spalla. Una intervista al prefetto Rino Monaco comincia con un elenco di casi noti di bambini scomparsi. Domanda: dopo Ponticelli l’ipotesi dei rom che rubano i bambini è più probabile? Risposta del prefetto: «Sì, il caso della bambina di sei mesi salvata per un soffio dalla zingara riapre certamente scenari inquietanti». La pista dei rom, afferma, è stata presa in seria considerazione per i casi di Angela Celentano e Denise Pipitone47. I rom, spiega, rapiscono i bambini per farli lavorare o per i furti negli appartamenti. Un fenomeno in crescita, conclude, «perché stanno arrivando ondate di bimbi rom rubati dalla Romania»48. Segue una seconda intervista al sostituto procuratore Amedeo Sessa, che denuncia l’esistenza di un mercato sommerso di compravendita dei minori ed ipotizza che il tentato rapimento avesse appunto lo scopo di «vendere a qualche coppia senza scupoli il bambino»49.
Nel pomeriggio un gruppo di trecento-quattrocento persone armate di mazze e bastoni dà l’assalto al campo di Ponticelli. I pochi poliziotti non riescono ad impedire che la folla rompa la recinzione del campo, lanci oggetti contro i rom, rovesci i motocarri. Nel frattempo altre persone danno fuoco ad un centro terapeutico abbandonato, adoperato come rifugio da sei famiglie rom.
14 maggio. Il Giornale apre con il titolo Obiettivo: zero campi rom. Il riferimento è al piano sicurezza del governo Berlusconi ed alla nomina di un commissario ad hoc per i rom a Milano. All’interno una intervista al presidente di centro-sinistra della Provincia di Milano, Filippo Penati (che successivamente sarà accusato di corruzione), che annuncia la tolleranza zero contro i rom. «Ripartire i rom sul territorio metropolitano? Altro che ripartirli, sono i rom che devono ripartire. E subito». Penati non vuole nemmeno i campi regolari. I rom devono essere espulsi tutti. «Dev’essere chiaro che i rom non possono stare accampati sotto casa mia e minacciare me e la mia famiglia». Tutti i rom diventano una minaccia. Come si conciliano queste affermazioni con il suo essere di sinistra? Con il populismo, come già abbiamo visto. «Io sono un uomo di sinistra. E la sinistra ha il compito di difendere i più poveri e i più deboli. Tra chi compie un reato e chi lo subisce io non ho dubbi e sto con chi lo subisce»50.
A Ponticelli continuano i raid punitivi. Alle 13.30 la folla dà fuoco alle baracche di via Malibrand, che fortunatamente sono già state abbandonate dai rom. Vengono dati alle fiamme, anche con bottiglie molotov, i due campi di via Virginia Woolf. Una folla armata di bastoni si dirige verso gli ultimi campi abitati, sotto al cavalcavia della Napoli-Salerno. Racconta Marco Imarisio sulle colonne del Corriere della Sera:
Dai pannelli divelti si affaccia una ragazza, il capo coperto da un foulard fradicio di pioggia. Trema, di freddo e di paura. Quasi per proteggersi, tiene al seno una bambina di pochi mesi. Saluta una delel donne più esagitate, una signora in carne, che indossa uin giubbino di pelo grigio. La conosce. «Stanotte partiamo, per favore non fateci del male». La signora ascolta in silenzio. Poi muove un passo verso la rom, e sputa. Sbaglia bersaglio, colpisce in faccia la bambina. L’ispettore, che stava sulla traiettoia dello sputo, incenerisce con lo sguardo la donna. «Brava, bravissima»51.
Imarisio nota la presenza sui luoghi degli incidenti di noti rappresentanti della camorra.
15 maggio. Le prime pagine dei principali quotidiani nazionali sono indifferenti alle violenze contro i rom. Il Giornale titola in prima pagina, nel taglio medio: Ecco tutti i crimini dei rom. Nel sommario: Furti, estorsioni, spaccio di droga sono le attività predilette.
Sulla prima pagina di Liberazione un reportage dal campo Casilino900 di Roma, mostrato come un modello positivo di integrazione52. Intanto la sezione Gramsci del Pd di Napoli fa affiggere dei manifesti con la scritta «Via gli accampamenti rom da Ponticelli»53.
Tra le notizie del giorno c’è quella di una ragazza di quattordici anni massacrata e gettata in un pozzo da tre ragazzi italiani perché ha dichiarato di essere incinta di uno di loro. Un delitto anche più efferato di quello di Tor di Quinto, che però non ottiene alcuna attenzione particolare, non suscita ribellione e sdegno, perché compiuto da italiani (sulle prime pagine della Repubblica e del Corriere della Sera la notizia è nel taglio medio).
16 maggio. Sulla prima pagina della Repubblica un articolo di Adriano Prosperi dal titolo Il pogrom moderno. «Come e quando – scrive Prosperi – le autorità di governo prenderanno iniziative serie per l’integrazione civile e la tutela giuridica di tutti gli abitanti del paese? Per ora, si assiste solo a una gara a chi grida di più, a chi trova le parole più minacciose contro gli sventurati, contro i dannati della terra»54.
20 maggio. Dopo aver visitato i campi di Roma e Napoli, l’eurodeputata Viktoria Mohacsi, di origine rom, denuncia la condizione dei rom nel nostro paese in una audizione alla commissione Libertà pubbliche del Parlamento europeo. Riferisce di vessazioni, torture ed arresti arbitrari da parte della polizia e sottolinea la responsabilità politica delle violenze contro i campi rom, dovute ad un clima di xenofobia alimentato dalle dichiarazioni dei rappresentanti politici, ed in particolare del ministro dell’Interno Maroni. La notizia è sulle prime pagine dei principali quotidiani nazionali.
21 maggio. Il governo dichiara «lo stato di emergenza in relazione agli insediamenti di comunità nomadi nel territorio delle regioni Campania, Lombardia e Lazio» (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministi, 21 maggio 2008). In seguito al decreto vengono nominati dei commissari straordinari nelle tre regioni. Una sentenza del Consiglio di Stato del 21 novembre 2011 dichiarerà illegittimo il provvedimento, poiché non esistevano le condizioni per dichiarare l’emergenza.
Epilogo. Angelica V., la ragazza accusata del rapimento, è stata condannata per sequestro di persona a tre anni ed otto mesi di reclusione. Diverse associazioni per i diritti civili hanno segnalato l’anomalia di una condanna che fondata sulla testimonianza di un’unica testimone, la madre della bambina, di cui peraltro i giornali hanno riportato le affermazioni razzistiche nei confronti dell’intera comunità rom. La ragazza è stata condannata senza la concessione di alcuna attenuante, senza che le venisse concesso il gratuito patrocinio (con al singolare motivazione che «potrebbe avere capitali in patria»), senza che gli atti venissero tradotti nella sua lingua.
Diverse ricostruzioni giornalistiche sollevano più di qualche dubbio sull’intera vicenda. La zona sulla quale si trovava il campo rom così violentemente sgomberato, scrive Giulio Di Luzio, «è destinata ad un piano di recupero urbanistico con un finanziamento pubblico di 200 milioni di euro, a cui non sarebbero estranei gli interessi della camorra» (Di Luzio 2012, 123). A detta di Di Luzio la madre della bambina, l’unica testimone del tentato rapimento, sarebbe a sua volta «figlia di un affiliato alla camorra» (Ivi, 123).
Non si è ancora spento il clamore mediatico dei fatti di Ponticelli, che i giornali danno notizia di un altro tentato sequestro di un bambino da parte di rom. A Catania, riferiscono, due rom hanno tentato di strappare dalle braccia della madre una bambina di tre mesi, per punire la madre che ha rifiutato loro l’elemosina. Il Giornale mette la notizia in prima pagina nell’edizione del 21 maggio. I due accusati saranno prosciolti in tribunale dopo quattro mesi di ingiusta detenzione. Semplicemente non avevano commesso il fatto. Come i rom di Ponticelli, sono stati anch’essi vittima del clima di antiziganismo. Commenta su Internazionale John Foot: «Le notizie pubblicate dal giornale erano false. Ma quei lettori oggi sanno la verità? Quasi certamente no. Il danno ormai è fatto. È troppo tardi. Nella società dello spettacolo in cui viviamo non contano più i fatti, conta chi strilla di più, anche se mente o si inventa le cose»55.
Come abbiamo visto, in seguito alla dichiarazione dello stato d’emergenza sono stati conferiti poteri straordinari ai prefetti di Milano, Roma e Napoli. I prefetti dovranno, tra l’altro, provvedere ad identificare le persone, anche minori, con opportuni rilievi segnaletici. Nel corso di un’audizione alla commissione Affari costituzionali della Camera, il 24 giugno, il ministro dell’Interno Maroni dichiara: «Prenderemo le impronte anche dei minori, in deroga alle attuali norme, proprio per evitare fenomeni come l’accattonaggio. Non sarà certo una schedatura etnica ma un censimento vero e proprio per garantire a chi ha il diritto di rimanere di poter vivere in condizioni decenti». La proposta suscita subito commenti negativi da parte dell’Unione europea, che in una intervista il ministro Maroni liquida come «moralismo finto e ipocrita»56. Un «moralismo» che sfocia in una risoluzione del 10 luglio 2008, con la quale il Parlamento Europeo
esorta le autorità italiane ad astenersi dal procedere alla raccolta delle impronte digitali dei rom, inclusi i minori, e dall’utilizzare le impronte digitali già raccolte, in attesa dell’imminente valutazione delle misure previste annunciata dalla Commissione, in quanto ciò costituirebbe chiaramente un atto di discriminazione diretta fondata sulla razza e sull’origine etnica, vietato dall’articolo 14 della CEDU, e per di più un atto di discriminazione tra i cittadini dell’Unione Europea di origine rom e gli altri cittadini, ai quali non viene richiesto di sottoporsi a tali procedure57.
Il finto stupro delle Vallette
7 gennaio 2012. Una ragazzina di sedici anni che vive alle Vallette, quartiere periferico di Torino, denuncia di essere stata violentata da due uomini tra i venti ed i trent’anni. Ai carabinieri racconta che non parlavano italiano: «Dall’aspetto mi sembravano due zingari. Puzzavano da morire. Mi hanno chiesto il telefonino, pensavo a una rapina, poi ho capito». Il racconto è pieno di particolari raccapriccianti. I due l’hanno spinta in un androne, dove uno l’ha violentata mentre l’altro la teneva ferma. La madre esprime ai giornali tutta la rabbia per l’oltraggio fatto ad una ragazza che le aveva sempre detto «di voler arrivare pura all’altare»: «Li avessi davanti quei due strapperei loro il cuore, come hanno fatto con mia figlia»58. Nel dare la notizia, i telegiornali annunciano iniziative di solidarietà del quartiere. L’edizione delle 20,00 del Tg1, in un servizio particolarmente evocativo (il giornalista Gian Mario Ricciardi si sofferma sui particolari, compreso l’odore degli stupratori), parla della «rabbia del quartiere che ora chiede giustizia». Quanto la rabbia di un quartiere possa essere alimentata da un servizio sul principale telegiornale del paese che parla di una rabbia del quartiere che chiede giustizia è cosa non difficile da immaginare.
Per la sera stessa si organizza una fiaccolata pacifica di solidarietà, ma gli animi sono accesi e la situazione degenera. Un gruppo di cento persone si stacca dal corteo e si avvia verso le baracche del campo rom della Continassa. Sono armati di spranghe e bastoni. Tra loro molti ultras della Juventus. Il piano è quello di bruciare tutto. Le macchine della polizia presenti non impediscono agli scalmanati di perseguire il proprio obiettivo e di dar fuoco al campo. Le azioni si fermano solo grazie all’intervento di Alessandro, il fratello della ragazza, che annuncia che lo stupro è un’invenzione: non c’è mai stato. Pressata dalle forze dell’ordine, la ragazza ha confessato di essersi inventata tutto. Il giorno prima aveva avuto un rapporto sessuale, ma consenziente, e con un italiano. Si chiarisce il quadro di una famiglia nella quale la repressione sessuale giunge fino all’obbligo di periodiche visite ginecologiche per accertare la persistente verginità.
Il giorno dopo La Stampa, il quotidiano di Torino, apre con un titolo sulle modifiche allo stipendio dei parlamentari. La notizia delle violenze contro i rom occupa il taglio medio della pagina. All’interno un resoconto dei fatti del giorno prima (Spedizione contro i rom per uno stupro inventato), senza ulteriore commento. Una riflessione arriva sul sito Internet del giornale, con una nota di Guido Tiberga intitolata Il titolo sbagliato. Scrive Tiberga:
Ieri, nel titolo dell’articolo che raccontava lo «stupro» delle Vallette abbiamo scritto: «Mette in fuga i due rom che violentano sua sorella». Un titolo che non lasciava spazio ad altre possibilità, né sui fatti né soprattutto sulla provenienza etnica degli «stupratori». Probabilmente non avremmo mai scritto: mette in fuga due «torinesi», due «astigiani», due «romani», due «finlandesi». Ma sui «rom» siamo scivolati in un titolo razzista. Senza volerlo, certo, ma pur sempre razzista. Un titolo di cui oggi, a verità emersa, vogliamo chiedere scusa. Ai nostri lettori e soprattutto a noi stessi59.
Una nota di qualche interesse: è estremamente raro che il giornalismo italiano rifletta sulle proprie meccaniche logiche razzistiche – e c’è da chiedersi se una simile riflessione sarebbe giunta se la scoperta del falso non avesse costretto tutti a riflettere sui meccanismi di attribuzione e di colpevolizzazione. Intanto sembra che a nessuno interessi granché la situazione delle vittime, di quei rom che hanno perso l’abitazione ed hanno rischiato la vita. Il profilo basso dato alla notizia è di per sé un fatto anche più grave della demonizzazione del giorno prima. Sul Corriere della Sera dell’11 la notizia è nel taglio basso della prima pagina. All’interno, oltre alla ricostruzione dei fatti, un articolo fa il giro consueto delle opinioni: si va dalle parole del sindaco Fassino, che parla di un tentativo di linciaggio inaccettabile, soprattutto in una città «che ha sempre saputo rispettare ogni persona», a Pierluigi Dovis, direttore della Caritas torinese, che giustamente denuncia che episodi del genere non sono frutto «di tensioni locali, ma di messaggi nemmeno troppo subliminali reiterati per tanto e troppo tempo, che hanno finito per attecchire convincendo la gente del fatto che se sei rom, sei già colpevole e condannato»60.
Bisogna aspettare due giorni perché qualcuno evidenzi la gravità assoluta del fatto. Sul manifesto Marco Revelli parla apertamente di pogrom:
Diciamola la parola, per terribile che possa apparire. Quello di Torino è stato un pogrom in senso proprio, come quelli che avvenivano nella Russia ottocentesca. O nella Germania degli anni Trenta. Di quei riti crudeli ha tutti gli elementi, a cominciare dall’uso distruttivo del fuoco, per liberare la comunità dall’intruso considerato infetto (per «purificarla», si dice). E poi l’occasione scatenante, trovata in un presunto – e falso – atto di violenza su una vittima per sua natura innocente (può essere il neonato «rubato», come qualche anno fa a Ponticelli o, appunto, la «vergine» violentata). E lo stato di folla che s’inebria della propria furia vendicatrice, convinta di compiere un «atto di giustizia»61.
Continua, Revelli, ragionando di Torino, città che ostenta il fascino sabaudo del suo centro e delle sue dimore, ed il cui malessere si scarica nelle periferie degradate, lì dove crescono mostruosità alimentate dalla crisi economica e sociale. E conclude augurandosi che Torino non sia il laboratorio in cui si mostrano i primi segni di una «involuzione antropologica mortale».
L’articolo di Revelli è del 13 gennaio. Alle 12.30 di quello stesso giorno Gianluca Casseri, un uomo di cinquant’anni vicino all’organizzazione di destra Casa Pound, comincia a Firenze una folle caccia al senegalese, armato di una pistola 357 magnum. Ne ammazza due e ne ferisce altri tre, prima di suicidarsi nello scontro con le forze dell’ordine.
Conclusioni
La conclusione di questa rassegna del trattamento politico-giornalistico delle notizie riguardanti i rom dovrebbe apparire evidente. Esiste in Italia un preoccupante antiziganismo, endemico ma alimentato ad arte da campagne giornalistiche e strumentalizzato da alcune forze politiche, interessate ad alzare il livello dell’odio etnico per tornaconto elettorale. Esiste in questo paese una destra xenofoba, ma esiste anche una sinistra incapace di affermare una politica realmente alternativa, che prende decisioni delicatissime, dalle quali dipendono la vita ed i diritti di migliaia di persona, sull’onda dell’emotività suscitata dai giornali, ed i cui rappresentanti, dai leader ai sindaci di provincia, si lasciano andare ad affermazioni dal chiaro contenuto razzistico. Esistono in questo paese gli sgomberi, i raid, i pogrom, le aggressioni ai rom, minimizzate dai mass-media, quando non alimentate e giustificate da essi. Esiste nel nostro paese una stampa pregiudizialmente ostile ai rom perché espressione di visioni politiche di destra e xenofobe – Il Giornale, Libero e La Padania –, ma anche la stampa non di destra, compresi i principali quotidiani, nel dare le notizie sui rom non appare esente da alcune distorsioni, che si possono sintetizzare come segue:
a) Quando le notizie riguardano i rom come protagonisti negativi, non si manca di enfatizzare l’appartenenza etnica.
b) Le notizie di cronaca che vedono i rom nel ruolo di vittime vengono generalmente date con enfasi minore, o non date affatto. Due esempi tra i tanti:
- Il 6 giugno 2008. Il 6 giugno 2008 Neli, una ragazza rom di sedici anni incinta, chiede l’elemosina davanti ad un locale di Rimini. Un italiano si alza, le rivolge insulti razzistici e la colpisce ripetutamente con calci alla schiena. Nessuno dei presenti interviene o protesta. Il fatto, ignorato dai mass-media, viene denunciato dal gruppo EveryOne, che segue la comunità rom di Pesaro di cui la ragazza fa parte.
- I Covaciu sono una famiglia di rom provenienti dalla Romania che, dopo diversi sgomberi, si è stabilita a Milano, in un ricovero di fortuna nel quartiere Gianbellino. Rebecca, la figlia dodicenne, ha vinto un concorso dell’Unicef riguardante disegni legati ai diritti dei bambini. La mattina del 17 giugno 2008 due italiani aggrediscono e picchiano Rebecca ed il fratellino Ioni di quattordici anni. Quando sopraggiunge il padre Stelian, pastore della Chiesa Pentecostale, insultano e minacciano anche lui. La famiglia fugge e chiede aiuto ai passanti, ma inutilmente. Qualche giorno dopo, il 20 giugno, Stelian viene aggredito e picchiato da due agenti di polizia in divisa, come punizione per aver parlato con i giornalisti. Le due aggressioni, ignorate dai giornali nazionali, sono denunciate dal gruppo EveryOne e dall’associazione Thèm Romano.
c) Quando le notizie vengono date, non si manca di insinuare una certa corresponsabilità delle vittime. Un esempio:
- Giugno 2010. Una donna rom all’ottavo mese di gravidanza viene aggredita con una mazza da baseball da un ultras juventino ventiduenne, nella zona del mercato di via Nitti, a Torino. In seguito all’aggressione la donna perde il bambino. Il Tg1 del 26 giugno dedica al fatto un servizio di circa un minuto, nel corso del quale la donna viene intervistata nel suo letto d’ospedale. Il giovane ultras si è giustificato dicendo che la donna e le sue compagne stavano per rubare in casa sua. Il servizio del Tg1 si conclude con la notizia che «la polizia sta compiendo indagini, e per ora nei confronti delle donne non è emersa alcuna accusa».
Si tratta di meccanismi che scattano in modo praticamente automatico, a volte senza alcuna reale intenzione discriminatoria, ma che hanno gravi conseguenze sulla percezione pubblica della comunità rom. In qualche caso essi non vanno al di là dei titoli – nelle pagine interne, come abbiamo visto, non mancano validi approfondimenti, o letture tutt’altro che razzistiche dei fatti -, ma non per questo sono meno efficaci, se è vero che è il titolo a dare l’impronta alla notizia.
Il caso Reggiani rappresenta un test assolutamente preoccupante sulla salute della nostra democrazia. L’assassinio di una donna è un fatto gravissimo, ma nel nostro paese tutt’altro che raro. Le statistiche dicono che nel nostro paese viene uccisa una donna ogni due giorni: una vera strage, per la quale non è eccessivo parlare, come si fa, di femminicidio. E ad uccidere le donne sono, per lo più, coloro che dicono di amarle: fidanzati o ex fidanzati, mariti o ex mariti. Il nemico è in casa, ma i giornali non ne parlano, non creano il caso, se non quando l’omicida è straniero. Il caso Reggiani dimostra che i mass-media possono, nel giro di pochi giorni, creare un’emergenza nazionale, condizionare la politica, suscitare un clima di odio la cui espressione inevitabile sono le espulsioni anche di gente che non è colpevole di nulla, le ronde, le spedizioni punitive, il dilagare del razzismo e della discriminazione. È assolutamente preoccupante che la classe politica, invece di porre un freno all’emotività pubblica, la cavalchi per scopi elettorali, salvo poi accorgersi, quando si è giunti ai raid punitivi, che la cosa sta sfuggendo di mano e tentare maldestramente di rimediare.
Quello avvenuto in Italia tra il 2007 ed il 2008 è un deragliamento collettivo, diverso per entità ma non per essenza dai deragliamenti collettivi che hanno portato in Italia alle leggi razziali ed in Germania ai campi di sterminio. Gli articoli di giornale ed ancor di più i titoli, le aperture dei telegiornali, le dichiarazioni irresponsabili dei politici hanno creato un’isteria di massa. Un paese che si ritiene civile ha dovuto assistere alle scene delle folle ebbre di distruzione, alle devastazioni, ai roghi. E, poi, agli sgomberi: persone cacciate via dalle loro abitazioni e messe per strada, in nome di una legge che si rifiuta ancora di riconoscere i rom come minoranza etnica. Né si può dire che si sia trattato di un fenomeno circoscritto a quell’arco temporale. L’episodio del finto stupro delle Vallette dimostra che si è sempre pronti all’assedio al campo rom, se solo una notizia di cronaca, verificata o meno, ne offre il pretesto.
Esistono in Italia non poche emergenze: l’emergenza mafia, l’emergenza corruzione, l’emergenza evasione fiscale, l’emergenza disoccupazione, l’emergenza crisi economica. E poi ci sono l’emergenza rom e l’emergenza immigrazione. Due emergenze finte, create ad arte manipolando qualche caso di cronaca, ma che tornano utili per coprire le altre emergenze, per spostare l’attenzione pubblica su pseudo-problemi, per concentrare la rabbia collettiva sui soggetti più deboli, per ottenere consenso politico diffondendo xenofobia e razzismo.
La condizione dei rom in Italia è stata più volte oggetto di attenzione da parte degli organismi internazionali, come già in parte abbiamo visto. Le ultime raccomandazioni vengono dal Comitato dell’ONU per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (Committee on the Elimination of Racial Discrimination, CERD), che esprime preoccupazione per gli sgomberi forzati di rom e sinti e per la mancanza di una politica abitativa in loro favore. Una delle preoccupazioni riguarda la politica e l’informazione:
Il Comitato è estremamente preoccupato (extremely concerned) per la prevalenza di discorsi razzisti, la stigmatizzazione e gli stereotipi diretti contro Rom, Sinti, Camminanti e non cittadini. Il Comitato è preoccupato che nei pochi casi in cui i politici sono stati perseguiti per affermazioni discriminatorie, sospensioni dell’esecuzione hanno permesso ai perseguiti di continuaree le loro attività politiche e di candidarsi alle elezioni. Il Comitato rileva che il diritto fondamentale alla libertà di espressione non protegge la diffusione di idee di superiorità razziale o di incitamento all’odio razziale. Il Comitato è anche preoccupato del fatto che la discriminazione razziale sia in aumento nei media e su internet, in particolare sui social network. (Committee on Elimination of Racial Discrimination 2012, 5).
Rilievi simili erano già stati fatti nel 2008 dall’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OCSE), che aveva visitato il nostro paese per verificare la situazione dei rom nel periodo seguito al caso Reggiani ed al (presunto) sequestro di Ponticelli. Nella relazione finale si stigmatizzava in particolare il ruolo dei media:
La copertura mediatica ha messo in rilievo un numero di incidenti e crimini che hanno coinvolto immigrati irregolari, inclusi Rom e Sinti. I titoli negativi hanno contribuito ad una maggiore diffusione del risentimento popolare e hanno fatto aumentare l’ostilità verso Rom e Sinti. (Citato in Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani 2011, 42.)
Nello stesso periodo il gruppo Giornalisti Contro il Razzismo lancia l’appello I media rispettino il popolo Rom, che dopo aver fatto il punto sulla disinformazione a sfondo razzistico dei mass-media («a volte con modalità inquietanti che evocano le prime pagine dei quotidiani italiani degli anni Trenta, quando si costruiva il “nemico” – ebrei, zingari, dissidenti – preparando il terreno culturale che ha permesso le leggi razziali del 1938 e l’uccisione di centinaia di migliaia di rom nei campi di sterminio nazisti»), si rivolge ai giornalisti, all’Ordine ed ai cittadini:
Invitiamo i colleghi giornalisti allo scrupoloso rispetto delle regole deontologiche e alla massima attenzione affinché non si ripetano episodi di discriminazione. Chiediamo all’Ordine dei giornalisti di rivolgere un analogo invito a tutta la categoria. Ai cittadini ricordiamo l’opportunità di segnalare alle redazioni e all’Ordine dei giornalisti ogni caso di xenofobia, discriminazione, incitamento all’odio razziale riscontrato nei media62.
Un appello caduto nel vuoto, come è possibile facilmente constatare considerando, ad esempio, il caso del finto stupro delle Vallette. I giornalisti di destra hanno continuato e continuano a diffondere apertamente odio razziale, senza che l’Ordine dei giornalisti intervenga; e gli altri continuano a sottolineare l’appartenenza etnica di chi compie un crimine, quando questi è straniero, ed a dare alle notizie il massimo rilievo (mentre le notizie che vedono i rom e gli stranieri in generale come vittime sono date in sordina63).
Va anche peggio se si considera la politica. In questo saggio abbiamo fermato l’attenzione sui rom, constatando nel periodo in esame la miopia, la chiusura, l’ottusità, il cinismo della politica tanto di destra quanto di sinistra. Il quadro si fa ancora più fosco se si allarga lo sguardo agli stranieri ed ai migranti. La politica italiana nei confronti del diverso negli ultimi anni è tutta all’insegna della paura e del rifiuto. Lo straniero è quello che bisogna respingere, da cui bisogna difendersi, che bisogna tenere a bada. È la politica che porta ai ripetuti «pacchetti sicurezza», alla progressiva sottrazione di diritti alle persone migranti, ai terribili «respingimenti in mare», agli accordi con il dittatore libico Gheddafi per impedire l’arrivo dei migranti, fingendo di non sapere con quali metodi si ottiene lo scopo.
Se ai giornalisti capita, qualche volta, di fermarsi a riflettere sui propri errori, non sembra che si possa dire lo stesso dei politici. L’antiziganismo tende a diventare trasversale, filtra nella stessa sinistra, cercando di giustificarsi con il populismo: la sinistra sta con la gente, la gente è esasperata dai rom, quindi la sinistra deve stare contro i rom. Un discorso che, a ben vedere, non è né di destra né di sinistra: è semplicemente la negazione della politica, se la politica ha a che fare con l’arte e la scienza della coesistenza. È il segno di un imbarbarimento in atto, di una involuzione politica e prima ancora morale e civile, nella quale giungono allo scacco tanto la tradizione cattolica quanto quella laica, incapaci di contrastare un baratro assiologico colmato con il cinismo e la violenza, con l’egoismo ed una ostentata rozzezza. Sicurezza è la parola d’ordine della nuova politica. Il meccanismo è tanto semplice quanto pericoloso. L’introduzione delle logiche neoliberiste rende l’esistenza dell’uomo comune sempre meno sicura: gli toglie la certezza del lavoro e del futuro, lo rende precario e fragile, costretto a rimettersi costantemente sul mercato del lavoro, abbassando sempre più le sue pretese (quelle pretese che una volta si chiamavano diritti). Questa insicurezza viene convogliata, incanalata con l’aiuto dei mass-media, e diventa paura del diverso. Gli si fa credere che è lì il problema, e che è da lì che proviene l’angoscia che prova. E che, una volta eliminato il diverso, andrà tutto bene. I rom si prestano bene a questo gioco, non solo perché esiste una tradizione secolare di sospetto, di calunnia, di diffamazione nei loro confronti, ma anche e soprattutto perché sono al di fuori della logica consumistica: non comprano, non vendono, non consumano. In una società consumistica, mancano loro i segni elementari che occorrono per la riconoscibilità in quanto membri di una comunità. Si è, in quanto si consuma insieme; chi non consuma, non è. O è talmente altro, che nessuna mediazione, nessun incontro è possibile.
Se le cose stanno così, non è sufficiente il richiamo all’etica per combattere l’antiziganismo, non basta ricordare i diritti umani, né fare appello alla ragione o ai valori cristiani. Affrontare alla radice l’antiziganismo vuol dire andare al fondo della paura dell’uomo postmoderno, che è nell’erosione costante ed apparentemente inesorabile della sicurezza, del diritto, delle ragioni più vere della vita comune da parte di un sistema economico fondato sulla rapina, sulla violenza e sulla menzogna.
Bibliografia
Amnesty International (2010), La risposta sbagliata. Italia: il «Piano Nomadi» viola il diritto all’alloggio di rom a Roma, Index: EUR 300/001/2010.
Commissione Straordinaria per la Tutela e la Promozione dei Diritti Umani , Senato della Repubblica (2011), Rapporto conclusivo dell’indagine sulla condizione di Rom, Sinti e Caminanti in Italia, www.senato.it
Committee on Elimination of Racial Discrimination (2012), Concluding Observations of the Commitee on the Elimination of Racial Discrimination, Italy, disponibile nel sito del Comitato per la Promozione e la Protezione dei Diritti Umani, www.comitatodirittiumani.net
Di Luzio G. (2011), Brutti, sporchi e cattivi. L’inganno mediatico sull’immigrazione, Ediesse, Roma.
Note
1 F. Sarzanini, Un popolo di 160 mila nomadi (e altri centomila fantasmi), in Il Corriere della Sera, 12 agosto 2007.
2 F. Selvatici, Tragedia sotto il cavalcavia brucia la baracca, morti 4 bimbi, in la Repubblica, 12 agosto 2007.
3 M. Revelli, Quattro bambini di «scarto», in il manifesto, 12 agosto 2007.
4 M. Corradi, Figli d’altri e di «nessuno» figli nostri, in Avvenire, 12 agosto 2007.
5 G.Lerner, Duri, violenti e vagabondi sono lo spettro del nomadismo, in la Repubblica, 13 agosto 2007.
6 G. Rondinelli, Zingari, scaricabarile del governo. «Tocca ai comuni occuparsene», in la Repubblica, 13 agosto 2007; M. Gasparetti, Il rogo nel campo rom: ora è scontro politico, in Il Corriere della Sera, 13 agosto 2007.
7 E. Spagnuolo, «Qualcuno ci odia, ma questo è il nostro paese», in Il Mattino, 13 agosto 2007.
8 S. Ballestra, Siamo tutti colpevoli, in L’Unità, 13 agosto 2007.
9 M. Palladino, «In giro vedo troppi corpi straziati, quelli di Livorno sono omicidi bianchi», in L’Unità, 13 agosto 2007.
10 P. Bassi, Rom, mandiamoli a lavorare, in La Padania, 14 agosto 2007.
11 A. Coppola, Rom, lite tra Roma e Bruxelles. Amato: regole in vigore dal 2003, in Il Corriere della Sera, 14 agosto 2007.
12 G. Russo Spena, «I nomadi? Sono un business per chi dice di assisterli», in il manifesto, 14 agosto 2007.
13 B. Manicardi, «I campi nomadi sono ghetti indegni di un paese civile», in Il Giorno, 14 agosto 2007.
14 E. Mazzi, Nei campi si annulla la cultura rom, in il manifesto, 14 agosto 2007. Il Laboratorio Kimeta esiste all’Isolotto dal 1998.
15 P. Setti, «I rom che non si mantengono possono essere mandati via», in il Giornale, 15 agosto 2007.
16 E. Veltri, Rom, un’altra tragedia è possibile, in l’Unità, 15 agosto 2007.
17 A. Burgio, Parla molto di noi la questione «zingara», in il manifesto, 17 agosto 2007.
18 P. Foschi, Veltroni: ruvidi sull’immigrazione. Lo slogan: darò risposte, non sogni, in Il Corriere della Sera, 27 giugno 2007.
19 W. Veltroni, «Non ci sono due Italie… ce n’è una sola», in L’Unità, 28 giugno 2007.
20 M. Mafai, Risposta alla paura, in la Repubblica, 1 novembre 2007.
21 M. G. Maglie, Il sacco di Roma(nia), in il Giornale, 1 novembre 2007.
22 M. Anselmi, «Noi romani in gabbia per paura delle bestie», in il Giornale, 1 novembre 2007.
23 G. Paragone, Ti ammazzano per strada, in Libero, 1 novembre 2007.
24 F. Caccia-R. Frignani, Morta la donna aggredita, blitz al campo rom, in Il Corriere della Sera, 2 novembre 2007.
25 S. Romano, Il delitto e la politica, in Il Corriere della Sera, 2 novembre 2007.
26 G. Lerner, Il codice perduto della civiltà, in la Repubblica, 2 novembre 2007.
27 L. Milella – G. Vitale, Romeni, scattano le espulsioni. «Via i primi cinquemila», in La Repubblica, 2 novembre 2007.
28 All’armi siam razzisti. Caccia ai romeni ruspe nei campi e prime espulsioni, in Liberazione, 2 novembre 2007. Articolo senza firma.
29 L. Melandri, Tor di Quinto non ci inganni, la violenza è sessista, in Liberazione, 2 novembre 2007.
30 G. B. Guerri, Non è più la mia città, in Il Giornale, 2 novembre 2007.
31 Gio.Vi, Via alle «ronde della libertà» ma la Brambilla si dissocia, in la Repubblica, 2 novembre 2007.
32 F. Milone, Raid contro i romeni tre feriti uno è grave, in La Stampa, 3 novembre 2007.
33 G. Bianconi, Rutelli: il Polo voti le nuove misure Il Cavaliere? Immaturo e scomposto, in Il Corriere della Sera, 3 novembre 2007.
34 S. Rodotà, Un clima pericoloso, in la Repubblica, 3 novembre 2012.
35 F. Ippolito, La spallata alla civiltà, in il manifesto, 3 novembre 2007.
36 P. Di Caro, Fini: impossibile integrarsi con chi ruba, in Corriere della Sera, 4 novembre 2007.
37 M. Veneziani, C’è un solo modo: arrendersi a Bucarest, in Libero, 4 novembre 2007.
38 M. Giordano, Ma i razzisti non hanno alibi, in il Giornale, 4 novembre 2007.
39 M. Ainis, Un rumeno non è tutti i rumeni, in La Stampa, 4 novembre 2007.
40 B. Coscia, «Voleva rapire una bimba». Una rom rischia linciaggio, in Il Corriere della Sera, 12 maggio 2008.
41 «Soltanto psicosi, nessuna prova», in Il Corriere della Sera, 12 maggio 2008.
42 «In Italia i bambini scompaiono», in Il Corriere della Sera, 12 maggio 2008.
43 D. Del Porto, Ragazzina rom tenta di rapire una neonata, in La Repubblica, 12 maggio 2008.
44 G. Ausiello, Choc a Napoli: zingara in casa cerca di rapire una neonata, in Il Giornale, 12 maggio 2008.
45 GA, La mamma: «Gente cattiva, vadano via», in Il Giornale, 12 maggio 2008.
46 M. Pepe, Rivolta a Napoli: «Siamo ostaggi degli zingari», in Il Giornale, 13 maggio 2008.
47 Nel febbraio del 2008 viene rinvenuta nel campo rom di San Paolo Belsito, a Napoli, una rarazzina di quindici anni che dai tratti somatici sembra assomigliare ad Angela Celentano, una bambina scomparsa il 10 agosto del 1996 sul Monte Faito. Le analisi del dna escludono tuttavia che la ragazzina sia Angela. Già all’indomani della scomparsa erano stati setacciati senza successo i campi rom della zona.
Denise Pipitone è una bimba di Mazara del Vallo che nel settembre del 2004, quando aveva quattro anni, è scomparsa nel nulla. L’attenzione dei mass-media, l’attività degli inquirenti, il costante impegno della madre per tener desta l’attenzione dell’opinione pubblica sul suo caso non sono serviti in tutti questi anni a farla ritrovare. Il mese successivo alla scomparsa una guardia giurata milanese fotografa e riprende con il telefonino cellulare una bambina in compagnia di una donna rom, che a suo avviso è Denise, provocando indagini a tappeto nei campi rom milanesi, ovviamente infruttuosi, mentre nel marzo del 2005 un benzinaio allerta i carabinieri dopo aver visto una bambina che poteva assomigliare a Denise in compagnia di una coppia di rom: impressione che anche in questo caso cederà all’evidenza del test del Dna. Una svolta sembra arrivare nel settembre del 2008. Una turista di Viterbo in vacanza in Grecia resta colpita da una bambina rom albanese di otto anni che le ha venduto un braccialetto parlando in italiano. Al ritorno in Italia, segnala agli inquirenti che quella bimba potrebbe essere la piccola Denise. Due gli indizi: la bambina parlava perfettamente l’italiano mentre la madre no, e la bambina assomigliava a Denise. Le assomigliava, naturalmente, quanto una bambina di otto anni può assomigliare ad una bambina di quattro anni. Prontamente la madre della bambina viene fermata, interrogata, arrestata, finché il test del Dna dimostra in modo inconfutabile che è sua madre. Di italiano, la bimba sapeva solo le poche parole che servono per contrattare con i turisti, come accade ai venditori ambulanti.
48 M. Alfano, «Ecco come le tribù nomadi rendono schiavi i minori», in Il Giornale, 13 maggio 2008.
49 E. Cusmai, «Basta un pezzo di carta e il bambino rubato è tuo», in Il Giornale, 13 maggio 2008.
50 D. della Frattina, Milano, Penati ora fa il duro: «I rom devono sparire tutti», in Il Giornale, 14 maggio 2008.
51 M. Imarisio, Il fuoco della camorra e la grande caccia ai rom, in Il Corriere della Sera, 15 maggio 2008.
52 D. Varì, Il nostro inviato nel campo rom. Sorpresa: qui non è un inferno, in Liberazione, 15 maggio 2008.
53 F. Bufi, La svolta anti-nomadi della sezione Gramsci, in Il Corriere della Sera, 16 maggio 2008.
54 A. Prosperi, Il pogrom moderno, in la Repubblica, 16 maggio 2008.
55 J. Foot, Ladri di verità, in Internazionale, 24 ottobre 2008.
56 F. Sarzanini, Maroni: andremo fino in fondo. Basta con le stravaganze di Bruxelles, in Il Corriere della Sera, 28 giugno 2008.
57 Risoluzione del Parlamento europeo europeo del 10 luglio 2008 sul censimento dei rom su base etnica in Italia, 10 luglio 2008, disponibile nel sito del Parlamento Europeo, http://www.europarl.europa.eu
58 E. Di Blasi, Sedicenne stuprata in un androne a Torino, in la Repubblica, 10 dicembre 2011.
59 http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/433907
60 M. Imarisio, E la città mite scopre la rabbia della periferia. Fassino: inaccettabile, in Il Corriere della Sera, 11 dicembre 2011.
61 M. Revelli, Laboratorio Torino, in il manifesto, 13 dicembre 2011.
62 L’appello è nel sito del gruppo Giornalisti Contro il Razzismo, www.giornalismi.info/mediarom
63 Un esempio tra tutti: la notizia di una donna rumena violentata da un italiano in un call-center ottiene non più di un trafiletto a pagina tre della edizione del 16 maggio 2008 del Corriere della Sera.
Fonte: Educazione Democratica - http://educazionedemocratica.org/?p=1504