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Il nuovo libro di Raúl Zibechi: L'irruzione degli invisibili: il '68 e la nascita di nuovi mondi in America Latina

In una recente breve ma ‘densa’ intervista alla vigilia della pubblicazione in Italia a cura di camminar domandando di quest’ultimo suo libro, Raúl Zibechi condensa l’idea centrale del libro. Ecco l’intervista:

D - Nel tuo libro sul ’68 in America Latina tu condividi l’affermazione di Wallerstein, Arrighi e Hopkins, secondo i quali la rivoluzione del ’68 è fallita ma ha cambiato il mondo. Come giustifichi questa apparente contraddizione? Ti riferisci soprattutto a questa regione del mondo?

R - No, è stato un processo globale. In sintesi, quelli che stanno in alto non potevano continuare a governare e ad opprimere come avevano fatto fino al ciclo di lotte del 1968. L’autorità è entrata in crisi, nella famiglia, nelle fabbriche, nelle caserme, negli ospedali, nella città, in tutti gli spazi della società. Per questo il capitalismo si è visto costretto a cambiare, a portare le fabbriche in Cina o ad introdurre robot, ci sono state riforme nel sistema scolastico, anche se le scuole continuano ad essere luoghi di oppressione, e l’esercito è stato professionalizzato, perché il servizio militare era entrato in crisi. La finanziarizzazione dell’economia è stata la risposta del sistema al ’68.

D - Il mondo indigeno e quello nero nel continente, che tu vedi come artefici sostanziali di questo cambiamento, rappresentano una minoranza. Come pensi che le fiammelle che si sono accese al loro interno possano illuminare l’intero continente?

- Perché stiamo vivendo una crisi di civiltà. Di conseguenza, la visione culturale della nostra civiltà non ha le risorse necessarie per risolvere questa crisi, per cui le cosmovisioni dei neri e degli indios sono l’unica alternativa reale al disastro occidentale/capitalista: nella loro relazione con la natura, nei loro legami interpersonali, nelle comunità nere e indie esiste la possibilità di risolvere questa crisi a partire da un orizzonte diverso da quello dell’accumulazione del capitale e dell’individualismo.

- Quindi tu pensi che i popoli indigeni indichino una via da percorrere valida non solo per l’America Latina ma per l’Occidente e anche per il mondo tutto?

- A mio avviso, è molto importante che ci accostiamo ai popoli originari di America Latina, Asia e Africa, vale a dire ai popoli colonizzati, per aprirci a conoscere quelli che sono i loro pensieri e le loro pratiche di emancipazione. Credere che soltanto in Europa, nel contesto del marxismo o dell’anarchismo, ci siano tensioni verso l’emancipazione, significa non voler uscire dalla prigione dell’eurocentrismo, che ci sta conducendo a questa crisi di civiltà.

Non dubito che molti, leggendo queste righe, sorrideranno pensando a una fuga nell’utopia. Chi invece ha avuto modo di avvicinare e cercare di capire dal di dentro qualcuno di questi mondi ed ha uno sguardo realista sullo stato di crisi del nostro mondo occidentale, leggerà con attenzione quanto affermato da Zibechi, ricercatore serio e scrupoloso, con alle spalle decenni di ricerche condotte in loco là dove in America Latina sono nate esperienze di vita di comunità abitate dagli “ultimi” ovvero, per usare una terminologia a lui cara, “quelli che stanno in basso”, e in particolare quelle innestate nel pensiero indigeno, sia che si tratti di popoli sopravvissuti al genocidio della ‘conquista’ o trasferiti con la violenza come schiavi in questo continente. Anche in Occidente c’è chi si è posto con serietà la domanda che nel 1994 s'era posto Giulio Girardi, altro frequentatore di queste realtà ri-emergenti nel processo storico, con il suo libro: “Gli esclusi costruiranno la nuova storia? Il movimento indigeno, negro e popolare”.

 

“Chiudiamo questa breve presentazione del libro con quanto scritto da Piero Coppo, noto etnopsichiara italiano, in sintonia con le affermazioni di Zibechi nella sua intervista:

<<La crisi dell’Occidente che ha inaugurato il XXI secolo ha cambiato lo scenario: non si tratta solo di una crisi economica o militare, ma dell’inaridirsi del progetto della Kultur, quello della civilizzazione dell’intera umanità. Il progetto si è infranto contro la resistenza degli altri, ma anche per ciò che, da dentro la cultura occidentale stessa, è andata maturando. La cosmologia in cui era incluso e che si voleva universalistica si è rivelata un prodotto storico e quindi limitato nello spazio e nel tempo; e il progetto che comportava, per di più irrealizzabile. La sua pretesa di verità si è consumata da dentro; […] Il ripiegamento delle società che hanno incarnato questa ideologia, la loro perdita in salute e slancio propositivo bastano già da soli a dimostrare che quella via non ha futuro. Esaurita quella spinta progettuale, è tutto un mondo, quello che l’aveva incarnata, che si è trovato senza progetto, e quindi senza futuro. Si è aperto così uno spazio di incertezza per esaurimento del vecchio, dove sta incubando il nuovo>>. (Piero Coppo, Le ragioni degli altri. Etnopsichiatria, etnopsichiatrie, Raffaello Cortina editore, Milano 2013, pag.196.

 

 

RAÚL ZIBECHI

 

L'irruzione degli invisibili

Il '68 e la nascita di nuovi mondi in America Latina

 

Ediz. Le Piagge – E 10 – pagg. 144

 

Il libro uscirà entro il corrente mese di aprile. Raúl Zibechi sarà in Italia per una serie di incontri dall’1 al 16 giugno. Per ordinare il libro inviare una mail a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

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