Profezia non è pre-dire e nemmeno pre-vedere Il profeta non vede il futuro, vede il presente. Vede nel presente quello che gli altri non vedono e dice nel presente quello che gli altri non vogliono ascoltare. Soprattutto ciò che riguarda la difesa della vita e la netta condanna di qualsiasi guerra e ingiustizia. Di mondializzazione della profezia ci parlava Martin Luther King, già quarant’anni fa: «Non posso starmene seduto senza fare niente ad Atlanta e non preoccuparmi di quanto accade altrove. Esattamente come i profeti dell’ottavo secolo lasciavano i loro villaggi per portare il "così dice il Signore" ben oltre i confini della città in cui erano nati, anch’io mi sento costretto a fare altrettanto. L’ingiustizia, da qualunque parte si trovi, è una minaccia per la giustizia da qualunque altra parte».
È profezia estrema, incomprensibile e dura come ogni linguaggio profetico quella di Etty Hillesum, una giovane donna ebrea che si è trovata a vivere all’età di ventisette anni l’orrore della Shoah: «Nel campo di Westerbork ho potuto toccare con mano come ogni atomo di odio che si aggiunge al mondo lo renda ancora più inospitale».
Profezia è urto con il senso comune, bufera nella normalità, terremoto nel tempio. Profezia è rottura, deserto, inquietudine, isolamento, incomprensione. Profezia è scontro con il potere. E al "potere" è spesso inutile fare "opposizione". Quel che occorre è la "resistenza" e la testimonianza. Sempre.
(Edizioni Qualevita, pp.120, euro 10,00)
Fonte: Newsletter Ecumenici