Al Presidente del CCL triennale di Scienze per la Pace
Al Presidente del CCL magistrale di Scienze per la Pace
Dopo l’ultimo CCl del 7 febbraio scorso ho preso la seguente decisione, che solo per le insistenze degli studenti ho rimandato. Con la presente rassegno le dimissioni dal mio incarico di insegnamento della triennale; non da quello della magistrale, ma solo perché da mesi ne ho già firmato il contratto.
Dopo aver lanciato nel 1999 la iniziativa nazionale affinché il CUN ampliasse la Classe di Lauree in “Cooperazione per lo Sviluppo” aggiungendo le parole “… e per la Pace”, non intendevo entrare in questo corso di laurea di Pisa, in quanto progettavo di coltivare altri interessi culturali, legati più direttamente alla storia e teoria della nonviolenza. Solo alla terza volta che mi è stato chiesto ho accettato l’incarico per l’anno 2001-2002.
Essendo un fisico di formazione ed essendo andato in pensione poco dopo, è chiaro che qui a Pisa ho accettato incarichi di insegnamento (anche gratuiti) solo per spirito di collaborazione e per passione culturale per i nuovi temi della pace. So bene i miei limiti anche culturali, ma spero di non aver demeritato, avendo pubblicato come libri le dispense di due corsi, oltre che altri libri su argomenti attinenti alle materie del corso.
E’ dagli anni ’70 che frequento scuole e convegni di Peace Research all’estero, come pure ho scritto e compiuto ricerche sui temi della pace, della nonviolenza e della difesa alternativa, pubblicate anche su riviste internazionali. So quindi bene che cosa si fa a livello internazionale nei corsi per la Pace, che esistono ormai da mezzo secolo.
Ma il corso di laurea di Pisa ha scelto una impostazione culturale restrittiva; il titolo stesso, se non è inteso bene, rimanda a un atteggiamento di 100 anni fa (quando c’è stata una rivista con quel titolo).
Il corso non ha premesse sulla Pace:
non si riferisce al maggior lascito degli scienziati per la Pace: il Manifesto Einstein-Russell (1956) per la abolizione delle armi di distruzioni di massa;
non si riferisce all’Agenda per la Pace dell’ONU (1992), come se ancora dovessimo pensare ad una pace nei soli rapporti interpersonali o poco più;
non si riferisce all’articolo 11 della Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra…”), che (anche secondo la Corte Costituzionale) suggerirebbe una articolazione culturale innovativa.
Il corso non ha chiarificazioni sulla parola “Scienze”:
Dal tempo di Leibniz c’è il sogno di risolvere ogni conflitto con l’invito: “Calculemus!”
Il corso di Pisa sembra credere realizzabile questo obiettivo,. Vi si insegna Matematica, Storia della scienza (fino a pochi anni fa anche in Cina), biologia molecolare, ecc.. fino alle centrali nucleari. C’è anche l’insegnamento della modellistica matematica dei conflitti. Ma nessuno al mondo può sostenere che esso esaurisca il tema delle loro soluzioni, né che sia a fondamento della loro comprensione (tanto più che Leibniz intendeva usare la logica, non la matematica). Per favorirlo, nell’ultimo CCL della triennale si è adottata la propedeuticità (l’unica del corso!) di Matematica rispetto agli altri insegnamenti del secondo semestre.
In definitiva, da dieci anni il corso di laurea non solo non configura il senso della parola “Pace” del titolo (cioè manca dei “fondamentali”), ma, esaminandone la serie di insegnamenti, si vede bene che non ha nemmeno una coerenza interna.
Vari insegnamenti introducono la cooperazione internazionale.
Che però sappiamo bene che essa versa in una grave crisi di identità (da almeno dieci anni ci sono molti libri autorevoli su questo tema), tanto più che ora subisce la manovra di inglobamento nelle operazioni militari all’estero (in Italia quasi tutti i finanziamenti statali alla cooperazione sono inseriti nei decreti per quel tipo di interventi “di pace” all’estero). Per di più in Italia già esistono più di una ventina di corsi di laurea per la sola cooperazione. Rispetto ad essi il corso di Pisa è drasticamente ridotto, quindi è poco competitivo.
Ci sono vari insegnamenti di diritto.
Ma a parte che pendono troppo verso il diritto privato, non formano un quadro d’insieme; soprattutto perché non puntano assieme sul diritto internazionale, quello che riguarda la pace nel senso più impegnativo possibile (l’ONU in particolare); casomai, puntano stranamente sul diritto europeo.
Infine (oltre quelli di matematica già indicati) ci sono insegnamenti di Politica e risoluzione (nonviolenta) dei conflitti
Ma la politica è quasi assente, per cui la novità delle rivoluzioni (molte delle quali nonviolente) che da un secolo a questa parte hanno cambiato la storia dell’umanità e che per la prima volta nella storia hanno aumentato il numero degli Stati democratici a più della metà del totale, ha risonanza solo in un insegnamento a scelta.
Questo pout-pourri di insegnamenti acquisterebbe senso se venisse ristrutturato trovando un equilibrio tra le quattro macroaree culturali che ho appena indicato (e che corrispondono alle diverse motivazioni che hanno i vari docenti che, in questi dieci anni, attratti dall’idea della Pace, hanno aderito ad insegnare nel corso). Cioè il corso acquisterebbe senso se andasse oltre la interdisciplinarietà e la transdisciplinarietà degli insegnamenti presi due a due; dovrebbe trovare un equilibrato pluralismo dei quattro indirizzi culturali. (così come la bandiera della pace presenta un pluralismo di colori). Qui c’è il salto di qualità del corso, col quale esso si qualificherebbe come una novità culturale ed accademica precisa.
Ho cercato, fino a rendermi ridicolo, di indicare iniziative per discutere assieme ai colleghi sui contenuti del corso di laurea; come pure ho sottoposto documenti scritti di suggerimenti (l’ultimo al CCL dello scorso 7 febbraio).
Ma le risposte sono sempre state poco collaborative e poco chiare. Superati i dubbi di non essermi spiegato bene, oggi debbo riconoscere che quelle risposte corrispondevano a quelle di chi va agli incontri con già tutto predeterminato. La volontà di cooperare culturalmente c’è stata solo nel ristretto gruppo di gestione, composto da alcuni incardinati; pur di non coinvolgere altri docenti nella progettazione dei corsi, si è preferito un corso di laurea senza corrispondenza con analoghi corsi all’estero, al limite provinciale.
In particolare, i docenti di insegnamenti che riguardano la nonviolenza sono stati visti non come portatori di un sapere che deriva da enormi fatti storici dell’ultimo secolo, ma sempre più come di una attrazione folkloristica per le matricole (forse è per questa idea che degli ultimi mesi si dichiarava di voler “rendere normale” il corso di laurea) che di fatto provengono anche dall’estero (Francia, Iran, Ciad, Togo) e dichiarano di seguire con molto interesse i nostri corsi.
Ancor meno chiaro è stato il CCL della triennale del 7 febbraio. I corsi del primo semestre non erano partiti (colpevolmente, a detta di alcuni docenti). E’ passato molto tempo, nel silenzio generale, prima che si convocasse un CCL (fine nov. 2012); che ha avuto un andamento burrascoso e inconcludente. Il seguito è stato oscuro. Improvvisamente a fine gennaio compare un piano didattico. Che nell’ultimo CCL è stato presentato come concordato da alcuni incardinati (quali?) con contributi degli studenti ma non di tutti i docenti; e la cui approvazione è stata condotta all’insegna dell’ ”O questo, o si chiude il corso”. Le domande timide di cambiamento su qualche casella dell’organigramma si sono scontrate con pronte risposte su regole vincolanti e su una ragionevolezza precostituita, senza alternative. Chi ragionava in maniera diversa si è sentito dire che “sbagliava” rispetto ad una verità che sarebbe stata evidente.
Ho proposto di approvarlo come obbligo di “pareggio di bilancio amministrativo”, al fine di superare gli attuali vincoli burocratici degni del migliore Procuste; ma da subito formare una commissione che lo rivedesse culturalmente, in modo da arrivare ad un accordo tra le (quattro) motivazioni culturali dei docenti. La proposta è stata respinta sostenendo che la proposta culturale era già ben nota da dieci anni (con un testo che propone poco più che un senso “critico” (in che direzione? Con che premesse? Con che conseguenze intellettuali?) e la pace didattica); e che il piano didattico non si poteva più cambiare in senso culturale.
Per sei anni ho insegnato Storia e Tecniche della nonviolenza nell’analogo corso di laurea di Operazioni di Pace all’Università di Firenze. Lì si è accettato il confronto e lo si è aperto addirittura al pubblico. Confronto e corso di laurea interrotti solo dall’autoritarismo del Rettore, che nel 2006 ha imposto brutalmente la chiusura.
Ma qui a Pisa l’autoritarismo non deriva da organismi gerarchicamente superiori, ma dalla stessa struttura del corso di laurea di Scienze per la Pace. Il corso dipende, come origine e come sostegno (almeno fino a poco tempo fa) dal Centro Interdipartimentale Scienze per la Pace (CISP). Senza necessità alcuna è sopravvissuto alla nascita del corso di laurea, benché per vari anni non abbia svolto ricerche.
Questo organo universitario si è ristretto, senza necessità giuridica, ai soli docenti incardinati (quando per sua concezione potrebbe essere aperto anche ai rappresentanti del territorio); cosicché esso è l’unico un organo non democratico dell’Università di Pisa. Inoltre ha sempre avuto più finanziamenti che il Corso di laurea, con quel che ne consegue. Infine, poco dopo la nascita del Corso, ha istituito un Master come sua attività principale (invece di restringersi al lavoro di ricerca, che a lungo è mancata e che ora è riservata a pochi).
Questo organo ha operato come entità al di fuori e al di sopra del CCL. Dopo varie discussioni, nel CCL dell’ottobre 2011 fu decisa una commissione sui rapporti con il CISP. Mai riunita.
Finché il Master del CISP era sui conflitti interreligiosi (ma perché mai questo argomento, quando in Italia ci sono tante Università pontificie e tantissime Facoltà Teologiche?) non aveva molta interferenza con il corso di laurea. Ma da quest’anno quel Master è diventato sui conflitti tout court; è chiaro che ora esso interferisce fortemente con il corso triennale e soprattutto con quello magistrale. Nessuna discussione è stata aperta nel CCL sul tema; ogni volta che la si chiede si risponde con toni perentori.
Oggi c’è il patto di dichiarare che i due organismi non sono collegati (benché lo siano stati finanziariamente fino a poco fa) e anche oggi lo siano di fatto per l’avere in comune docenti, locali didattici, personale amministrativo, biblioteca.
Questo patto è stato evidente l’anno scorso ad aprile quando il CISP ha co-sponsorizzato con i paracadutisti della “Folgore” (quelli che vanno all’estero in “missioni di pace”) la controversa manifestazione , denominata “Bambini in caserma”. Il CCL non ha posto la questione all’o.d.g.; una volta sollevata, la presidenza del CCL ha glissato (senza pensare di invitare il Direttore e suo docente, prof. Consorti, a informare il CCL). Certamente per il corso di laurea in Scienze per la pace cambia molto che in città si sappia che l’organo universitario che lo ha generato ora collabora per la Pace con i militari.
Perché questa “normalizzazione” è negativa?
Il sistema militare italiano: 1) possiede ed utilizza armi di distruzione di massa, 2) ubbidisce alla NATO più che all’ONU e ancor meno alla Agenda per la Pace dell’ONU, 3) contraddice con le sue attività l’art. 11 della Costituzione e contraddice anche l’art. 52 della Costituzione mantenendo l’abolizione della leva, per eliminare gli obiettori che gli toglierebbero il monopolio sul concetto di difesa collettiva..
Si può anche collaborare con i militari (come con tutte le persone umane), ma a tempo e a luogo e soprattutto mantenendo le distanze, così come si fa con chi sbaglia.
Bisogna mantenere le distanze anche perché questo sistema oggi confonde ogni linea di demarcazione. Ha istituito un apposito organo (il CIMIC) che deve influenzare le iniziative della società civile (potenzialmente alternative alle sue) per inglobarle nella strategia militare; basti pensare a come usa la parola “pace”.
In questa situazione di politica negativa presentata subdolamente, proporre iniziative di collaborazione con questo sistema militare in nome di uno spirito di apertura, collaborazione, soluzione immediata dei conflitti è quanto meno fare appello a degli ingenui. Tanto più che la decisione del CISP di collaborare è avvenuta al chiuso di un organismo non democratico che ha messo tutti davanti al fatto compiuto.
Ma occorre ricordare che il Direttore, in gioventù obiettore di coscienza alle armi, è anche stato più volte Presidente del Comitato ministeriale sulla Difesa civile non armata e nonviolenta, il primo organismo statale nel mondo, finalizzato a proporre iniziative di difesa nazionale alternativa, attraverso soprattutto il Servizio Civile Nazionale. Egli, potendo operare sulla base di due leggi e di finanziamenti per quasi un milione di euro, lungo sette anni (2005-2012) non ha preso una iniziativa concreta, lasciando decadere i finanziamenti.
Con ciò ha impedito che il Servizio Civile nazionale assolvesse alla funzione pubblica fondamentale prescritta dall’art. 1a della sua legge costitutiva (64/2001): la difesa nazionale alternativa con “mezzi ed azioni non militari”, lasciando che il Servizio Civile svolgesse solo attività privatistiche che con la Pace in senso pieno hanno poco a che fare. Quindi di fatto ha tolto al corso di laurea per la Pace la sua base sociale naturale (varie decine di migliaia di giovani in servizio civile) e ai laureati di questo corso la possibilità di diventare quel centinaio di formatori professionisti che (analogamente agli ufficiali delle FF.AA. che ora sono tutti laureati), avrebbero dovuto insegnare ai giovani del servizio civile a “sperimentare la difesa civile non armata e nonviolenta” (l. 230/1998). La sua è stata una politica miope: oggi il servizio civile è finanziato molto poco ed è svuotato di senso, tanto che è alla ricerca di una sua identità. Il prof. Consorti non si è avveduto che stava segando il ramo su cui era seduto, sia come Comitato, sia come docente del corso e come corresponsabile del CISP.
L’ultimo episodio dello snaturamento del corso di laurea dalla Pace è stato quello della presentazione della nuova laurea magistrale. Da una parte essa assegna al prof. Consorti un insegnamento fondamentale che ha un ruolo culturale centrale per la laurea: “Teoria dei conflitti”; benché lui sia di diritto ecclesiastico e si sia occupato di diritto privato. D’altra parte il prof. Altieri, noto studioso di Aldo Capitini e studioso della sociologia sotto l’aspetto nonviolento, nella triennale ha un insegnamento di soli sei crediti e nella magistrale vede il suo insegnamento ridotto al rango di un ”Approfondimento”. Per non dire dei miei insegnamenti (Difesa civile non armata e nonviolenta; Peacekeeping e Peacebuilding), che sono rimasti sempre all’ultimo dei tre livelli (obbligatori, a scelta tra coppie, genericamente a scelta tra i più vari), benché per un certo tempo il titolo del primo insegnamento ha dato il titolo alla laurea magistrale.
Non si può che concludere che si lascia avanzare la prospettiva di un corso “normalizzato” sul concetto di Pace, quello che il sistema militare sta imponendo nel mondo con gravi disastri economici e popolari. Galtung paragona gli studi per la pace a quelli per la sanità. Di certo il sistema ospedaliero è organizzatissimo e finanziatissimo rispetto al sistema dei medici di base e ancor più a quello della medicina alternativa. Ma forse solo il primo sarebbe “normale”? Non lo si sapeva sin dall’inizio che Scienze Politiche è una Facoltà statalista e che le Accademie militari dal 2001 hanno promosso il “Tutti laureati!”? Il corso di Scienze per la Pace finora ha avuto senso solo perché era collegato in qualche modo al movimento per la pace, non alle istituzioni forti e al sistema militare, i quali hanno già i loro corsi di laurea. Allearsi con questi significherebbe per il corso di Scienze per la Pace dimenticare chi è.
E’ doloroso per me constatare che il progetto culturale del corso di laurea, già non il migliore, si è irrigidito in un progetto di gestione in dipendenza da un organismo non democratico (CISP) e si indirizzi verso finalità inaccettabili, non discusse apertamente. Durante questa avventura culturale, che poteva essere esaltante, non ho capito più se gli avventurosi che si sono introdotti fossero tutti di buona cultura e buona volontà.
E’ vero che di questi tempi si vede anche peggio nella vita sociale, ma quanto meno occorre segnalare questa deviazione delle tematiche culturali nella dell’università alla cittadinanza come pure al contesto nazionale.
In generale, debbo ammettere che il progetto del 1999 di iniziare in Italia dei corsi di laurea per la Pace che fossero a livello internazionale oggi risulta sconfitto. Sono io, il primo che ci ha sperato, il primo che ne soffre le conseguenze.
Infatti, personalmente, non me la sento più di guardare negli occhi gli studenti ed invitarli ad un impegno serio di studio su un tema, la Pace, che potrebbe essere così innovativo e costruttivo, e poi però vederli impantanati in una serie di pastoie curriculari e di impostazioni culturali che ne deprimono lo spirito; e poi, una volta laureati, vederli sotto il ricatto della disoccupazione anche perché il corso di laurea non ha saputo dare un formazione che sia chiara e in corrispondenza a precise funzioni sociali relative alla Pace, quali quelle indicate dall’art. 11 della Costituzione e dalla legge 64/2001.
La grande buona volontà e intelligenza che ho vista negli studenti di questo corso è rara nella gioventù d’oggi; eppure oggi il corso non offre loro una chiara strada per acquisire quei saperi che corrispondono all’obiettivo culturale dichiarato; e soprattutto esso si dirigere verso quei poteri forti, dentro e fuori l’Università, che intendono la pace come pesantemente armata (di 80 bombe nucleari in Italia, di F-35; di sommergibili, di portaerei, ecc.) e la cultura come ciechi tagli di Procuste sui corsi di laurea.
Tanto più mi sento responsabile eticamente verso il loro genitori, che hanno investito con sacrificio su questi giovani, nonostante l’argomento di studio scelto da loro sia innovativo a tal punto da sembrare poco concreto.
Veder frustrare in questo modo questi slanci generosi e sapermi eticamente corresponsabile non mi è più sopportabile.
Ringrazio comunque tutte le persone con le quali ho condiviso questo segmento della mia vita. Ho avuto da imparare. Ma sapete bene: Amicus Plato, sed magis amica veritas.
Mi dispiace per gli intoppi che verranno dal mio gesto agli studenti, che spero riescano comunque a realizzare i loro progetti.
Pisa, lì 14 febbraio 2013 Antonino Drago
P.S. Per non creare intralci agli studenti, sono disponibile come commissario d’esame (in qualità di esperto) per gli esami degli insegnamenti di mia competenza.