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Voci degli invisibili della Casa di Accoglienza di Massa: La casa e la strada

Un piccolo stradello devia da una viuzza di collegamento e s’infila stretto tra due gruppi di case morendo in uno spiazzo ridotto per metà pavimentato di fresco per l’altra metà ancora sterrato. A destra, per chi arriva dalla via c’è un muro di cemento adattato con della vernice ad una porta di calcio, sul davanti, la rete di un cantiere edile, a sinistra un terratetto affiancato ad altre casette similari.


Una porta verde di alluminio, un’immagine in terracotta di Maria Ausiliatrice, un tettuccio a sbalzo, sono i primi segnali di questo edificio di una certa età che ricorda le abitazioni di campagna sia per il disegno che per le rifiniture rustiche. Entrando, un piccolo vano disimpegno arredato con una cassapanca ed una bacheca rettangolare (quiete nella loro pacatezza), separa due stanze più grandi, la cucina ed il soggiorno, per poi lambire le scale di ferro battuto verniciate di rosso e confluire in un ripostiglio sottoscala.La cucina è attrezzata con elettrodomestici professionali in acciaio, un piano cottura a quattro fuochi con cappa aspiratrice, la lavastoviglie, il frigo, il microonde, gli arredi, un tavolo lungo, un orologio a parete verde con lancette e numeri colorati. Le travi a vista e le lampade alla francese le conferiscono quel tono di calore e di modestia che pesca in valori lontani, propri magari della gente semplice e di chi viveva la casa senza troppe pretese. Il soggiorno è un ambiente squadrato con un camino rurale ornamentale che fa bella mostra di se, un tavolo rotondo, un mobile di legno usurato, una radio d’epoca ormai soprammobile, qualche sedia, un grande Cristo Pantocrator stampato su legno, un televisore a fasi alterne. I piani superiori sono occupati da cinque camere, tre ad uso dormitorio, una dispensa, una stanza per i volontari della notte oltre a tre servizi. E’ la casa di accoglienza, un progetto di prossimità e apertura verso quanti si trovano a lottare con se stessi, con il mondo attuale, con l’indifferenza ed un cinismo spesso sadico di chi non ha più cuore nel petto ma le metastasi della superbia della vita prodotte dal benessere. Non tutte le situazioni comunque sono estreme e spesso l’operatività è quella di un centro di ospitalità per situazioni anche provvisorie.Le storie sono tante come le persone che passano, gli occhi spesso gravati dalla fatica, dalla preoccupazione, dal senso di abbandono, intrisi di rabbia, alcol, ansia del futuro. Generalmente la prima impressione è quella di un popolo senza meta, disorientato che vive alla giornata anche se fortunatamente diversi di loro hanno trovato una collocazione sociale e lavorativa. Ricordo le esternazioni di un anziano provato nel cuore e nel fisico, il volto appesantito, lo sguardo basso, i gradi e le medaglie della miseria, di una miseria nera, devastante ma dignitosa. Abiti logori e sporchi, maleodoranti, tosse secca e persistente, il timbro di voce titubante, uomo un tempo forte e sicuro, uomo solo senza nessuno, amico e nemico del freddo e di notti impossibili curvo sulle panchine, illuminato dai proiettori blu dei controlli di polizia. Un giovane con un passato di tossicodipendenza e di prigione, carattere gioviale e fuori dalle righe, l’apparenza di uno spensierato la realtà di una sofferenza lancinante, il mancato inserimento, le piaghe non ancora cicatrizzate del passato, l’aspirazione nascosta ma non troppo di un posto nell’affetto che questo mondo regala spesso agli oggetti inanimati. Una madre straniera, una che si spezza e si strazia per portare qualcosa a casa, le movenze di chi ha ideali forti, la richiesta continua di un lavoro un’occupazione anche umile, le dita gravide di fatica, i capelli raccolti e ordinati, la nostalgia dei suoi campi rossi e spaccati dal sole, la vergogna di tendere la mano per raccogliere il necessario. C’è un “architetto” che disegna e costruisce le sue case direttamente in una tazza di caffelatte: fondamenta, solai, divisori, tetti di biscotti “aiuto cee” perfettamente allineati e mai diversi nella loro collocazione; figlio del sud, amato da tutti rinnova il suo rito ogni mattina a colazione forse per restituire un po’ d’ordine alla sua vita, simbolicamente, nell’assetto strutturale e metodico dei frollini. Dalla casa passano anche famiglie serene, bambini composti e meno composti, operai che si svegliano presto per ragggiungere il posto di lavoro al fischio del primo treno. In genere ci sono esternazioni spontaneee, i grandi dolori vengono a galla, altre volte mutismo assoluto o peggio ancora livore e rancore; non sono mancati i momenti difficili con gente difficile, complice sempre la bottiglia e un disagio pesante.Fa tenerezza vedere questa umanità di “seconda”, “terza” qualità, questi fratelli e sorelle senza ali apparenti o con quelle prestate loro dai volontari e di chiunque li guardi come persone. Oggi si chiudono gli occhi, si scansano le occasioni di bene, i muri sono le vere opere della nostra urbanistica, una parte preziosa di noi, il prossimo debole, langue in una lotta quotidiana costretta ad espedienti, mentre ci divorano ansia e patologie depressive perché forse non gli abbiamo offerto tutto il nostro amore o almeno un po’ di attenzione. Qualche tempo fa ho avuto una discussione sulla felicità, qualcuno ha detto donne splendide, altri denaro e potere o copertine patinate o vivere senza far nulla credo proprio di aver risposto: un film con gli ospiti alla casa o il panettone di Natale spezzato quasi quanto un’ eucarestia laica. Un pensiero a quelli che non ci sono più, quelli che metaforicamente hanno attraversato i binari e “vivono”l’eternità senza i dubbi e le perplessità che questa materialità preponderante ci lascia da zavorra.Uno fra tutti, un amico, un ragazzo sfortunato perché fortunato, complicato e senza freni mentali proprio perché le ferite emozionali, le lotte interne erano più forti dei temporali esteriori. Come molti ha cantato per rappresentare lo sgomento che lo consumava, come molti ha gridato per farsi ascoltare, come molti bollato con l’etichetta del folle piangendo e urlando ha scelto un altro sole. Quante vite perse, quanti progetti annullati, quante risorse vere bruciate nella fretta e nel miraggio di un benessere fasullo e foriero di morte mentre il treno che passa è il più delle volte quello della superficialità.

La solidarietà va avanti, mi rallegro nel vedere che la provvidenza non fa mai mancare nulla, sembra quasi che un angelo invisibile si diverta a materializzarsi nel nostro aiuto sincero, nell’arrivo di derrate alimentari, beni di sostegno o accessori, gli stessi ospiti più di una volta si sono aiutati l’un con l’altro con quelle quattro cose magari conservate gelosamente. In fondo l’uomo dà il meglio di se stesso nel bisogno, non c’è niente da fare, solo quando la sofferenza bussa alla porta allora comprendiamo fino in fondo la nostra vera santa umanità, tra glorie, presunzioni ed onori nascono solo i narcisi! La casa è un isola, una piccola isola circondata da acque tranquille e acque impetuose, i venti a volte soffiano forte pregiudicando le rotte di imbarcazioni precarie ed insicure che sono quelle dei più poveri, beati noi se riusciremo sempre ad avere il porto aperto e praticabile, il bene è piccolo e impalpabile ma nella sua umiltà il grande oceano non lo può contenere. E’ quasi Natale e voglio augurarmi di non perdere mai la voglia di accogliere, di ascoltare, di condividere, di non restare insensibile a nessuna situazione e se proprio un treno deve passare sia quello della pace, pace contagiosa, pace profonda, pace nostra interiore, pace tra gli uomini, pace sulla terra.


Pubblichiamo i racconti degli ospiti della Casa di Accoglienza di Massa, raccolti dai volontari, in modo da condividere emozioni e frammenti di vita delle persone che vengono ospitate settimanalmente presso la struttura.

Associazione Volontari Ascolto e Accoglienza