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Basta con le armi nucleari

Dopo l'assegnazione del premio Nobel per la Pace 2017 all'organizzazione per il bando alle armi nucleari (Ican), è necessario continuare a lottare “instancabilmente nei prossimi anni per garantire la piena attuazione del trattato di divieto nucleare”. Come approfondimento pubblichiamo il contributo di Giorgio Nebbia, che è stato segnalato dal Centro di ricerca per la pace e i diritti umani.

Articolo 1. Impegni generali.

1. Ciascuno stato firmatario si impegna, in qualsiasi circostanza, a non:

  • sviluppare, produrre, fabbricare, comunque acquistare, possedere o immagazzinare armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari;
  • trasferire a chiunque comunque armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari, o il controllo diretto o indiretto su armi nucleari o dispositivi esplosivi nucleari;
  • accettare, direttamente o indirettamente, il trasferimento di, o il controllo su, armi nucleari o dispositivi esplosivi nucleare;
  • usare o minacciare l'uso di armi nucleari o altri dispositivi esplosivi nucleari;
  • condurre qualsiasi esplosione sperimentale di qualsiasi arma nucleare o dispositivo esplosivo nucleare;
  • assistere, incoraggiare o indurre, in qualsiasi maniera, chiunque da impegnarsi in qualsiasi attività vietata ad uno stato firmatario di questo trattato;
  • cercare o ricevere qualsiasi tipo di assistenza, in qualsiasi forma, da chiunque per svolgere qualsiasi attività vietata ad uno stato firmatario di questo trattato.

Il testo sopra riportato è la traduzione dell'articolo uno del UN "Treaty on the Prohibition of Nuclear Weapons", firmato da 122, una larga maggioranza, dei paesi membri delle Nazioni Unite il 7 luglio 2017. Tale trattato pone, finalmente, le armi nucleari sullo steso piano delle altre armi di distruzione di massa vietate dalle Nazioni Unite.

L'abolizione delle armi nucleari è stata auspicata fin dall'alba dell'era atomica, dal quel 16 luglio 1945, settante due anni fa, quando gli Stati Uniti verificarono, con l'esplosione sperimentale di una "piccola" bomba atomica ad Alamagordo, nel deserto del New Mexico, che "la bomba" funzionava davvero; il lampo di luce "più brillante di mille soli" e il vento e la pressione provocati dall'esplosione fecero facilmente immaginare che cosa sarebbe successo se una bomba atomica fosse stata usata in guerra.

Davanti alla possibilità che gli Stati Uniti potessero lanciare una bomba atomica sul Giappone per accelerarne la resa (la Germania nazista si era già arresa da due mesi) molte voci si sollevarono chiedendo di avvertire il Giappone dell'esistenza della nuova arma per indurlo alla resa immediata; alla fine prevalse l'opinione di effettuare il lancio sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki delle altre due bombe atomiche che gli Stati Uniti erano riusciti a costruire.

Il risultato - circa 200 mila civili morti subito o nei mesi successivi per le radiazioni, due grandi città rase al suolo - mostrarono che cosa ci si sarebbe potuto aspettare da una guerra atomica, tenendo conto che le bombe atomiche lanciate sul Giappone erano relativamente "piccole", avevano una potenza distruttiva equivalente a quella di "appena" 15-20 mila tonnellate di tritolo.

"La fisica" che sta alla base delle bombe atomiche era nota fin dall'inizio del 1939 e negli anni successivi anche Giappone, Germania e Unione Sovietica avevano considerato la possibilità di utilizzare a fini militari la forza liberata dal nucleo atomico ma nessun passo concreto era stato fatto in nessun altro paese. I Sovietici, alleati degli Stati Uniti, appresero l'esistenza della bomba atomica solo dopo l'esplosione di Alamagordo.

In molti chiesero un controllo internazionale sull'energia atomica e il divieto di costruire altre bombe, ma ormai il mago era uscito dalla bottiglia; il peggioramento dei rapporti fra Stati Uniti e Unione Sovietica spinse i due paesi ad una corsa a costruire bombe atomiche sempre più potenti, avvertendo il potenziale avversario di ogni nuovo progresso con una serie di esplosioni (i tests) di bombe atomiche nell'atmosfera, nei deserti o nelle solitarie isole del Pacifico.

I "tests" gettavano nell'atmosfera grandissime quantità di frammenti radioattivi delle fissioni nucleari, sostanze tossiche e cause di tumori che i venti disperdevano su tutto il pianeta, trasferiti dall'aria al suolo alle acque ai vegetali agli animali fino agli esseri umani. Anticipazioni di quello che avrebbe potuto succedere nel caso dell'uso in guerra di tali armi.

Cominciò la grande paura; nelle città si costruivano rifugi antiatomici. Il film "L'ultima spiaggia" del 1959 mostrava un mondo in cui uno scambio di bombe nucleari aveva sparso su tutto il pianeta tanta radioattività da sterminare tutti i viventi. Sta di fatto che nel 1960 esistevano nel mondo circa 20 mila bombe atomiche, alcune termonucleari con potenza distruttiva equivalente a quella di milioni di tonnellate di tritolo.

La corsa alle bombe nucleari era motivata dalla insana teoria della deterrenza, secondo cui nessun paese attaccherebbe un altro con bombe nucleari sapendo che l'aggredito risponderebbe con altre bombe nucleari fino alla reciproca distruzione totale. Ben sapendo, peraltro, che l'evento iniziale avrebbe potuto verificarsi anche per un errore umano, un evento efficacemente descritto nel film "A prova di errore" del 1964 e che quasi si verificò davvero nel 1983 quando il comandante sovietico Petrov si rese conto che l'ordine di effettuare un bombardamento nucleare ricevuto era dovuto ad un errore del computer ed ebbe il coraggio di disubbidire salvando il mondo dalla catastrofe.

Negli anni cinquanta e sessanta del Novecento si sono fatte sempre più frequenti le richieste di fermare la corsa alla costruzione di armi nucleari e di sospendere i test nell'atmosfera. La gravità della situazione apparve a tutto il mondo nell'ottobre 1962, in quei "quindici giorni" in cui Stati Uniti e Unione Sovietica arrivarono quasi alla soglia della guerra nucleare in seguito all'installazione dei missili nucleari sovietici a Cuba. La saggezza prevalse e fermò la catastrofe. Una ferma richiesta di bandire le armi nucleari fu espressa dal Papa Giovanni XXIII nell'enciclica "Pacem in terris", dell'aprile 1963, ed è stata ripetuta da tutti i pontefici romani nei decenni successivi fino ad oggi.

Dopo la crisi cubana Kennedy e Krusciov si accordarono nel giugno 1963 per cessare le esplosioni di bombe atomiche nell'atmosfera, un breve respiro di speranza, anche se, dopo tale accordo, altre mille bombe nucleari sono state fatte esplodere nei tests nel sottosuolo.

Dopo la morte di Kennedy, con l'inizio della guerra nel Vietnam la corsa alle armi nucleari è ripresa; nel 1985 gli arsenali delle potenze nucleari possedevano 65.000 bombe, con una potenza distruttiva molte volte superiore a quella di tutti gli esplosivi usati durante la seconda guerra mondiale.

Della nuova grande paura si fece interprete il film "Il giorno dopo" del 1984, che descriveva che cosa succederebbe dopo un bombardamento con armi nucleari.

Un passo importante è stato rappresentato dal trattato contro la proliferazione delle armi nucleari, del 1970, col quale praticamente tutti i paesi membri delle Nazioni Unite si impegnano a non trasferire tecnologie e armi nucleari ad altri paesi. Inoltre l'articolo VI del Trattato di Non Proliferazione indica il disarmo nucleare totale come fine ultimo dei rapporti internazionali: "Each of the Parties to the Treaty undertakes to pursue negotiations in good faith on effective measures relating to cessation of the nuclear arms race at an early date and to nuclear disarmament, and on a treaty on general and complete disarmament under strict and effective international control".

Nonostante questo principio, di fatto nessun passo è mai stato fatto per il "generale e completo disarmo" nucleare, rimandando il "al più presto" al "tempo di mai". Il problema è stato portato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell'Aja che, in una celebre sentenza del 1996, ha stabilito che l'uso e la minaccia dell'uso delle armi nucleari è illegale alla luce del diritto internazionale.

Nei decenni successivi il numero di bombe nucleari nel mondo è sceso ad "appena" 25.000 (!) nel 2000, ma intanto alle cinque potenze nucleari iniziali - Stati Uniti, Russia, Francia, Regno Unito e Cina - si erano aggiunti Israele, India, Pakistan e, più recentemente, Corea del Nord.

Nel corso del XXI secolo la voce del disarmo nucleare si è fatta più alta. Kissinger (proprio lui) con Schultz e altri scrisse una lettera al Wall Street Journal, pubblicata il 4 gennaio 2007, chiedendo "A World free of Nuclear Weapons". A questa lettera seguì un'altra sullo stesso giornale, pubblicata il 15 gennaio 2008 col titolo: "Toward a Nuclear-free World".

Pochi mesi dopo D'Alema, Parisi, La Malfa e altri hanno scritto, firmando come membri del governo in carica o di quelli precedenti, al Corriere della Sera una lettera, "Per un mondo senza armi nucleari", pubblicata il 24 luglio 2008.

Il presidente degli Stati Uniti Obama ha sostenuto il disarmo nucleare totale nel discorso di Praga dell'aprile 2009, affermando che l'impegno della sua presidenza sarebbe stato quello di "to seek the peace and security of a world without nuclear weapons".

Nel dicembre 2015 a Vienna è stato preso un solenne "impegno" "to stigmatise, prohibit and eliminate nuclear weapons in light of their unacceptable humanitarian consequences and associated risks", firmato da 127 pasi membri delle Nazioni Unite, ma non dalle potenze nucleari e dai loro satelliti, Italia compresa, sempre allineata con gli "amici della bomba".

Sarebbe troppo lungo elencare le invocazioni al disarmo nucleare dei pontefici da Giovanni XXIII a Paolo VI, a Giovanni Paolo II, a Benedetto XVI e, ancora più energicamente e in tutte le occasioni, da papa Francesco.

A questo punto un gruppo di paesi ha presentato all'assemblea generale delle Nazioni Unite una richiesta di risoluzione per l'avvio di trattative per un divieto delle armi nucleari con l'obiettivo della loro totale eliminazione.

Il 27 ottobre 2016 nella prima commissione dell'assemblea delle Nazioni Unite la proposta di risoluzione è stata approvata con 123 voti a favore, 38 voti contrari e 16 astensioni. L'Italia ha votato contro.

Si è trattato della prima vistosa verifica di chi vuole la pace e il disarmo contrapposti agli "amici della bomba" perché la possiedono o perché ospitano le bombe altrui, come l'Italia o perché rispettosi lacché delle potenze nucleari.

La risoluzione, che stabilisce l'avvio di trattative per arrivare ad un accordo per l'abolizione delle armi nucleari, è stata poi votata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 24 dicembre 2016, alla vigilia di Natale, ed è stata approvata con 113 voti a favore, 35 contrari e 13 astensioni. Hanno votato contro le potenze nucleari (ma la Cina si è astenuta), che non intendono privarsi delle loro bombe nucleari, molti paesi europei. Qui c'è stata anche una curiosa commedia; il rappresentante dell'Italia ha votato a favore della redazione di un trattato per il disarmo nucleare --- si è allargato il cuore dei pacifisti italiani --- ma subito dopo il governo ha fatto sapere che il suo rappresentante si era sbagliato, forse per l'ora tarda della votazione (dormiva?) e avrebbe dovuto votare contro.

Comunque la preparazione del trattato è cominciata, come stabilito dalla Nazioni Unite, nel marzo 2017 e poi è continuata nel giugno e completata il 7 luglio 2017 con l'approvazione da parte di 122 paesi favorevoli, uno contrario e uno astenuto.

Non hanno partecipato ai lavori e non hanno firmato i nove paesi che possiedono ami nucleari: Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Cina, Francia, India, Pakistan, Israele, Repubblica della Corea del Nord, e i loro satelliti, in alcuni dei quali, come in Italia, sono depositate armi nucleari americane a Ghedi (Bs) e Aviano (Pn).

L'adesione al trattato vieterebbe infatti, a rigore, non solo la possibilità di tenere nel proprio territorio armi nucleari altrui, ma anche di ospitare nei propri porti navi che trasportano armi nucleari.

Quando sarà stato ratificato da 50 paesi il Trattato per l'abolizione delle armi nucleari entrerà in vigore per i paesi che l'hanno firmato. Si è riprodotto all'inizio l'articolo 1 che spiega chiaramente il cammino che dovrà portare al totale disarmo nucleare.

Per quanto riguarda la posizione dell'Italia vari appelli hanno chiesto al governo di partecipare ai lavori e di firmare il trattato, un gesto di coraggio anche coerente con i vari messaggi di Papa Francesco. Il quale nella giornata della pace del 1 gennaio 2017, ha auspicato la "proibizione e l'abolizione delle armi nucleari", denunciando che la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca non assicurano la coesistenza pacifica fra i popoli. Lo stesso Papa Francesco il 23 marzo 2017 aveva indirizzato un messaggio alla conferenza che stava elaborando il testo del trattato per il bando delle armi nucleari, con l'auspicio che, con i suoi lavori, essa "possa rappresentare anche un passo decisivo nel cammino verso un mondo senza armi nucleari".

Anche vari parlamentari alla Camera e al Senato hanno chiesto al governo di partecipare ai lavori di preparazione del Trattato. I rappresentanti del governo hanno risposto che il governo italiano non intendeva aderire ai lavori né al trattato e che è interessato al disarmo nucleare "compatibilmente con gli obblighi assunti in sede di Alleanza Atlantica e con l'orientamento degli altri alleati", cioè mai.

Buono a sapersi perché chi vuole allontanare lo spettro dell'annichilamento nucleare sa che per ora non può contare sulle istituzioni italiane e deve fare da solo.

Il lavoro da fare per il disarmo nucleare è molto e faticoso anche in Italia.

In primo luogo occorre un'azione di informazione diffusa su che cosa sono le armi nucleari, quante sono nel mondo pronte al lancio. Tale informazione deve tenere conto della controinformazione diffusa a favore delle armi nucleari dal potere militare-industriale-nucleare che dall'industria degli armamenti trae enormi profitti.

In secondo luogo occorre ricordare e spiegare le conseguenze biologiche e ecologiche di uno scambio anche limitato di bombe nucleari; una esplosione muove grandi masse di polveri, provoca incendi e diffonde materiali radioattivi in grado di modificare il clima e la vivibilità di vaste zone della Terra. Giustamente Giovanna Ricoveri e Giovanni Carrosio, nella presentazione di questo fascicolo, hanno messo in evidenza lo stretto rapporto fra armi nucleari, clima e ambiente.

La conservazione, manutenzione e aggiornamento delle armi nucleari e dei vettori comporta costi così elevati che una frazione di tali spese sarebbe sufficiente per eliminare la fame, la sete e la miseria del miliardo di poveri della Terra.

L'eliminazione delle armi nucleari, d'altra parte, comporta giganteschi impegni di lavoro, scientifici e tecnici, per seppellire in sicurezza i materiali fissili ed esplosivi, altamente radioattivi e tossici, che le bombe esistenti contengono, per controlli di sicurezza e ambientali, e grandi impegni anche finanziari che diventeranno sempre più grandi quanto più si rimanda l'avvio delle operazioni di disarmo. Se ne ebbe un esempio quando si divette procedere alla distruzione delle altre armi di distruzione di massa come quelle biologiche e chimiche, peraltro molto meno pericolose di quelle nucleari.

Non ci si può nascondere che la strada è piena di ostacoli; le potenze nucleari e i loro satelliti e i grandissimi interessi finanziari e di potere legati alle armi e al nucleare si opporranno con ogni mezzo ad un disarmo nucleare.

Tuttavia ogni persona ha (avrebbe) il dovere morale di allontanare il pericolo di una catastrofe planetaria con l'azione e la protesta. 'Protest and survivè è il titolo di un celebre libretto che lo scrittore e militante pacifista inglese E.P.Thompson scrisse nel 1980 per invitare alla mobilitazione proprio anche allora contro le bombe nucleari e che merita di essere letto ancora oggi nel sito: http://digitalarchive.wilsoncenter.org/document113758

Fonte: Centro di ricerca per la pace e i diritti umani