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Centenario fine della grande guerra

Ho letto nel n 666 del vostro Notiziario l'ottimo articolo di Mao Valpiana a commento del centenario della "disfatta" di Caporetto, che evidenzia il carattere di "sciopero dalla guerra" che quell'evento ebbe, in contrasto con la narrazione tradizionale cui si è ancora una volta uniformata la maggioranza delle rievocazioni ufficiali. Questa narrazione, benché nuovi studi stiano modificandola, continua a collegare la "disfatta" al riscatto militare di un anno dopo sul Piave presentato quale alto momento di completamento dell’unità nazionale e come "vittoria" positiva, che invece fu, come si sa, tanto amara non certo perché “mutilata”, ma per i 600.000 morti, l’infinità di invalidi, i tanti impazziti, le sofferenze enormi delle popolazioni coinvolte, l'economia in difficoltà, e che fu anche la "culla del fascismo" nel contesto di un avvelenamento di tutto il secolo XX°.

Proprio ora che ci affacciamo al 2018, anno centenario della fine della Grande Guerra, è facile, ahimè, prevedere che, pur se non mancheranno pellegrinaggi alle trincee, omaggi di sincera pietà ai caduti accomunati in cimiteri di guerra di entrambe le parti dove i morti insegnano la pace ai vivi, la musica prevalente sarà la solita: spreco di parole altisonanti, tardivi linguaggi patriottardi, esaltazione di eroismi di parte, esaltazione della vittoria speculare alla sconfitta altrui, magari con la concessione di qualche spruzzata di dichiarazioni di volontà di pace, ecc. Un esempio negativo in tal senso è la decisione dell’ANA (io sono un ex artigliere di montagna, ora ottantenne) di svolgere il consueto ritrovo annuale degli alpini proprio a Trento, il cui territorio diede nel ’15 qualche decina di irredentisti all’esercito italiano ma già nel ‘14 aveva dato migliaia di soldati a quello imperiale. Non basterà, per evitare l’effetto divisivo nella popolazione, riservare agli ex nemici caduti "con la divisa sbagliata" solo l’onore delle armi, senza condividerne la memoria superando il modo solito.

Invece il 2018 non dovrà essere un anno qualunque. Sarà un’occasione unica da cogliere per svegliare un vero sentimento di pace che accomuni gli ex nemici, e si deve perciò trovare un terreno comune su cui fondarlo. Sarà l'occasione per seppellire definitivamente i residui rancori e le divisioni che ancora serpeggiano invisibili in quest'Europa che si è sempre dilaniata e non sa rinnovare la motivazione di fondo della propria unità, altrimenti naufragante. Sarà possibile cogliere quest'occasione soltanto se si accantoneranno parole come vittoria e sconfitta, ragioni o torti di una parte e dell’altra, e se si celebrerà invece l'anniversario del ristabilimento di una pace insanguinata e dolente, in ripudio ideale postumo di una guerra voluta solo dalle classi dominanti di tutte le parti belligeranti (in Italia, in particolare, scatenata da un’esagitata minoranza con un colpo di mano parlamentare e un’ondata di fanatismo) e in essa ripudiare tutte le guerre. Allora il sentimento accomunante tutti, preciso, unificante, il più vero, il più forte, fulcro e tema centrale di ogni utile celebrazione, potrà essere solo quello del riconoscimento della feroce ingiustizia sociale che si consumò contro i più poveri di tutti i paesi coinvolti.

Infatti, quale motivo potevano avere i contadini italiani costretti a partire da desolati paesi del sud verso il fronte per andare sotto comandanti spesso alteri e spietati oltreché incapaci a scannare o farsi scannare da contadini boemi o slavi, anch'essi gettati senza scampo nell’infernale fornace delle armi? Nessuno. E quale nel 1914 i contadini trentini lanciati dall'imperatore contro mugik russi in Galizia? E non furono forse ingannati pure tanti volontari del ceto borghese italiano che, trascinati dal fanatismo di personaggi come D'Annunzio, Mussolini e Battisti (pur del tutto conscio del disastro imminente per la sua stessa terra trentina), o indotti da un impulso sincero ma malato di patriottismo, corsero al fronte giovanissimi e caldi di entusiasmo per poi ben presto in molti, se la morte concesse loro il tempo, perderlo nell'orrore delle trincee? Ciò non significa minimamente sminuire il loro eroismo di slancio né l’eroismo di necessità o di altruismo di tantissimi soldati gettati nella lotta. A loro si deve pietà, onore e memoria dolente e riparatrice.

Con quale evento celebrare questa memoria? Come meglio immaginarlo se non con un incontro tra discendenti degli ex nemici sul bordo delle trincee di uno dei tanti insanguinati campi di battaglia, dove si abbraccino i figli e i nipoti dei fanti, degli alpini, degli Standschutzen e dei Kaiserjager, con significato di grande abbraccio di popoli, senza bandiere se non bandiere di pace e dell’Europa, cui è necessario dare nuova coesione in un grande rito ri-fondativo?

Ho sperimentato in piccoli consessi di pubblico, se possono valere come piccoli campioni di opinione pubblica, che questa idea viene considerata con forte favore. Si sono dette convinte anche personalità del mondo accademico, letterario, giornalistico che non elenco per brevità, potenzialmente in grado di estenderla nel loro specifico ambito, ma il loro personale significativo consenso non è sufficiente a mettere in moto un fatto organizzativo. Ho in serbo altri contatti possibili, come per es. con alcune guide alpine delle zone di confine che condurranno nel 2018 escursionisti sulle “vie della pace”, ma manca una prima spinta. Aggiungo che nel 2015, in occasione di una visita a Torino del Presidente Mattarella, gli ho inoltrato un appello scritto per auspicare questo grande evento ufficiale di pace nel 2018, suggerendo addirittura un incontro tra i presidenti delle due repubbliche, italiana e austriaca. Mi è giunta la risposta del Segretariato Generale della Presidenza della Repubblica dove ho letto con piacevole sorpresa che in una celebrazione del 24 maggio 2015 sul S. Michele il Presidente ha invitato gli ambasciatori dei paesi ex-nemici. E' un buon segno circa la sua disposizione d'animo (purtroppo non confermata nella recente celebrazione del IV novembre), ma per ora è troppo poco e da allora non c‘è stato altro segnale.

Per questo mi rivolgo a voi. Saprebbe l'Accademia Apuana della Pace farsi promotrice iniziale dell'evento che auspico, capace di coinvolgere e collegarsi con altre associazioni pacifiste, specie giovanili, scolaresche ecc., e soprattutto di trovare canali di comunicazione con analoghe associazioni austriache, lanciando una specie di catena di S. Antonio? Potrà dar corpo a questa idea che per ora sembra utopica?

Vi ringrazio dell'attenzione prestatami e porgo i più cordiali saluti.

Lanfranco Peyretti

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