L’impegno per costruire le condizioni di una esistenza comune, universale, da ‘tempo di pace’ è un impegno costante, permanente, non può essere considerato solo come un impegno che scatta quando leggiamo sui giornali o ascoltiamo le notizie di un nuovo pericolo di guerre.
Tra l’altro, penso che sia oramai chiaro a tutte le donne e tutti gli uomini che le guerre non si dichiarano più, ma si fanno in tanti modi e noi, volenti o no, ne siamo partecipi. Prendiamo alcuni esempi, dall’economia alla questione migranti per arrivare alle guerre in corso in Siria.
Economia: noi abbiamo bisogno di risorse energetiche, di petrolio, di gas, di minerali, di nuovi mercati e di mano d’opera. Se questi bisogni sono risolti impoverendo altre popolazioni, facendo accordi con dittatori, producendo e vendendo armi, in particolar modo a paesi in guerra, in altre parole stiamo contribuendo ad alimentare quelle ingiustizie che sfoceranno in repressione, violenza, e nuove guerre.
Migranti e rifugiati: se ci chiudiamo alzando muri e filo spinato, di fronte a chi fugge dalle guerre, dalla fame, dalla repressione, dalla mancanza di terra, di acqua, e di lavoro, , creiamo una bomba ad orologeria e ci sottomettiamo volontariamente al ricatto di politici senza scrupoli, pronti ad usare il loro compito di guardiani, per alzare la posta e giustificare le loro nefandezze.
La guerra in Siria: cinque anni di guerra, quasi 300mila morti, metà della popolazione, circa 10milioni di persone, tra rifugiati all’estero e sfollati interni, fosse comuni, armi chimiche, armi distribuite, armi vendute a paesi e regimi che poi girano queste armi alle fazioni in campo, calcoli di geo-politica e di controllo commerciale e strategico sulla pelle della popolazione civile, veti nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per un’azione di polizia internazionale per la messa in sicurezza della popolazione civile e contenzione/fine della guerra.
Potremmo proseguire con gli esempi, ma lo scenario, ahimè è chiaro, ogni singola crisi, ogni scelta politica, ha ripercussioni sull’intero sistema che, sì produce ricchezza e benessere ma che, non facendolo in modo universale, produce ingiustizie e saccheggi che prima esplodono lontano dal centro, per poi avvicinarsi sempre più minacciosi. La Marcia per la pace sarà il nostro termometro che misurerà quanto calore, quanto impegno e quanti siamo pronti a difendere l’ideale di pace che deve tornare al centro della politica e non subalterno ad interessi locali o voglie di nuovi imperi. Per queste ragioni la Rete della Pace sarà a Perugia, perché tocca a noi far sentire la nostra voce e praticare le nostre idee.
(*Sergio Bassoli rappresenta la Cgil nella Rete della Pace)