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DOGVILLE - film di Lars Von Trier del 2003 (Buratti Marco)

Recensione di Buratti Marco

La bella Grace fugge inseguita da un gruppo di gangster e giunge in una sperduta cittadina, chiamata Dogville. La ragazza incontra Tom , che, autonominatosi portavoce della città, persuade gli altri abitanti ad aiutarla, nascondendola dagli inseguitori in cambio di servizi domestici. Ma quando i malavitosi cominciano a cercarla con insistenza, tirando in ballo anche la polizia, gli abitanti impauriti pretendono da lei sempre di più e Grace si rende conto che la gentilezza, la bontà e la fratellanza dei cittadini erano solamente una facciata superficiale di quello che in realtà erano.
Gli abitanti di questo paese disperso tra le Montagne Rocciose si presentano come delle persone oneste e perbene, riservate ed amichevoli, ma già dalle prime scene si può intuire che lì regna l’omertà; tutti fingono di non vedere, ma sanno tutto di tutti; tutti hanno paura, hanno pregiudizi; sono arroganti, indifferenti e in malafede. Ogni cittadino è sedotto dal potere, che ,ben presto, si rendono conto di avere sulla fuggitiva, vista come un dono dal cielo, un oggetto. A Dogville andrà in scena un enorme delitto e sarà vetrina di violenze fisiche e psicologiche che mineranno il diritto alla libertà e alla vita di Grace.
Per tutta la durata del film si respira un aria malsana, l’atmosfera è claustrofobica
La storia è narrata per capitoli (un prologo e nove capitoli), che scandiscono la narrazione, e viene enunciata da una voce narrante (molto profonda) di un narratore extradiegetico ubiquo e onniveggente, che racconta in modo letterario, ironico ed imparziale.
La recitazione degli attori è teatrale, i dialoghi sono forbiti, infatti il regista compie un esperimento di cinema fusionale, mescolando cinema, teatro e letteratura.
Tutto è ridotto all’osso, è stilizzato, forse per dare rilievo agli attori, in favore dei gesti e della parola; il set spoglio, semplice e astratto riesce a far concentrare lo spettatore sulle persone e sollecita la fantasia di quest’ultimo, che deve inventarsi la scena; questa caratteristica la rende un’esperienza cinematografica molto originale. Solo in una scena troviamo una sorta di scenografia, quando Grace apre la finestra della stanza del cieco, fuori ci sono degli alberi veri e la luce che entra è diversa, è più naturale.
La solidarietà e l’aiuto sono solo il primo strato di una società becera, marcia e putrida; l’assenza del set, le pareti invisibili, potrebbero farci osservare l’interno di ogni abitazione, in cui troviamo solo rassegnazione e arroganza. Le azioni che avvengono all’interno delle mura domestiche sono perfettamente visibili nella realtà scenica, agli occhi dello spettatore. Così assistiamo allo stupro di Grace, con la macchina da presa che si allontana piano piano fino ad inquadrare il sopruso in fondo al profilmico, con gli abitanti impegnati nelle loro faccende.
Un'altra scena rilevante è quella che avviene nel retro del camioncino, in cui assistiamo all’ennesima violenza carnale sulla ragazza, e ciò che succede sotto il telo si mescola col telo stesso, e assieme alle luci e ai colori crea un’inquadratura molto forte e realistica.
Il regista gira con macchina a mano, sempre in movimento, riesce a raccontare la vicenda in modo brillante usando panoramiche a schiaffo, scavalcamenti di campo, zoomate, stacchi, ellissi, accelerazioni e inquadrature dall’alto, che fanno cogliere il clima gelido che si respira dentro la città. Il terreno su cui giace il piccolo centro abitato è nero, ricorda una lavagna, le linee bianche rappresentano gli oggetti e i contorni delle abitazioni, anche il cane provvisto di ciotola è disegnato per terra. Le angolazione dall’alto, perfettamente perpendicolari, fanno apparire gli attori simili a delle pedine che si muovono in un circuito.
Lars Von Trier gioca con le luci e crea un contrasto tra il giorno e la notte; il cielo è visibilmente artificiale e si illumina di un bianco accecante e si spegne con un nero scuro, a seconda dei momenti della giornata.
Quindi assistiamo ad un film che suscita emozioni e che tocca tematiche dure, che oggi più che mai sono ferite aperte nella nostra coscienza. Affronta i temi dell’integrazione, della tolleranza, del perdono, della paura nei confronti di chi è diverso, della società violenta, ipocrita; della cattiveria radicata nell’animo umano; della sopraffazione, del tradimento, dell’ignoranza e per finire della vendetta, che testimonia l’irrecuperbilità dell’uomo. Rappresenta una critica feroce della società in cui viviamo.

Buratti Marco