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Donne contro la guerra (Brenda Gazzar)

Articolo di Brenda Gazzar, giornalista indipendente, vive a Gerusalemme ed è corrispondente per "We News", tradotto da Maria Di Rienzo, tratto dalla “Nonviolenza è in cammino”, n. 1381 del 8 agosto 2006

Haifa, Israele. Nelle ultime settimane, Abir Kopty e Hannah Safran hanno protestato praticamente ogni giorno contro il conflitto in Libano e a Gaza.
Persino quando le temute sirene suonano, avvisando degli attacchi missilistici di Hezbollah, Abir Kopty, un'araba israeliana, e Hannah Safran, un'ebrea israeliana, restano sulle strade di questa città del nord, non lontana dal confine libanese, per chiedere al loro governo di fermare la guerra, di intraprendere negoziati e di scambiare i prigionieri.
Fondatrici di "Donne contro la guerra", gruppo che si è formato pochi giorni dopo l'inizio del conflitto tra Israele ed Hezbollah, le due pacifiste di lunga data fanno parte delle donne che tentano di mettere fine all'ultima ondata di violenza, che minaccia di investire l'intera regione.
"Non si tratta di chi biasimare di più, si tratta di fermare questa guerra", dice Kopty, portavoce di un'ong israeliana impegnata nella tutela dei diritti umani dei cittadini arabi del paese, "Non vogliamo vedere nessun cittadino ucciso da ambo le parti per una guerra evitabile. Non c'è alcun senso in quello che sta succedendo". Israele ha lanciato l'operazione militare in Libano dopo che Hezbollah ha lanciato missili sulle città israeliane del nord il 12 luglio, ha rapito due soldati israeliani e ne ha uccisi altri tre in un raid lungo il confine libanese. I dirigenti di Hezbollah hanno dichiarato di aver catturato i soldati per assicurarsi il rilascio dei prigionieri libanesi tenuti nelle carceri israeliane dall'epoca del precedente conflitto.
Hezbollah, un'organizzazione islamista sciita che in Libano ha membri in parlamento e ministri nel governo, è considerata un gruppo terroristico da Israele e dagli Usa, ma è lodata come legittima resistenza da molti nel mondo arabo, che ritengono Hezbollah l'artefice del ritiro israeliano, nel 2000, dal sud del Libano dopo due decenni di occupazione. Sino a giovedì scorso, l'escalation del conflitto fra Israele ed Hezbollah ha spento le vite di 900 libanesi, in maggioranza civili, e di più di 60 israeliani, inclusi 28 civili. L'Unicef stima che circa un terzo dei morti in Libano siano bambini.

Kopty e Safran dicono che le operazioni militari in Libano e Gaza ed il continuo bombardamento missilistico delle città israeliane del nord sono un'inutile rovina. Safran ha ricevuto esplicite minacce di morte per aver espresso il suo punto di visto sul conflitto in corso.
Le due donne sono state fra le organizzatrici della marcia contro la guerra che si è tenuta il 29 luglio a Tel Aviv, voluta e pensata da più gruppi pacifisti di donne, che ha raccolto oltre tremila dimostranti. La manifestazione è iniziata a Rabin Square, i cartelli dicevano "Smettete di uccidere i cittadini" e "Scambiate subito i prigionieri". Alcuni sostenitori della guerra hanno gridato "traditori" ed hanno assalito i partecipanti.

Insieme a queste donne che protestano ormai ogni giorno ad Haifa, numerosi altri gruppi femminili hanno tenuto veglie e dimostrazioni in ogni angolo del paese. "Al di fuori di questo, non ho una vita. Sono spaventata. Sono disperata", dice Safran, cinquantaseenne, mentre nel centro donne di Haifa scrive cartelli di protesta in ebraico, arabo ed inglese. "Fare questo è ciò che mi dà la capacità di affrontare la situazione, mi dà la speranza che possiamo cambiare qualcosa, e che la nostra vita ha un significato".
Un altro gruppo femminile, la Commissione Internazionale delle donne per una pace giusta e sostenibile fra Israele e Palestina, ha diffuso un appello urgente dopo la sua riunione ad Atene del 13 luglio, in esso si chiede il rigetto dell'uso della forza a Gaza, Israele e in Libano. L'appello chiede a Usa, Unione Europea, Russia e Onu, che stanno mediando il processo di pace israeliano-palestinese, di intervenire immediatamente per arrestare i combattimenti, e di inviare delegazioni che includano donne a negoziare la tregua e lo scambio di prigionieri, per riportare le parti in conflitto ad agirlo sul piano politico interrogandone le cause.
"I civili, in maggior parte donne e bambini, stanno pagando il prezzo di questo circolo vizioso di rappresaglie e controrappresaglie", si legge nell'appello, "Questo è un momento gravemente pericoloso. Se nessuna azione non viene intrapresa oggi, domani potrebbe essere troppo tardi".
La Commissione internazionale, creata con il sostegno del fondo Onu per le donne, include parlamentari, studiose, rappresentanti della società civile; si incontrerà con i capi di stato a settembre, durante l'assemblea generale delle Nazioni Unite, e pensa di ritornare in sede Onu anche ad ottobre per incontrare il Consiglio di sicurezza durante la discussione sulla risoluzione 1325, che chiama ad un maggior coinvolgimento delle donne nella risoluzione dei conflitti e nelle negoziazioni di pace.

Naomi Chazan, ex membro del parlamento israeliano e membro della Commissione internazionale dice: "I nostri scopi principali sono mettere fine alla guerra e riportare l'attenzione sul centro del problema, che è il conflitto israeliano-palestinese". Hezbollah, aggiunge, sta usando quest'ultimo per promuovere la propria agenda, che include l'espansione di un islam radicale, la distruzione di Israele e l'indebolimento degli Usa. "Mentre Hezbollah ed i suoi alleati vogliono la distruzione di Israele, i palestinesi e gli stati arabi moderati vogliono trovare un modo per raggiungere un accordo soddisfacente".
La collega palestinese di Chazan nella Commissione, Lama Hourani, dice che la vita a Gaza è diventata particolarmente difficile sin dallo scorso giugno, quando Israele lanciò un attacco a seguito del rapimento di un soldato. Secondo il Ministero palestinese della sanità, più di 180 persone sono morte a Gaza dall'inizio di questa operazione militare israeliana, e tra essi 78 bambini. Israele sostiene che le sue azioni sono dirette contro le organizzazioni terroristiche, guidate da Hamas, e contro le postazioni missilistiche.
Lama Hourani, che è anche la coordinatrice del gruppo palestinese "Donne lavoratrici per lo sviluppo", sta vivendo senza elettricità da quando uno dei maggiori impianti di fornitura elettrica è stato colpito da un attacco israeliano diverse settimane fa. "Sin dalla vittoria elettorale di Hamas in marzo", racconta, "l'embargo internazionale ha fatto sì che gli impiegati dell'Autorità palestinese non ricevessero i loro stipendi". In aggiunta, lei e gli altri abitanti della striscia di Gaza subiscono ogni giorno bombardamenti e uccisioni. "È una vita terribile. Non la augurerei al mio peggior nemico".

Per maggiori informazioni: Coalition of Women for Peace: http://coalitionofwomen.org/home 5.