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Donne ed educazione alla pace (Angela Dogliotti Marasso)

[Intervento di Angela Dogliotti Marasso (per contatti: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.) al convegno svoltosi a Novello il 2-3 giugno 2007 sul tema "Uno sguardo pedagogico alla cultura della nonviolenza. Donne ed educazione alla pace", tratto dal n. 110 di “Notizie minime della nonviolenza” del 4 giugno 2007)
Non si parla spesso di "Donne ed educazione alla pace". Da un lato, l'educazione alla pace si pone in genere in modo "neutro"; dall'altro, il pensiero femminista non sempre si muove a proprio agio in un ambito che ricorda troppo un ruolo tradizionalmente assegnato alle donne, quello educativo.
È però interessante provare a mettere in relazione questi due ambiti, che sono, nella realtà, strettamente connessi. Provo allora a sviluppare in modo schematico alcune riflessioni in questa direzione, senza pretesa di esaustività, ma come spunti per un cammino da approfondire.
1. Anche se quando si parla di educazione e nonviolenza si pensa subito a figure come Aldo Capitini o Danilo Dolci, c'è stata in Italia una grande educatrice come Maria Montessori, che quest'anno viene ricordata nella ricorrenza dei cento anni dall'apertura della prima Casa dei bambini, che ha sviluppato un pensiero pedagogico molto prossimo alla cultura della nonviolenza, su cui ha scritto in più occasioni Giovanna Providenti (1).
L'esperienza montessoriana è poi stata praticata e sviluppata in Italia, in ambito nonviolento, soprattutto da Grazia Honegger Fresco (2), in molti anni di intenso e proficuo lavoro. Esiste dunque uno specifico patrimonio di esperienze e di cultura portato avanti da donne in questa direzione, che andrebbe ripreso e approfondito e che forse ci porterebbe a scoprire aspetti non ancora messi in luce dell'educazione nonviolenta.
2. Se si recupera in positivo la storia e l'esperienza quotidiana delle donne si scopre, come osserva Evelina Savini in un intervento sul notiziario telematico "Minime", una grande capacità, acquisita nel corso di una storia di emarginazione e di subordinazione, a "pluralizzare e integrare le emozioni e i punti di vista, ad articolare le capacità adattive e interattive" (3). È un patrimonio prezioso, perché significa aderenza alla vita concreta, al di là delle ideologie e delle affermazioni "di principio" che pretendono di tagliare in due la realtà, dividere i buoni dai cattivi, imporre, nelle relazioni, la logica binaria violenta dell'integrazione/assimilazione o dell'esclusione/distruzione. Nella vita si sceglie ad ogni passo e ciò che ci porta a fare una scelta anziché un'altra non è facilmente predeterminabile. Ciò non significa naturalmente che non ci siano orientamenti e convinzioni, anche forti, che ci guidano.
Ma, come nell'esperienza gandhiana la nonviolenza non è un assoluto, ma un costante e continuo sperimentare e sperimentarsi, così mi pare che, in genere, nell'esperienza quotidiana delle donne ci sia questo patrimonio di concretezza che ci rende più duttili e capaci di generare cambiamento (il documentario curato da Anna Gasco che vedremo al termine della tavola rotonda, sulle strategie di sopravvivenza, di difesa e di resistenza delle donne durante l'ultima guerra in Italia è molto significativo al riguardo, così come lo sono gli studi di Anna Bravo e Anna Maria Buzzone sulla resistenza civile delle donne (4) nello stesso periodo).
3. Un'altra esperienza importante, presente nella storia delle donne, anche di diverse culture e civilizzazioni, è quella del "prendersi cura". Alcune studiose hanno fatto risalire a questo tipo di vissuto, profondamente incardinato nella cultura di genere, una particolare attitudine delle donne a sviluppare una prospettiva relazionale anziché individualistica nei rapporti sociali.
Non è questa la sede per approfondire, ma ci sono studi sviluppati negli anni Ottanta nell'ambito della ricerca per la pace che sembrano confermare questa ipotesi, come ha in seguito mostrato anche Carol Gilligan (5) nelle sue ricerche sullo sviluppo morale in un'ottica di genere, che evidenziano modelli significativamente diversi tra maschi e femmine, mettendo in discussione i modelli "neutri" elaborati nell'ambito della psicologia dell'età evolutiva, in particolare i sei stadi di sviluppo morale di Kohlberg (6): "Una moralità intesa come cura degli altri pone al centro dello sviluppo morale la comprensione della responsabilità e dei rapporti, laddove una moralità intesa come equità lega lo sviluppo morale alla comprensione dei diritti e delle norme. Questa diversa interpretazione del problema morale da parte delle donne spiega come il loro sviluppo appaia bloccato se considerato entro i limiti imposti dallo schema di Kohlberg".
Non si può dunque utilizzare come universale un modello che in realtà è quello maschile (dal primato dell'individuo all'affermazione di principi generali) e non quello relazionale-femminile (dal primato della relazione alla salvaguardia di relazioni e valori).
Un pensiero che sottolinei la differenza di genere come significativa anche in ambito educativo potrebbe riscoprire e dare valore a questo tipo di attitudini, ricollocandole in un contesto nuovo e più ampio.
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Però tutto ciò non basta, perché processi positivi come la messa in discussione dei ruoli tradizionali da un lato, ma anche processi negativi come la forte pressione all'omologazione a modelli dominanti connotati da forme di competitività e di violenza più o meno esplicite, fanno sì che oggi sia più facile che anche i comportamenti delle ragazze tendano a caratterizzarsi come fortemente competitivi, quando non apertamente violenti (il caso più evidente è forse quello del bullismo, fenomeno fino a poco tempo fa prevalentemente maschile, almeno nelle sue forme più esplicite, che ora si sta diffondendo rapidamente anche tra le ragazze).
Allora forse si tratta di recuperare con forza il valore simbolico di alcune attitudini relazionali tipicamente nonviolente e "femminili" e proporle come punto di riferimento essenziale per far crescere donne e uomini capaci di costruire rapporti di pace.
Nella cultura della nonviolenza ci sono infatti alcuni principi metodologici che hanno una forte valenza educativa e che sono proprio di questo tipo (si potrebbe sostenere che "la nonviolenza è donna"!), come: - La capacità di empatia, che presuppone una visione binoculare; - L'affermazione positiva, o assertività, o combattività nonviolenta, che si colloca in una prospettiva relazionale: non far violenza agli altri e non lasciarsi fare violenza, ma affermare con una forza, diversa dalla violenza, i propri fondamenti (punti di vista, valori, bisogni, sentimenti, visioni del mondo...); - Capacità di indignazione depurata dall'odio, che implica un lavoro su di sè per saper gestire, con lo sviluppo della propria forza interiore, le emozioni e saper distinguere tra l'errore e la persona che lo compie; - Il riconoscimento e l'accettazione del conflitto dentro di sè, per evitare le proiezioni esterne di ciò che non ci piace in noi; - L'assunzione di responsabilità personale, che, collocandosi nell'orizzonte dell'etica di cura, è una sorta di traduzione "politica" di tale atteggiamento.
Si tratta, se vogliamo assumere un modello fortemente simbolico, di preservare e alimentare l'Antigone che è in noi per "riattivare la forza dirompente della sua pietas e la sua capacità di commuoversi" (7) contro le derive dell'indifferenza e della violenza.
In altre parole, affermare la forza della fragilità, la "forza del debole", come fa la nonviolenza, potrebbe essere una bella prospettiva, orientata da una consapevolezza di genere, nell'educazione.
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Note 1. Giovanna Providenti, "La dimensione ecologica dell'educazione montessoriana", in Centro studi montessoriani, Linee di ricerca sulla pedagogia di Maria Montessori, Annuario 2004, Angeli, Milano 2004; "L'educazione come progetto di pace in Maria Montessori e Jane Addams", in Annuario 2003, Angeli, Milano 2003; si veda anche, a cura di Giovanna Providenti, La nonviolenza delle donne, Quaderni Satyagraha - Libreria Editrice Fiorentina, Pisa-Firenze 2006.
2. Grazia Honegger Fresco, Maria Montessori, una storia attuale, L'Ancora del Mediteraneo, Napoli 2007.
3. Evelina Savini, Le donne, la nonviolenza, in "Minime", n. 73/2007.
4. Anna Bravo, Anna Maria Bruzzone, In guerra senza armi. Storie di donne 1940-'45, Laterza, Roma-Bari 1995.
5. Carol Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, Feltrinelli, Milano 1987.
6. Ivi, p. 27.
7. Elena Pulcini, La violenza senza emozioni, in "La domenica della nonviolenza", n. 110/2007.