Cosa offre il territorio italiano alle donne vittime di violenza? Ve lo dico io: una presa per i fondelli.
Linee telefoniche. La prima e unica linea telefonica gratuita per le vittime di violenza domestica, "statale", è stata istituita alla fine del 2006. Funziona ventiquattr'ore su ventiquattro ed è multilingue. Non la conosce neppure chi redige gli opuscoli istituzionali (Regioni, Province, ecc.) che elencano le "risorse per le donne sul territorio". Perché? Perché nessuno dei governi succedutisi dalla fine del 2006 all'inizio del 2010 ha ritenuto di doverne finanziare la pubblicizzazione. Dal momento che la politica è spettacolo, una volta che tu abbia "istituito il servizio" sei a posto: puoi andare a vantartene in televisione o alla conferenza nel collegio elettorale e passi anche come uno "che si interessa dei problemi delle donne". Naturalmente non ti sfiora l'idea che la violenza, di qualsiasi tipo, è sempre un problema "a due": dell'oppressore e dell'oppresso. Così fingere di aver dato un cerotto gratuito a chi sanguina è più che sufficiente. A chi alza le mani o i pugni, a chi punta pistole, a chi strangola, a chi umilia, insulta, violenta non c'è chi dica qualcosa (se non, sotto sotto, "bravo").
In Italia sono altresì disponibili circa cento linee telefoniche regionali. La maggior parte di esse è gestita dai centri antiviolenza delle donne. Dato che, a parte quella "verde" altoatesina finanziata dalla Provincia, nessuna riceve finanziamenti istituzionali, sono disponibili per una media di otto ore al giorno in momenti diversi.
Rifugi per le donne. Il primo rifugio italiano per le donne vittime di violenza domestica fu fondato nel 1989. Da allora ne sono sorti altri 39, per un totale di 270 posti disponibili. Il Parlamento Europeo ha fatto sapere al suo onorevole stato membro, l'Italia, che data l'estensione del fenomeno e la necessità di proteggere anche i bambini, ne servono un minimo di 5.913.
Mi sembra che questo dato sia sufficiente a dipingere la situazione italiana: i servizi non possono espandersi nè migliorare senza finanziamenti.
Se c'è bisogno di un Concordato fra stato e femministe per averli (l'otto per mille) sono disposta a firmare, tanto più che nessun rifugio in Italia corrisponde pienamente agli standard europei di "qualità" per un'efficace azione di contrasto alla violenza (quali: servizio confidenziale disponibile gratuitamente 24 ore su 24; operatrici che abbiano svolto training specifici sul trattamento delle vittime di violenza, ecc.).
Più di cento gruppi femministi hanno messo in piedi, sin dagli anni '90, centri antiviolenza, linee telefoniche e rifugi, ed hanno costituito il network "Rete dei centri antiviolenza e delle case delle donne". Si tratta di vent'anni di lavoro sul campo che troppo spesso le istituzioni non vogliono riconoscere, nonostante la presenza ovunque delle Commissioni Pari Opportunità (mancano solo nei circoli ricreativi dei dipendenti pubblici, ma se i politici fiutano l'opportunità per piazzarci l'ennesima ballerina di nightclub li istituiranno a breve). Un altro "perché"? Non l'ho appena detto?
Una Commissione Pari Opportunità, al Parlamento o in Comune, non serve a nulla se le/i suoi componenti sono stati piazzati là per "meriti" che vanno dal servizietto al capopartito al bisogno di occupare militarmente, e con il manuale Cencelli, qualsiasi spazio istituzionale una volta che si siano vinte le elezioni.
E questo è il motivo per cui troppe di queste sedicenti Commissioni Pari Opportunità non fanno lo stramaledetto lavoro che dovrebbero fare, fra cui il combattere attitudini e comportamenti che condonano, tollerano, scusano o ignorano la violenza di genere: ovvero impegnarsi (e sostenere chi si impegna al di fuori delle istituzioni) affinché l'accettabilità sociale della violenza maschile sia eliminata.
Se non fosse per le associazioni attive sul territorio una donna nei guai spesso non avrebbe che da rivolgersi al Padreterno. Il quale, mi dicono, ha però spesso altro di cui occuparsi. E non è neppure stato nominato dal capobastone di partito come membro di Commissione P. O.
Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo