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Giornalisti fascisti

Si può essere fascisti senza avere una tessera, senza essere iscritti a nessun partito di ispirazione fascista: fascista è un atteggiamento mentale, delle persone arroganti, prepotenti, boriose e simili. Faccio qualche esempio per spiegare come la penso (naturalmente, mi posso sbagliare).

I lettori dei telegiornali Rai leggono malissimo, non seguono la punteggiatura, sembra che non sappiano essi stessi ciò che leggono o almeno, a guardarli e ascoltarli, che non capiscano il senso di ciò che dicono. Sono giornalisti di professione, ma non gliene importa nulla di quel che dicono ai milioni di ascoltatori che li seguono. I fascisti del secolo scorso avevano adottato il motto «Me ne frego», che è, come ci ricorda don Milani, il contrario di «I care» cioè mi interessa, ne ho cura. I giornalisti del «me ne frego» sono fascisti. Non solo, ma in certo modo danno l’esempio: pensa a te stesso, al tuo look, al tuo stipendio, e via andare. Non pensano che stanno facendo un lavoro e sono pagati, dalla comunità, per farlo bene.

L’osservazione vale anche per i giornalisti della carta stampata. Il giornalismo è alla portata di tutti: tutti possono, avendo il denaro, stampare un proprio giornale oppure, nel tempo libero da altre attività, scrivere articoli e opinioni su giornali amici o compiacenti o altro. Il giornalismo professionistico, cioè praticato da chi vive solo con questo lavoro, ha un’etica precisa, fatta di tante norme, scritte e non scritte, ma tutte volte alla difesa del lettore. Devono essere regole la verità, la chiarezza, la sincerità, il rispetto delle persone di cui si parla e dei lettori o ascoltatori cui ci si rivolge, e così via. Questo è l’ «I care» del giornalista: in definitiva, il rispetto di sé e del prossimo.

I casi di mistificazione sono migliaia, ma ne bastano pochi, emblematici. Il «Corriere della sera», 29 giugno, titola in prima pagina: «Berlusconi, l’insulto di Di Pietro». «La Repubblica», dopo aver trasmesso sul web l’audio delle intercettazioni Berlusconi-Saccà (scambi di favori tra l’attuale premier e un direttore della tv di Stato), sotto il titolo «Di Pietro: “Silvio magnaccia”» riporta la voce di Antonio Di Pietro (21 secondi): «…queste intercettazioni di questi giorni ogni giorno ci fanno capire come al governo più che degli statisti abbiamo dei magnaccia che trattano le ragazze come merce umana da utilizzare e quindi da ricambiare con qualche particina. Con magnaccia invece che statisti, mi sembra che ci sia una bella differenza…»

Tutti vediamo la differenza tra i titoli choc e il testo reale, e anche come i titoli servano a suscitare nell’opinione pubblica sentimenti pesantemente negativi nei confronti del più deciso oppositore del premier. È un insulto o una constatazione politica e morale? L’opinione pubblica (che ha dimenticato le affermazioni leghiste tipo: Roma ladrona, con la bandiera italiana andate al gabinetto, abbiamo centomila fucili, facciamo il maiale-day contro i musulmani, il cappio mostrato in Parlamento) resta impressionata non dal fatto vergognoso che i politici al governo possano «trattare le ragazze come merce umana», ma dalla sua condanna: il primo è quasi condivisibile, la seconda è volgare.

La manipolazione scritta e verbale, ripetuta per giorni e giorni, deforma la realtà. Questo non è ciò che serve ai cittadini, ma ai detentori del potere a tutti i costi. È una forma di fascismo di cui molti giornalisti sono responsabili. I giornalisti, infatti, con le loro ricerche devono semmai smascherare la menzogna, non alimentarla. Così stando le cose, invece, quasi tutto ciò che appare nei mass media risulta non più credibile.

Altro esempio, dal quotidiano «City» (stampato da RCS-Corriere) 25 giugno. Titolo: «Razzi da Gaza. Tregua a rischio». Testo: «La Jihad islamica ha sparato razzi contro Israele violando una tregua di 6 giorni tra Tel Aviv e Hamas. Il lancio era in risposta a un raid di Israele che ha ucciso 2 miliziani della Jihad a Nablus…» Chi ha violato la tregua? Chi ha aggredito (due morti) o chi ha risposto? Come giudicare coloro che hanno scritto, avallato e pubblicato questa infame notizia, contraria a qualsiasi senso di rettitudine?

Sembrano piccole cose, non lo sono. Per difendere la libertà bisogna difendere la verità. Sono convinto che se il mondo cattolico, come prova la storia, si trova compatto e si batte pubblicamente in difesa della verità, tutti torneremo a respirare aria politica non inquinata. La democrazia ha bisogno della Chiesa, tutta, dai vertici in giù. Se da una parte suonano le trombe di chi vuole la dittatura, occorre che la Chiesa cattolica, la «chiesa dei poveri», possibilmente in accordo con le altre, chiami a raccolta i fedeli suonando al più presto le sue campane.

Mario Pancera