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Guerre, bombe, commercio di armi e immigrazione

L'Italia è fra i primi dieci produttori ed esportatori di armi del mondo, e si colloca al primo posto, superando anche gli Stati Uniti, quando si guarda la classifica dei maggiori produttori ed esportatori di armi leggere.
La nostra Finmeccanica, basti un nome fra tutti, è fra le prime dieci case belliche del globo. Nel quinquennio 2010-2014, l'area di maggior vendita delle armi italiane è risultata essere quella che comprende il Medio Oriente e il Nord Africa, cioè le regioni fra le più turbolente del pianeta, compresi Paesi in conclamato stato di conflitto armato, compresi Paesi sotto embargo delle forniture belliche da parte dell’ONU o dell’UE, compresi Paesi responsabili di accertate gravi violazioni alle Convenzioni sui diritti umani (in barba alla legge 185/90, che vieterebbe senza mezzi termini le esportazioni di armi verso questi Paesi).
Scendendo al dettaglio delle singole nazioni, nella classifica dei paesi destinatari dei sistemi d'arma made in Italy in questi ultimi cinque anni, al primo posto figura l'Algeria, al secondo l'Arabia Saudita, al quarto gli Emirati Arabi, seguono con ottimo piazzamento Qatar, Kuwait, Congo e Nigeria.
E' di qualche settimana fa la notizia che componenti di bombe prodotti in Sardegna sono stati ritrovati nello Yemen: erano stati utilizzati dall’Arabia Saudita durante “Tempesta di fermezza”, l’operazione contro i ribelli Houthi che non ha avuto l’autorizzazione dell’ONU e che ha colpito con bombardamenti indiscriminati interi quartieri e campi profughi. Perfino la Germania, in conseguenza di quella operazione, aveva limitato l'invio di armamenti all'Arabia Saudita, l'Italia no. E mica vorrai penalizzare l'economia nazionale, no?
Sto dicendo, maledizione, che i conflitti, le persecuzioni e le guerre in corso ai quattro angoli del pianeta, da cui le inermi popolazioni civili tentano di scappare, si combattono anche e soprattutto con armi italiane.
Bombe, mine, armamenti, sistemi di puntamento, apparati militari d'ogni genere che colpiscono strade e villaggi, fucili e pallottole che uccidono uomini, donne e bambini, hanno anche e soprattutto il bollino tricolore, e quando quel bollino non è italiano, vuol dire che è francese, tedesco, inglese, norvegese, statunitense, eccetera.
Senza considerare, poi, che l'oppressione e la mancanza di democrazia in cui tanti Paesi vivono, o hanno vissuto per decenni, era esercitata da dittatori fantoccio piazzati lì (o comunque sostenuti e pasciuti) dall'occidente a garantire che petrolio, diamanti e quant'altro finissero nelle mani delle nostre imprese.
E quando i popoli non fuggono da guerra, persecuzione e violazioni dei diritti umani, ma fuggono "semplicemente" dalla fame e dalla miseria, bene, anche queste ultime sono un nostro prodotto, sono esportate direttamente da noi, perché sono figlie del modello di consumismo e benessere della nostra parte del mondo, il deficit di quei paesi è speculare al surplus dei nostri, la loro miseria è figlia dello sfruttamento da parte di quelle stesse multinazionali che riempiono gli scaffali dei nostri centri commerciali.
E allora l'asilo e l'accoglienza, nei confronti rispettivamente dei profughi e dei migranti, non sono solo diritti umani basilari da riconoscere a quelle popolazioni (il che, di per sè, già basterebbe a chiudere il discorso).
No, sono semplicemente il minimo che si possa fare, perché questa gente ha tutto il diritto di venire a rivendicare a casa nostra tutto ciò che, nel corso dei decenni, gli abbiamo sottratto a casa loro, e ha tutto il diritto di venire a condividere la pace che alberga in casa nostra, dopo la benzina sul fuoco che abbiamo gettato sui conflitti in casa loro, armando fino ai denti tutte le fazioni combattenti possibili, dittatori e ribelli, regimi ed oppositori, partiti al governo e partiti clandestini. Armi a tutti, tutti contro tutti, l'importante è fare affari.
Mi vergogno di essere italiano, mi vergogno di essere europeo, mi vergogno di appartenere a quella feccia del pianeta che va sotto il nome di occidente, con la sua cosiddetta "cultura", i suoi confini, i suoi muri, le sue barriere, le sue bandiere, i suoi inni nazionali, quelle ridicole marcette di cui ci premuriamo che anche i nostri calciatori conoscano le parole, altrimenti apriti cielo, gli azzurri non cantano l'inno, questi sono i nostri problemi, capite. La culla dell'aberrazione umana, altro che la culla della civiltà.
La spilletta con il fucile spezzato che porto al bavero della giacca, quel simbolo di avversione e di ripudio verso le armi, chi le usa, chi le produce e chi le vende, oltre che significare di confermare a vita la scelta che feci dichiarandomi obiettore di coscienza al servizio militare, è solo un piccolo e miserrimo modo per dire tutto questo, per dire che mi vergogno, ogni giorno, ogni minuto, ogni singolo maledetto secondo.

Voi che vivete sicuri
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
che lavora nel fango
che non conosce pace
che lotta per mezzo pane
che muore per un si o per un no.
Considerate se questa è una donna,
senza capelli e senza nome
senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo
come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Primo Levi

Fonte: Movimento Nonviolento