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I fantasmi dell’Impero

Mi è piaciuto “I fantasmi dell’Impero”, opera di 3 autori: Marco Cosentino, Domenico Dodaro, Luigi Panella, edito da Sellerio, 2017.

È un romanzo storico ambientato soprattutto nell’Etiopia all’epoca del fascismo, dopo l’attentato al Vice Re Graziani, un’epoca coloniale come suol dirsi “ritardata”, e forse proprio per questo ancor più tragica di quelle classiche inglesi, tedesche e francesi. L’argomento mi ha attirato per interessi specifici e mi sono piaciuti nella ricerca i bei documenti di archivio, quelli che uso ed amo anch’io. Ci sono poi dentro due storie d’amore e c’è l’indagine poliziesca e giudiziaria, e nelle aule o documenti di giustizia la letteratura ha sempre ben pescato. Insomma al romanzo non manca niente ed il tutto è amalgamato in modo godibilissimo.

Ma sono soprattutto i risultati oggettivi, cioè storici che stupiscono.

Il fascismo guerrafondaio volle l’impero e fu colonialista e razzista. La sua guerra, condotta con gli apparati superiori di un esercito moderno e meccanizzato, con tanti mezzi, armi e aerei, fu sanguinaria e fatta di nefandezze criminali, stragi, stupri, uso di gas. Sarà un romanzo, ma è uno sconquasso per il mito dell’italiano bravo soldato. Nel libro si legge il resoconto di uno stupro devastante di bambine considerate animali da macello utili solo per l’appagamento sessuale di soldati che si rivelano bestie. Del resto anche in tempi più recenti abbiamo visto le foto di sempre nostri bravi soldati italiani in Somalia mentre torturano i prigionieri applicando cavi elettrici ai loro testicoli, e non si parla di 80 anni fa, bensì si può dire di nostri giorni.

La letteratura ed in primis il romanzo hanno la capacità di rendere meglio di altri strumenti il clima dei fatti, nel caso di una schifezza assoluta, per la quale come paese intero dovremo vergognarci.

Nel suo sviluppo il racconto sale in alto fino ai palazzi romani del potere, fino a Badoglio, ed allo stesso Mussolini, e fa capire un’altra cosa importante, quell’occupazione dello stato messa in atto da un partito unico, che rappresenta l’archetipo cui commisuriamo la deriva della occupazione del potere da parte dei partiti vissuta dal nostro paese per tutto il dopoguerra. Si può dire divertiti che, grazie al fascismo, gli Italiani hanno goduto davvero di un grande esempio.

Il protagonista principale del romanzo, il Colonnello Bernardi della Magistratura Militare, è incaricato nel 1937 di scoprire se dei fatti violenti e criminali di cui si sono resi responsabili soldati italiani, in una regione dell’Etiopia, e dai quali sono scaturite rivolte di popolo, siano stati voluti e decise da una squadra politica come manovra a svantaggio di qualcuno, nei rigiri dei giochi di potere. La sua indagine si conclude addirittura solo nel dopoguerra, senza per altro ottenere un qualche risultato sul piano del riconoscimento pubblico delle responsabilità, nonostante l’acume con cui il Bernardi la conduce senza mai demordere, guidato solo dalla sua coscienza di servitore dello stato.

Disquisendo sul tema “verità” gli autori, in vari modi tutti professionisti della giustizia, si inoltrano anche in una analisi filosofica sulla quale non si può che essere d’accordo quando affermano, attraverso i loro protagonisti, che nel dilemma tra “la verità storica, i fatti realmente accaduti”, e la “verità processuale, quella che si può accertare attraverso le prove”, alla fine si sono convinti che “l’unica verità possibile è quella relativa, umana, imperfetta”, in quanto la “verità assoluta” è appunto “inaccertabile” ed anche “inaccettabile”. Non dimenticano poi nemmeno di suggerire cautela verso i convincimenti, che per la verità possono essere pericolosi come le bugie, e infine di mettere in guardia il ricercatore della verità anche rispetto al suo orgoglio, ed al suo ritenersi dalla parte del giusto, perché poi questo “giusto” non è posizione che può mai defirsi certificata.

Che dire di più, se non bravi.

In poche parole hanno sintetizzato i dilemmi di un infinito dibattito storiografico, il che rappresenta un altro merito qualificante per la loro opera, che ci permette oltretutto di evitare sull’argomento trattati sicuramente più completi, ma anche più pesanti, se non noiosi.

Infine c’è un rimando curioso, e per me affascinante. Un altro dei protagonisti, il toscano tenente Valeri, è un appassionato di fotografia che narra del negozio Foto Ottica Bongi a Firenze, vicino al Ponte Vecchio, dove acquista una mitica Leica con la quale scatta poi le foto in Etiopia. In quel negozio il Valeri racconta di esserci andato più volte affascinato dalla vetrina, fino a divenire amico del proprietario. Ebbene anch’io ho vissuto la stessa identica esperienza, non c’è mai stata una volta che, andato a Firenze, non sia passato dal Bongi, e non mi sia affacciato incantato fino a schiacciare il naso contro la sua vetrina. Questo chiaramente per me è avvenuto, non prima degli anni Quaranta, ma negli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Il negozio Bongi è sempre stato lì, come ancora oggi, ed io non ho fatto altro per anni che guardare a bocca aperta le fotocamere esposte.

Come non essere innamorato di un tale protagonista, così vicino nella mia passione!

Mi sento pertanto di poter confermare due verità certo relative, imperfette e quindi umane:

a) la verità storica assoluta è inaccertabile.

b) i motivi per i quali un libro cattura un lettore rimangono e rimarranno sempre insondabili.

 

Massimo Michelucci - aprile 2017