Pubblicato sul n. 487 del 15 giugno 2008 di "Notizie minime della nonviolenza" del Centro di Ricerca per la Pace e tratto da quotidiano "L'Unità" del 26 maggio 2008.
La nuova legge dice proprio questo. Che il suo stare qui, lavorando o non lavorando, è un reato per cui sono previsti carcere ed espulsione. Se sarà espulsa e chiederà di tornare qui, le diranno di no. Se tornerà lo stesso, sarà condannata di nuovo e la pena, in questo caso, sarà pesante. Questo si legge sui giornali, almeno, perché il testo del decreto (che ha effetti immediati) e quello del disegno di legge (che, per avere effetto, deve essere prima approvato in Parlamento) non è ancora noto nei dettagli. In un modo o nell'altro, tuttavia, di questo si tratta.
La nuova legge dice proprio questo. Che il suo stare qui, lavorando o non lavorando, è un reato per cui sono previsti carcere ed espulsione. Se sarà espulsa e chiederà di tornare qui, le diranno di no. Se tornerà lo stesso, sarà condannata di nuovo e la pena, in questo caso, sarà pesante. Questo si legge sui giornali, almeno, perché il testo del decreto (che ha effetti immediati) e quello del disegno di legge (che, per avere effetto, deve essere prima approvato in Parlamento) non è ancora noto nei dettagli. In un modo o nell'altro, tuttavia, di questo si tratta.
E fanno davvero paura il tono trionfalistico dei ministri, la soddisfazione che trapela dai commenti (quelli "schierati" e quelli dei giornalisti solitamente equilibrati che sembrano contenti di questa "buona prova" del Berlusconi quater) e la reazione debole dell'opposizione "democratica". Forse il Paese in cui viviamo è davvero questo, quello che vuole spostare sugli extracomunitari e sui rom tutta la sua rabbia e tutta la sua aggressività. Non siamo diversi, forse, dagli Stati Uniti di Bush che si difendono dai messicani e dai centroamericani che attraversano il Messico per andare a lavorare da loro con una muraglia immensa difesa da uomini armati. Vogliamo davvero questo, forse: affrontare l'insicurezza e la paura di un tempo che è il nostro con una bugia, la pietosa bugia di chi ci racconta che il nostro star male dipende da un demone che lui (il Governo) può esorcizzare. Da cui lui (il Governo) può liberarci. Con una legge.
Ascoltavo mercoledì in tv, mentre si concludeva il consiglio dei ministri di Napoli, le parole di un deputato leghista che spiegava il come e il perché di questi provvedimenti. Giovane, tronfio, dotato di una mente di cui Savinio avrebbe detto che era poco ammobiliata, spiegava ad un giornalista di Rainews 24 che gli emigrati clandestini di cui si dice che lavorano, in effetti sono qui solo per delinquere. Che quando esibiscono documenti per le sanatorie (che stavolta, giurava, non si faranno, anche se altri dei suoi, nello stesso momento, dicevano il contrario parlando delle badanti) esibiscono in realtà "carta straccia": che non lavorano dunque perché sono solo dei parassiti e che allontanarli con una legge è il dovere principale dei politici eletti oggi nel nostro Parlamento. Dotato di una sua logica infantile ma stringente, il discorso del neodeputato ruspante e leghista mi è sembrato importante per capire come andranno le cose in Parlamento quando le proposte del Governo arriveranno lì. Più ancora mi ha spaventato, tuttavia, la debolezza del giornalista (un giornalista del servizio di cui si dice che è pubblico) che lo ascoltava. Come se non sapesse o se non capisse l'enormità e la gravità delle stupidaggini che gli venivano dette.
Vi sono stati altri tempi, pensavo e penso, in cui queste cose sono accadute. Giustificando le guerre coloniali, Mussolini aveva ampiamente spiegato agli italiani che i popoli africani sono composti di persone inferiori soprattutto per la loro incapacità di lavorare in modo produttivo. Parassiti del mondo, da conquistare prima per educare poi. Come dicevano allora i gerarchi, di cui il tempo avrebbe dimostrato la povertà di etica e di cultura, e come dicono oggi le nuove orde di dilettanti allo sbaraglio della politica di destra. Nel silenzio a tratti ossequioso, a tratti timido e a tratti esaltato, oggi come allora, di una stampa compiacente e di una opposizione spaventata o collusa.
Tornando alle tue domande, cara letttrice, non posso che dirti di sì. Che il tuo restare in Italia lavorando per degli italiani è diventato o diventerà un reato come reato era, per gli abissini, i libici, i somali di allora, il non essere pronti ad accettare la superiorità degli italiani fascisti. Quelle che ne seguirono allora furono guerre sanguinose e crudeli raccontate, con l'aiuto di una stampa compiacente e di un'opposizione lacerata, come delle grandi imprese militari. Quello che ne seguirà ora è un conflitto meno rumoroso e meno sanguinario in cui si eviterà (anche perché servirebbe a poco) l'uso delle armi ma che sarà ugualmente crudele e violento.
Nei cui confronti sarebbe giusto promuovere un'onda vasta di obiezioni di coscienza e di disobbedienza organizzata. Anche se non è per niente facile che questo accada. Ci sono passaggi della storia in cui quello che si verifica è un ottundimento generalizzato delle coscienze, una specie di malefico sonno della ragione.
La vita continua a scorrere intorno alle persone normali, quelle che non decidono nulla, come se nulla di straordinario stesse accadendo mentre le violenze e le ingiustizie più atroci si compiono fuori dal loro campo visivo in quanto fuori dall'informazione da cui dipendono nel tentativo di capire quello che succede.
Uomini perversi e violenti tornano a difendere, su certi giornali, la scelta di chiamare spazzatura i rom che, secondo loro, rapiscono davvero i bambini (i comunisti, com'è noto, li mangiavano) dimenticando, perché alla fine non gliene importa nulla, le persecuzioni che i rom hanno subito dai nazisti e dai fascisti. Berlusconi e i suoi ministri si riuniscono per un intero giorno a Napoli senza mai pronunciare la parola camorra e senza mai citare, nei loro proclami, il piccolo esercito di clandestini (cinesi e rumeni, indiani e africani) sfruttati dal suo impero criminale: schierandosi nei fatti, con un silenzio che è insieme assurdo e assordante, con chi (la camorra di Gomorra) sul loro lavoro illegalmente costruisce la sua ricchezza e il suo potere. E accuratamente nascondendosi in un vortice di ipocrisia nel momento in cui si arriva, negli stessi giorni, a commemorare solennemente Falcone ed a coprire con la formula del silenzio-assenso la delinquenza organizzata contro cui Falcone lottò fino alla morte.
Deviare il rigore della legge e l'odio della gente contro dei nemici immaginari (ieri gli ebrei e i rom, oggi i rom e gli extracomunitari) è stato da sempre il modo migliore di preparare una dittatura instaurando un regime di violenza. Uomini come certi giornalisti, che vedremo sempre più spesso in tv soprattutto perché la loro capacità di spargere odio fa audience, giocano senza forse neppure rendersene conto un ruolo fondamentale (e sempre ben remunerato) in processi di questo tipo. È a gente (gentaglia?) come loro che dobbiamo la deriva morale di questo nostro Paese.
Difficile da vivere oggi anche per me (che di lei sono assai più fortunato) oltre che per lei.
Ascoltavo mercoledì in tv, mentre si concludeva il consiglio dei ministri di Napoli, le parole di un deputato leghista che spiegava il come e il perché di questi provvedimenti. Giovane, tronfio, dotato di una mente di cui Savinio avrebbe detto che era poco ammobiliata, spiegava ad un giornalista di Rainews 24 che gli emigrati clandestini di cui si dice che lavorano, in effetti sono qui solo per delinquere. Che quando esibiscono documenti per le sanatorie (che stavolta, giurava, non si faranno, anche se altri dei suoi, nello stesso momento, dicevano il contrario parlando delle badanti) esibiscono in realtà "carta straccia": che non lavorano dunque perché sono solo dei parassiti e che allontanarli con una legge è il dovere principale dei politici eletti oggi nel nostro Parlamento. Dotato di una sua logica infantile ma stringente, il discorso del neodeputato ruspante e leghista mi è sembrato importante per capire come andranno le cose in Parlamento quando le proposte del Governo arriveranno lì. Più ancora mi ha spaventato, tuttavia, la debolezza del giornalista (un giornalista del servizio di cui si dice che è pubblico) che lo ascoltava. Come se non sapesse o se non capisse l'enormità e la gravità delle stupidaggini che gli venivano dette.
Vi sono stati altri tempi, pensavo e penso, in cui queste cose sono accadute. Giustificando le guerre coloniali, Mussolini aveva ampiamente spiegato agli italiani che i popoli africani sono composti di persone inferiori soprattutto per la loro incapacità di lavorare in modo produttivo. Parassiti del mondo, da conquistare prima per educare poi. Come dicevano allora i gerarchi, di cui il tempo avrebbe dimostrato la povertà di etica e di cultura, e come dicono oggi le nuove orde di dilettanti allo sbaraglio della politica di destra. Nel silenzio a tratti ossequioso, a tratti timido e a tratti esaltato, oggi come allora, di una stampa compiacente e di una opposizione spaventata o collusa.
Tornando alle tue domande, cara letttrice, non posso che dirti di sì. Che il tuo restare in Italia lavorando per degli italiani è diventato o diventerà un reato come reato era, per gli abissini, i libici, i somali di allora, il non essere pronti ad accettare la superiorità degli italiani fascisti. Quelle che ne seguirono allora furono guerre sanguinose e crudeli raccontate, con l'aiuto di una stampa compiacente e di un'opposizione lacerata, come delle grandi imprese militari. Quello che ne seguirà ora è un conflitto meno rumoroso e meno sanguinario in cui si eviterà (anche perché servirebbe a poco) l'uso delle armi ma che sarà ugualmente crudele e violento.
Nei cui confronti sarebbe giusto promuovere un'onda vasta di obiezioni di coscienza e di disobbedienza organizzata. Anche se non è per niente facile che questo accada. Ci sono passaggi della storia in cui quello che si verifica è un ottundimento generalizzato delle coscienze, una specie di malefico sonno della ragione.
La vita continua a scorrere intorno alle persone normali, quelle che non decidono nulla, come se nulla di straordinario stesse accadendo mentre le violenze e le ingiustizie più atroci si compiono fuori dal loro campo visivo in quanto fuori dall'informazione da cui dipendono nel tentativo di capire quello che succede.
Uomini perversi e violenti tornano a difendere, su certi giornali, la scelta di chiamare spazzatura i rom che, secondo loro, rapiscono davvero i bambini (i comunisti, com'è noto, li mangiavano) dimenticando, perché alla fine non gliene importa nulla, le persecuzioni che i rom hanno subito dai nazisti e dai fascisti. Berlusconi e i suoi ministri si riuniscono per un intero giorno a Napoli senza mai pronunciare la parola camorra e senza mai citare, nei loro proclami, il piccolo esercito di clandestini (cinesi e rumeni, indiani e africani) sfruttati dal suo impero criminale: schierandosi nei fatti, con un silenzio che è insieme assurdo e assordante, con chi (la camorra di Gomorra) sul loro lavoro illegalmente costruisce la sua ricchezza e il suo potere. E accuratamente nascondendosi in un vortice di ipocrisia nel momento in cui si arriva, negli stessi giorni, a commemorare solennemente Falcone ed a coprire con la formula del silenzio-assenso la delinquenza organizzata contro cui Falcone lottò fino alla morte.
Deviare il rigore della legge e l'odio della gente contro dei nemici immaginari (ieri gli ebrei e i rom, oggi i rom e gli extracomunitari) è stato da sempre il modo migliore di preparare una dittatura instaurando un regime di violenza. Uomini come certi giornalisti, che vedremo sempre più spesso in tv soprattutto perché la loro capacità di spargere odio fa audience, giocano senza forse neppure rendersene conto un ruolo fondamentale (e sempre ben remunerato) in processi di questo tipo. È a gente (gentaglia?) come loro che dobbiamo la deriva morale di questo nostro Paese.
Difficile da vivere oggi anche per me (che di lei sono assai più fortunato) oltre che per lei.