Correva l’anno 2012 e il mese di aprile quando, per la prima volta, scrivemmo un pezzo su Combonifem magazine, sottolineando la necessità di un linguaggio che declinasse alcune parole al femminile, riconoscendo un cambiamento dei tempi certo, ma, ancora di più, il fatto che diverse cariche istituzionali e professioni lavorative venivano ricoperte da donne. Da qui, commentavamo, la necessità di avere termini rispondenti alla realtà. Perché chiamare le persone per nome significa riconoscerle.
Se il ministro per le Riforme costituzionali è una donna, si dice ministra, scrivevamo, e se “non vi piace”, perché vi “suona male”, dovrete in qualche modo “farvelo piacere”, perché non è una questione di gusti ma di grammatica. Non c’è scampo! Nel dicembre 2013 lo scrisse anche l’Accademia della Crusca:«Non esistono due opzioni, il genere in grammatica è un parametro fisso come lo è un numero, è un meccanismo regolatore della nostra lingua». Nel luglio 2014 l’associazione Giulia (acronimo di Giornaliste unite libere e autonome) presentò alla Camera dei Deputati una guida, Donne, grammatica e media. Un piccolo libretto, comprensivo di un glossario che facesse un po’ di chiarezza sulla declinazione dei termini riferiti a cariche o professioni.
Oggi, settembre 2015, anche l’Ordine dei giornalisti, grazie al Gruppo di lavoro Pari opportunità del Consiglio nazionale, arriva a pubblicare una guida: Tutt'altro genere di informazione. Manuale per una corretta rappresentazione delle donne nell'informazione. Il testo parte dalla rappresentazione che i media fanno della donna, analizzando i titoli di giornali e telegiornali, quando la donna fa notizia o è chiamata a commentarla (un quadro piuttosto sconfortante a dire il vero), per arrivare a elencare (con casi di studio concreti) le cattive pratiche che veicolano stereotipi di genere, palesi o sottili, e a indicare linee guida e raccomandazioni.
Non leggeremo più “il ministro della Salute è incinta” (che, vogliamo dirlo?, non ci vuole un manuale perché salti all’occhio la discordanza)? In realtà il cammino è lungo. Il linguaggio è la declinazione del pensiero. E questo ci dice che il problema è culturale, riguarda gli stereotipi che circondano il femminile, la rappresentazione comune che si ha della donna. È anche vero che spesso rappresentazione e realtà non coincidono e allora è proprio partendo da quel che ci circonda, da quel che le donne sono riuscite a conquistarsi nel tempo, che dobbiamo ripartire. Dal dato di fatto che oggi ci sono ministre, avvocate, notaie, architette, chirurghe e… una cancelliera!
Il compito di usare termini corretti però non appartiene solo ai media (che dovrebbero riappropriarsi del compito di informare e formare), ma anche alla famiglia, alla scuola, alla società intera. Il linguaggio riguarda tutti e attraverso il linguaggio passa il riconoscimento e il rispetto. Per cui è davvero tempo che ci diate del lei!
Fonte: ComboniFem - Newsletter Suore Comboniane