«La nostra campagna proverà che la lotta delle donne ha ampio consenso». Un sito da voce a una mobilitazione femminista che va ben oltre il suo obiettivo, cioè la parità giuridica delle iraniane
ma.fo.
La campagna «Un milione di firme per cambiare le leggi discriminatorie» è stata lanciata il 27 agosto a Tehran e lancia un segnale importante, in un momento in cui in Iran e in tutto il Medio Oriente prevale l'atmosfera del confronto militare. L'appello pubblicato dalle attiviste iraniane elenca alcuni obiettivi. «Promuovere la cooperazione tra uno spettro ampio di attiviste sociali per il cambiamento», «identificare le priorità delle donne» «sviluppando i legami tra gruppi di donne con diversi retroterra», ad esempio «quelle che difendono i diritti umani e altri grupppi di cittadine»; questo «farà crescere la generale consapevolezza sulle ingiustizie che esistono nel sistema legale». Ancora: «Amplificare la voce delle donne», «aumentare la conoscenza e promuovere l'azione democratica». In un'intervista pubblicata sul sito della campagna, l'anziana peotessa Simin Behbahani afferma che il movimento raccolto attorno a questa campagne «è come un ultimatum contro coloro che mettono in questione la legittimità dell'eguaglianza legale delle donne. Questa iniziativa proverà che la lotta per i pari diritti è pacifica, senza mediazioni, ed ha un ampio consenso. Sarà un modo per provare che non siamo sole, e che molti nel paese sostengono questa causa». Il punto è che la semplice «parità di diritti» può diventare un concetto sovversivo in un paese dove la legislazione si ispira alla legge islamica. Un'altra giurista iraniana, Nayereh Tohidi, argomenta (sempre sul sito della campagna): sappiamo «bene che avere pari diritti non esaurisce i problemi, ma sappiamo anche che il riconoscimento dei diritti davanti alla legge è una necessità. Senza una legittimità legale, ogni tentativo delle donne per l'empowerment, per costruire una presenza attiva nella società, o per affermare una produzione culturale e creativa nella società, sarà ostacolata da mille limitazioni. E questo risulta chiaro quando si nota che le leggi che governano la famiglia, la sessualità e le relazioni di genere in Iran non rispecchiano i cambiamenti e le nuove realtà del paese».
L'appello continua infatti evocando il «potere della pluralità»: la campagna, afferma, dimostrerà anche che la richiesta di cambiare le leggi non riguarda solo specifici gruppi di donne ma attraversa tutta la società iraniana. La campagna «non è in contraddizione con i principi islamici», fa notare l'appello: come ripete un'avvocata come Shirin Ebadi, che controbatte così a quando invocano l'islam per opporsi ai diritti umani o delle donne. L'Iran ha firmato la Convenzione per i diritti Civili e politici delle Nazioni unite, e anche della Cedaw, la Convenzione che abolisce ogni discriminazione contro le donne: «su questa base, il governo deve prendere misure per riformare le leggi che promuovono la discriminazione», dice l'appello. Conrinua l'appello: i diritti delle donne non sono neppure contradditori con la costituzione iraniana e con il fondamento della repubblica islamica. Tohidi conclude: «Oggi le donne iraniane non sono sulla difensiva in favore del patriarcato dominante perché è in opposizione all'occidente. Piuttosto, si battono per la democrazia e gli eguali diritti demarcando il movimento delle donne sia dagli islamisti nativi che dall'imperialismo patriarcale dell'Occidente». Quante precisazioni sono necessarie, per poter rivendicare un posto alla pari nella società...