Joel Peter Witkin
Seravezza, Palazzo Mediceo
20 gennaio- 8 aprile 2007
ANTEPRIMA STAMPA E INCONTRO CON LARTISTA*
venerdì 19 gennaio ore 12,00
(* lartista sarà disponibile alle interviste preventivamente accordate con lufficio stampa)
INAUGURAZIONE
sabato 20 gennaio ore 17,30
Seravezza, Palazzo Mediceo
20 gennaio- 8 aprile 2007
ANTEPRIMA STAMPA E INCONTRO CON LARTISTA*
venerdì 19 gennaio ore 12,00
(* lartista sarà disponibile alle interviste preventivamente accordate con lufficio stampa)
INAUGURAZIONE
sabato 20 gennaio ore 17,30
Seravezza (Lucca) 15 gennaio 2007- Una mostra senza precedenti quella che il 20 gennaio prossimo sarà inaugurata a Seravezza (Lucca) nelle sale espositive di Palazzo Mediceo.
Joel Peter Witkin è il titolo della personale dell'artista americano, conosciuto in tutto il mondo per le immagini dal forte impatto emotivo: 54 opere, accuratamente selezionate dai curatori di Photology, che impongono all'attenzione del pubblico e della critica la personalità stessa di Witkin. Una retrospettiva, visitabile fino all'8 aprile, che riassume la carriera del fotografo, dagli anni '80 ad oggi, percorrendo le tappe evolutive del suo pensiero e della sua sperimentazione artistica.
Joel Peter Witkin ha dedicato la sua carriera di fotografo alla ricerca minuziosa della perfezione di immagini che non sono mai semplici scatti, ma vere e proprie creazioni scenografiche, collage di elementi tesi a costruire un senso, che di volta in volta è il sentimento stesso dell'artista.
Ispirandosi ai grandi maestri della tradizione pittorica (Goya, Botticelli, Picasso, Velazquez, Ernst, Bosch) ha reinterpretato i capolavori del passato, facendo uso di soggetti e oggetti che l'arte spesso rifugge.
Nei suoi fermo-immagine c'è spazio per tutto ciò che la convenzione definisce diverso: il grottesco, il deforme, la mostruosità, perchè tutto ciò che il mondo considera bello è solo una parte della realtà, fatta di contraddizioni, di lotte interiori, nel continuo rincorrersi di sentimenti di vita e di morte.
Le sue grandi fotografie in bianco e nero si fanno teatro per la messa in scena dell'inesorabile, drammatico, spettacolo della vita. Immagini che smantellano i preconcetti e impongono nuovi modi di tollerare le differenze e le umane alienazioni.
La grande retrospettiva di Joel Peter Witkin, si presenta a Seravezza, privilegiato centro per l'arte fotografica internazionale, con tutta la sua imponenza e con una importante novità: un catalogo bilingue (italiano/inglese), edito da Photology, formato tascabile, con le immagini del percorso allestito a Palazzo Mediceo.
LA MOSTRA E LA POETICA ARTISTICA DI JOEL PETER WITKIN
Nel ventesimo secolo la società occidentale corrisponde al sistema mercato. Lobiettivo primario è il profitto e la suddivisione delle masse in target di consumo, in codici di riferimento con la conseguente normalizzazione comportamentale dellindividuo. Ecco affermarsi gli slogan della globalizzazione: cacciamo i diversi, via quelli che escono dallo stereotipo. La società impone di rimuovere le anomalie e di dimenticare le mostruosità della vita di tutti i giorni. Vengono nascoste le notizie più cruente (le torture in Cecenia), le foto più crude (Lady D. nellauto accartocciata sotto il ponte dellAlma), si boicottano i filmati dei suicidi dal Golden Gate. Luomo e il suo sistema potere ha paura della destabilizzazione: ciò che è deforme è sinonimo di caos, di disordine.
[ ]Il mostro rappresenta la violazione delle leggi naturali, il pericolo che incombe, lirrazionale che non possiamo più dominare scrive Umberto Eco in Apocalittici e integrati edito da Bompiani nel 1987.
Solo certi avamposti della società come cultura e arte già verso metà del Novecento rifiutano le convenzioni. Intellettuali, artisti, poeti non accettano di vivere immersi in un irreversibile sonno della ragione. Esempi come il Futurismo in Italia, il movimento Surrealista in Francia, poi la Beat Generation in America non sono altro che vampate di rifiuto di tutto ciò che è convenzionale, un apprezzamento intellettuale per certe mostruosità del mondo.
Sì, perché in fondo il mostro è attraente, seducente; Hannibal the cannibal prima affascina poi conquista le sue prede .
Attraverso quadri come Guernica anche larte comincia a convivere con le deformazioni della società moderna e il brutto, per così dire, diventa bello. Le guerre e le atrocità della prima parte del ventesimo secolo ci insegnano che il mondo non è tutto rosa e fiori. Un disagio che in pittura e scultura è alquanto evidente già nel primo dopoguerra e che esplode con tutta la sua forza alla fine degli anni Quaranta.
In fotografia i primi esempi di estetica del brutto vengono da fotoartisti indipendenti, che non lavorano con i giornali. Il gruppo della Farm Security Administration (Lewis Hine, Dorothea Lange, Walker Evans) inviati dal governo americano a registrare la catastrofe economica della crisi del 29. Poi Robert Frank che già negli anni quaranta con le sue immagini suburbane ci mostra i prodromi di unAmerica post-moderna.
Ma solo con Diane Arbus il mostro esce in pubblico, e nel vero senso della parola. Subito dopo la sua morte, avvenuta per suicidio nel 1971, le opere della leggendaria fotografa riempiono il padiglione americano alla biennale di Venezia del 1972. Freaks, transessuali, nudisti, prostitute, nani: Ecco unAmerica mai vista, servita sul piatto dellarte.
La Arbus è in anticipo su tutta una schiera di artisti, fotografi, performers: Arnold Swarzkogler, Gina Pane, Robert Mapplethorpe, Aziz+Cucher, Orlan, Franko B, Andres Serrano, Ron Athey, Stelarc, i fratelli Chapman ci fanno intuire quello che è il vero cambiamento nella cultura contemporanea. Se buona parte del secondo millennio è stata caratterizzata dalla ricerca scientifica e dalla sua applicazione tecnologica nellambiente esterno, i primi anni del terzo millennio hanno un nuovo punto focale: luomo e il suo il corpo.
Joel Peter Witkin si ascrive, chiaramente, pur nellambito di una sua personale ricerca, in questa nuova corrente e, parte da un percorso drammatico e personale, quanto prematuro, il vedere la caducità, la vulnerabilità e la debolezza dellinvolucro umano. A soli 6 anni Witkin vede rotolare fra i suoi piedi la testa di una bambina. Il suo è un racconto drammatico ma lucido, quasi ispirato: Fu uno schianto pauroso..erano coinvolte tre auto, tre intere famiglie. Poi mi ritrovai qualcosa tra i piedi, era una testa decapitata di una bimba piccola. Questa esperienza mi ha fatto capire che con la fotografia in un qualche modo avrei dovuto rappresentare la morte di unaltra persona.
I titoli dei lavori di Witkin sono emblematici: Man without a head, Atrocitè, Woman once a bird, Siamese twins, Portrait of a dwarf
Nonostante una certa dose di atrocitè, per lappunto, le sue immagini conquistano il pubblico, entrano nei musei di mezzo mondo. Curatori, galleristi e collezionisti non se ne fanno una ragione... Lanalisi che mi pare più convincente non viene da un critico darte:
Il mostro ha un alto contenuto di identità, esce dallomologazione, dimostra la sua unicità, si staglia dalla massa indistinta e anonima. Se il normale è comune, medio, il mostruoso è straordinario. Il mostro è lesatto opposto della mediocrità .
Quella di Witkin non è una semplice deformazione dellimmaginario, un transfert di terrore, ansia e comportamenti atavici, né un tentativo di rifarsi a antichi sortilegi, credenze, mitologie
Il suo riferimento iconografico non è larte di Bosch, Caravaggio, Velaszquez, Botticelli. Il suo è piuttosto un forte legame con il dramma del Novecento: la crisi del 29, lolocausto, latomica su Hiroshima, fino all11 Settembre. Il giovane Joel-Peter che tra gli anni Trenta e Quaranta è poco più che bambino vede le fotografie della Grande Depressione fatte dalla F S A, quelle dei campi di concentramento pubblicate su Life, quelle di Eugene Smith al ritorno dal Giappone post-atomico. Come per Diane Arbus ne esce un mostro generato dalla crisi sociale, da quella parte di mondo che urla.
Dallintroduzione in catalogo a cura di Davide Faccioli
Joel Peter Witkin - 20 gennaio- 8 aprile 2007 - Seravezza, Palazzo Mediceo
ore 15.00- 20.00 (chiuso il lunedì) - ingresso: intero 5,00 ridotto 3,00
Joel Peter Witkin è il titolo della personale dell'artista americano, conosciuto in tutto il mondo per le immagini dal forte impatto emotivo: 54 opere, accuratamente selezionate dai curatori di Photology, che impongono all'attenzione del pubblico e della critica la personalità stessa di Witkin. Una retrospettiva, visitabile fino all'8 aprile, che riassume la carriera del fotografo, dagli anni '80 ad oggi, percorrendo le tappe evolutive del suo pensiero e della sua sperimentazione artistica.
Joel Peter Witkin ha dedicato la sua carriera di fotografo alla ricerca minuziosa della perfezione di immagini che non sono mai semplici scatti, ma vere e proprie creazioni scenografiche, collage di elementi tesi a costruire un senso, che di volta in volta è il sentimento stesso dell'artista.
Ispirandosi ai grandi maestri della tradizione pittorica (Goya, Botticelli, Picasso, Velazquez, Ernst, Bosch) ha reinterpretato i capolavori del passato, facendo uso di soggetti e oggetti che l'arte spesso rifugge.
Nei suoi fermo-immagine c'è spazio per tutto ciò che la convenzione definisce diverso: il grottesco, il deforme, la mostruosità, perchè tutto ciò che il mondo considera bello è solo una parte della realtà, fatta di contraddizioni, di lotte interiori, nel continuo rincorrersi di sentimenti di vita e di morte.
Le sue grandi fotografie in bianco e nero si fanno teatro per la messa in scena dell'inesorabile, drammatico, spettacolo della vita. Immagini che smantellano i preconcetti e impongono nuovi modi di tollerare le differenze e le umane alienazioni.
La grande retrospettiva di Joel Peter Witkin, si presenta a Seravezza, privilegiato centro per l'arte fotografica internazionale, con tutta la sua imponenza e con una importante novità: un catalogo bilingue (italiano/inglese), edito da Photology, formato tascabile, con le immagini del percorso allestito a Palazzo Mediceo.
LA MOSTRA E LA POETICA ARTISTICA DI JOEL PETER WITKIN
Nel ventesimo secolo la società occidentale corrisponde al sistema mercato. Lobiettivo primario è il profitto e la suddivisione delle masse in target di consumo, in codici di riferimento con la conseguente normalizzazione comportamentale dellindividuo. Ecco affermarsi gli slogan della globalizzazione: cacciamo i diversi, via quelli che escono dallo stereotipo. La società impone di rimuovere le anomalie e di dimenticare le mostruosità della vita di tutti i giorni. Vengono nascoste le notizie più cruente (le torture in Cecenia), le foto più crude (Lady D. nellauto accartocciata sotto il ponte dellAlma), si boicottano i filmati dei suicidi dal Golden Gate. Luomo e il suo sistema potere ha paura della destabilizzazione: ciò che è deforme è sinonimo di caos, di disordine.
[ ]Il mostro rappresenta la violazione delle leggi naturali, il pericolo che incombe, lirrazionale che non possiamo più dominare scrive Umberto Eco in Apocalittici e integrati edito da Bompiani nel 1987.
Solo certi avamposti della società come cultura e arte già verso metà del Novecento rifiutano le convenzioni. Intellettuali, artisti, poeti non accettano di vivere immersi in un irreversibile sonno della ragione. Esempi come il Futurismo in Italia, il movimento Surrealista in Francia, poi la Beat Generation in America non sono altro che vampate di rifiuto di tutto ciò che è convenzionale, un apprezzamento intellettuale per certe mostruosità del mondo.
Sì, perché in fondo il mostro è attraente, seducente; Hannibal the cannibal prima affascina poi conquista le sue prede .
Attraverso quadri come Guernica anche larte comincia a convivere con le deformazioni della società moderna e il brutto, per così dire, diventa bello. Le guerre e le atrocità della prima parte del ventesimo secolo ci insegnano che il mondo non è tutto rosa e fiori. Un disagio che in pittura e scultura è alquanto evidente già nel primo dopoguerra e che esplode con tutta la sua forza alla fine degli anni Quaranta.
In fotografia i primi esempi di estetica del brutto vengono da fotoartisti indipendenti, che non lavorano con i giornali. Il gruppo della Farm Security Administration (Lewis Hine, Dorothea Lange, Walker Evans) inviati dal governo americano a registrare la catastrofe economica della crisi del 29. Poi Robert Frank che già negli anni quaranta con le sue immagini suburbane ci mostra i prodromi di unAmerica post-moderna.
Ma solo con Diane Arbus il mostro esce in pubblico, e nel vero senso della parola. Subito dopo la sua morte, avvenuta per suicidio nel 1971, le opere della leggendaria fotografa riempiono il padiglione americano alla biennale di Venezia del 1972. Freaks, transessuali, nudisti, prostitute, nani: Ecco unAmerica mai vista, servita sul piatto dellarte.
La Arbus è in anticipo su tutta una schiera di artisti, fotografi, performers: Arnold Swarzkogler, Gina Pane, Robert Mapplethorpe, Aziz+Cucher, Orlan, Franko B, Andres Serrano, Ron Athey, Stelarc, i fratelli Chapman ci fanno intuire quello che è il vero cambiamento nella cultura contemporanea. Se buona parte del secondo millennio è stata caratterizzata dalla ricerca scientifica e dalla sua applicazione tecnologica nellambiente esterno, i primi anni del terzo millennio hanno un nuovo punto focale: luomo e il suo il corpo.
Joel Peter Witkin si ascrive, chiaramente, pur nellambito di una sua personale ricerca, in questa nuova corrente e, parte da un percorso drammatico e personale, quanto prematuro, il vedere la caducità, la vulnerabilità e la debolezza dellinvolucro umano. A soli 6 anni Witkin vede rotolare fra i suoi piedi la testa di una bambina. Il suo è un racconto drammatico ma lucido, quasi ispirato: Fu uno schianto pauroso..erano coinvolte tre auto, tre intere famiglie. Poi mi ritrovai qualcosa tra i piedi, era una testa decapitata di una bimba piccola. Questa esperienza mi ha fatto capire che con la fotografia in un qualche modo avrei dovuto rappresentare la morte di unaltra persona.
I titoli dei lavori di Witkin sono emblematici: Man without a head, Atrocitè, Woman once a bird, Siamese twins, Portrait of a dwarf
Nonostante una certa dose di atrocitè, per lappunto, le sue immagini conquistano il pubblico, entrano nei musei di mezzo mondo. Curatori, galleristi e collezionisti non se ne fanno una ragione... Lanalisi che mi pare più convincente non viene da un critico darte:
Il mostro ha un alto contenuto di identità, esce dallomologazione, dimostra la sua unicità, si staglia dalla massa indistinta e anonima. Se il normale è comune, medio, il mostruoso è straordinario. Il mostro è lesatto opposto della mediocrità .
Quella di Witkin non è una semplice deformazione dellimmaginario, un transfert di terrore, ansia e comportamenti atavici, né un tentativo di rifarsi a antichi sortilegi, credenze, mitologie
Il suo riferimento iconografico non è larte di Bosch, Caravaggio, Velaszquez, Botticelli. Il suo è piuttosto un forte legame con il dramma del Novecento: la crisi del 29, lolocausto, latomica su Hiroshima, fino all11 Settembre. Il giovane Joel-Peter che tra gli anni Trenta e Quaranta è poco più che bambino vede le fotografie della Grande Depressione fatte dalla F S A, quelle dei campi di concentramento pubblicate su Life, quelle di Eugene Smith al ritorno dal Giappone post-atomico. Come per Diane Arbus ne esce un mostro generato dalla crisi sociale, da quella parte di mondo che urla.
Dallintroduzione in catalogo a cura di Davide Faccioli
Joel Peter Witkin - 20 gennaio- 8 aprile 2007 - Seravezza, Palazzo Mediceo
ore 15.00- 20.00 (chiuso il lunedì) - ingresso: intero 5,00 ridotto 3,00