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La disumanità come carta vincente

È possibile fare politica staccandola completamente dall’umanità? È possibile agire – pensare di agire – per il benessere dei cittadini, per la loro sicurezza, muovendosi contro altri essere umani, che si trovano in una situazione di pericolo, forse di morte?

Questo interrogativo si pone sempre con l’arrivo dei barconi carichi d’immigrati nei porti italiani. Uomini e donne che hanno bisogno di aiuto ma che, con la loro presenza – molti sostengono –, intaccano benessere e sicurezza dei cittadini italiani.

Quest’anno si pone con più forza e drammaticità che nel passato per un motivo molto semplice. Per la prima volta l’Italia ha un governo che fa dei respingimenti in mare l’asse portante della sua politica; per la prima volta il vero vincitore delle elezioni del 4 marzo, il capo della Lega Matteo Salvini, vuole dimostrare senza possibilità di equivoci all’Italia e all’Europa che dall’«invasione» dei diversi, dei neri, dei poveri ci si può difendere. Che un nuovo ordine può essere imposto. Che l’inumano può governare.

Per farlo ha bisogno di operare un rovesciamento culturale che fino a qualche tempo fa sembrava impossibile: rescindere ogni legame fra i sentimenti (solidarietà, pietà, fratellanza, istinto alla protezione dei deboli, benevolenza, compassione) e l’agire pubblico (le leggi, gli interventi, le disposizioni per l’ordine). Per separare l’uomo e la donna dalla propria umanità occorre educarli all’indifferenza, liberarli da ogni empatia con i sofferenti, renderli prigionieri delle proprie ansie e paure, impedir loro di uscire dal ghetto delle proprie sofferenze per dare uno sguardo, almeno uno sguardo, a quelle altrui. L’abbiamo visto solo qualche giorno fa con l’Aquarius, la nave con 629 migranti che il governo italiano ha respinto e che è stata salvata solo grazie all’apertura dei porti spagnoli.

Le motivazioni dell’atto (e della sua disumanità) sono state tutte «politiche». Dare una lezione all’Europa che finora ha colpevolmente voluto ignorare la difficile situazione delle coste italiane e questo è di certo vero. Alcuni paesi europei per evitare l’invasione hanno eretto muri e militarizzato le frontiere. Poi – si è detto – occorre evitare che, insieme ai migranti, sbarchino, anche terroristi.

Che dobbiamo riservare le poche risorse che ci sono agli italiani, aiutare prima i poveri di casa nostra. Ci sono i terremotati, i disoccupati. E, infine, che è impossibile condividere servizi sociali già insufficienti. Le motivazioni della politica, come si vede, sono già esplosive. Se si calano nella difficile situazione economica e sociale del paese, se si condiscono con una buona dose di paura per il diverso, la deflagrazione è immediata.

L’Aquarius è solo l’ultimo dei casi in cui l’inumano diventa politico.

Perché da tempo – come ha denunciato il politologo Marco Revelli – «senza quasi trovare resistenza, con la forza inerte dell’apparente normalità, la dimensione dell’inumano è entrata nel nostro orizzonte». Esso – precisa ancora Revelli – «non è la mera dimensione ferina della natura contrapposta all’acculturata condizione umana. Non è il mostruoso che appare a prima vista estraneo all’uomo». L’inumano è il momento in cui l’altro diventa cosa «indifferente, sacrificabile o semplicemente ignorabile». Il momento in cui la sua vita «non è oggetto primario, ma oggetto di calcolo».

Quel che sta avvenendo nelle acque del Mediterraneo e quello che è prevedibile accada nei prossimi mesi, è esattamente questo. La vita degli uomini e delle donne è oggetto di calcolo economico e politico. È con la minaccia di morte di centinaia di persone che si pongono condizioni all’Europa.

Sono i disperati del mare che garantiscono la linea della fermezza. Sono loro i testimoni che i partiti al governo fanno il bene degli italiani salvaguardano la loro sicurezza e il loro benessere.

Non sarebbe onesto né veritiero dire che questo processo di disumanizzazione della politica si manifesta ora per la prima volta. Solo qualche mese fa un altro governo – questa volta di centro sinistra – e un altro ministro degli interni – di sinistra – con un accordo con le tribù libiche e un attacco alle organizzazioni umanitarie che agivano nel Mediterraneo, ha bloccato in campi della Libia alla mercé di miliziani, torturatori e stupratori, migliaia di uomini e di donne che avevano la colpa di tentare di arrivare sulle nostre coste nella speranza di un futuro migliore.

Lo racconta con crudezza un bel film che forse in pochi hanno visto: «L’ordine delle cose» di Andrea Segre. Anche in questo caso la vita di molti è entrata nel calcolo.

Ma quell’azione ampiamente «disumana» e largamente condivisa dai mass media era coperta, almeno, dall’ipocrita affermazione di voler difendere gli immigrati dallo sfruttamento degli scafisti, dalle carrette della morte che offrivano false speranze.

Oggi invece l’inumano non usa infingimenti, non cerca pretesti, non dà motivazioni che coprano la realtà. Anzi la politica se ne mostra orgogliosa, fa della disumanità la sua carta vincente. «Ero straniero e non mi avete accolto», ha detto ieri il cardinale Ravasi citando il Vangelo e denunciando la mancanza dell’umano nella politica.

Se questo è vero – ed è tragicamente vero – ne viene di conseguenza che solo una nuova immersione della politica nell’umanità può rovesciare la terribile fase che stiamo attraversando.

Solo un’affermazione senza reticenze e con orgoglio anche nel discorso pubblico di parole e valori quali bontà, solidarietà, integrazione, pietà, comunione può dipingerla di colori nuovi e liberarla da quelli cupi della paura e del respingimento dell’altro. Si tratta di rimettere in moto un processo di rieducazione che non è impossibile.

Avere davanti ai propri occhi, e questa volta con assoluta chiarezza, una politica senza umanità può aiutare a costruirne una diversa.

Rocca - rivista quindicinale della Pro Civitate Christiana - n. 13/201