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La marcia per la pace Perugia-Assisi e il movimento nonviolento: cosa direbbe Aldo Capitini? invito alla riflessione

VERSO IL 25 SETTEMBRE

Mentre si avvicina il 25 settembre, data della Marcia per la Pace Perugia-Assisi, prosegue la preparazione punteggiata da seminari, convegni, documenti vari. La Marcia del Cinquantenario, organizzata quest’anno dalla Tavola della Pace in collaborazione con il Movimento Nonviolento, viene colta come occasione per “riscoprire la figura e il messaggio di Aldo Capitini” (Mao Valpiana-Flavio Lotti) e per evitare che “questa storica Marcia rischi di diventare una ritualità o una tradizione” (Mao Valpiana).

Dobbiamo riflettere, per non tradire il messaggio capitiniano e lo spirito originario della Marcia.

Per riflettere, e fare riflettere, ci facciamo guidare, soprattutto, dalle opere di Aldo Capitini. Seguiamo anche i numeri di quest’anno della rivista “Azione nonviolenta”.

1) LA “MOZIONE DEL POPOLO DELLA PACE”

Certamente, uno dei documenti più importanti è quello pubblicato da “Azione nonviolenta” (numero 6, giugno 2011) col titolo “Mozione del popolo della pace: Ripudiare la guerra, non la Costituzione”, con il richiamo alla prima Mozione letta da Capitini e approvata dal “popolo della pace”, “assemblea itinerante” giunta sul prato della Rocca di Assisi, il 24 settembre del 1961.

E’ da evidenziare la conclusione della nuova “Mozione” che, volendo spiegare quanto detto in precedenza sull’attività da svolgere “per intervenire all’interno dei conflitti”, così recita:

Significa costruire un nuovo ordine internazionale fondato sulla nonviolenza. Se poi tutti gli interventi civili messi in campo, fino in fondo, all’interno di un conflitto non saranno stati efficaci e sarà necessario un intervento, limitato e circoscritto, di una forza armata, sarà compito della Polizia internazionale al servizio delle Nazioni Unite. La quale, come tutte le polizie, non farà guerre e bombardamenti ma separerà i contendenti, neutralizzando i soggetti più violenti e arrestando chi si rende responsabile di crimini”.

Come interpretare questo testo?

Se esso viene confrontato con i cinque “Principi” e le dieci “Applicazioni concrete” della Mozione della prima Marcia (in Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, Perugia, Protagon, 1992, pp. 244-46), può essere inteso come un suo coerente sviluppo e aggiornamento?

Cosa direbbe Aldo Capitini?

Il problema della costruzione di un nuovo ordine internazionale si pone oggi in termini nuovi rispetto a cinquant’anni fa. Come si costruisce oggi un nuovo ordine internazionale e come si risolvono i conflitti, nazionali e internazionali?

Ma intanto ricordiamo la Mozione della Marcia del 1961:

La pace è troppo importante perché possa essere lasciata nelle mani dei soli governanti; è perciò urgente che in ogni nazione tutto il popolo abbia il modo di continuamente e liberamente informarsi, e sia convocato frequentemente ad esprimere il proprio parere” .

(Terzo dei Principi della Mozione della Marcia del 1961, in Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, cit., p. 245).

  1. LEGGERE CAPITINI

Piccola guida alla Marcia Perugia-Assisi

Il mondialismo di Aldo Capitini

Le ragioni della nonviolenza

… a proposito dell’attuale mondialismo la nonviolenza dà un’ottima guida. Non si oppone, sia perché c’è tanta gente che in quella forma esprime per ora quello che vuole la nonviolenza, sia perché c’è sempre qualche cosa di educativo in questo dirsi “cittadini del mondo”, tanto più in presenza a tanti persistenti nazionalismi alquanto morbidi: una prima purificazione può essere quella di dire, “conveniamo tutti insieme nel mondo” vediamo di intenderci, ascoltiamo e parliamo. Là dove la nonviolenza interviene è nel primato da dare; il mondialismo dice: facciamo un’assemblea mondiale e un governo, e un codice, e una polizia mondiale; la nonviolenza dice: persuadiamoci dell’interna ragione dell’unità umana attraverso l’impegno nonviolento, poi vedremo le forme sociali che ne conseguono. Il mondialismo sembra più concreto, ma corre il rischio di mantenere la violenza e di appoggiarsi a un impero vincente, e tutto resta quasi come prima; diminuirà qualche guerra, perché il diritto di farla rimane al centro dell’impero, ma è grave l’inconveniente che se questo governo mondiale fa ingiustizia, non c’è scampo (mentre ora, almeno, si può mutare Stato). Il mondialismo sembra troppo facile accettarlo (e questa facilità dovrebbe rendere attenti). La nonviolenza pone impegni precisi, chiede fede; è difficile, ma va in profondo, si occupa della radice: ha fiducia di trarre da sé e dalla trasformazione che porta nuovi modi anche sociali, diversi dai vecchi del codice, dello Stato, della polizia, della distruzione repressiva.

La nonviolenza, per quello che vede finora, considera ogni rapporto non in senso di autorità, potere, repressione, ma in senso federativo, orizzontale, aperto. Per questo nella società circostante porta un modo diverso che agisce sia direttamente per le persone che coltivano in sé questo senso orizzontale, fraterno (e che ne sono trasformate), sia indirettamente per le persone che ricevono questo nuovo agire nonviolento.

(da Religione aperta, 1964, ristampata in Aldo Capitini, Scritti filosofici e religiosi, Perugia, Protagon, 1992, p. 552).

Nonviolenza e società

…anche la società mondiale va considerata investita da questo dinamismo della nonviolenza, specialmente se noi sapremo “coordinare” la nonviolenza nel mondo. La cosa prima che ne subisce l’azione è l’esercito (e l’armamento). Qui si è fuori del sottilizzare sulla nonviolenza personale, sui diversi “casi”, su quelli tormentosi, ecc.; qui siamo davanti ad un fatto enorme, che è la violenza con un’organizzazione poderosa, con una campagna psicologica imponente, con uno sviluppo impersonale: i nemici molte volte si distruggono, senza nemmeno vedersi in faccia. E’ il trionfo più brutale dello “schema”. Contro di cui bisogna svolgere una duplice azione: obbiezione di coscienza contro il servizio dell’uccisione militare; educazione dei popoli alla resistenza nonviolenta (metodo gandhiano) da applicare nel caso che il territorio venisse invaso; e così non ci sarebbero più gli equivoci che ci sono ora su difesa-offesa; e avverrebbe uno spianamento dei turgori difensivi-offensivi attuali. Questo è il primo e il più urgente scopo dell’azione nonviolenta da concordare mondialmente.

Da quello che si è detto risulta chiaramente che la nonviolenza tende anche a trasformare le strutture della comunità, e stabilire rapporti diversi da quelli repressivi. Tuttavia si può osservare che l’azione dell’organo di polizia in una comunità è lontana da quegli eccessi di distruzione e di eccitazione psichica e di impersonalità che ci sono per gli eserciti e la guerra: quell’azione è circoscritta , diretta specificamente contro chi porta violenza e con lo scopo più di distogliere dalla tentazione che altro. Naturalmente il nonviolento tende ad altro, e a smobilitare polizie e prigioni, ed ha fiducia che questo sia possibile, perché crede alla superabilità del male e all’attuabilità di migliori rapporti umani; e per intanto compie un’opera instancabile perché la repressione sia umana e non torturatrice, educatrice e non vendicatrice, ma cooperante al bene anche del criminale stesso. Ma si rende conto che è l’ultimo organo a cui una comunità rinuncia, e solo quando ci sia un ampio sviluppo di modi nonviolenti di convivenza. Il nonviolento si dedica a questo, specialmente con l’apertura verso il problema violento, rimovendo le cause, rafforzando l’unità sociale già nell’intimo.

(Aldo Capitini, Religione aperta, in Scritti filosofici e religiosi, cit., p. 553)

La pace è sempre in pericolo”

Durante la pace preparare la pace

Una rivoluzione è una serie di atti, di solito collettivi, rivolti a cambiare il possesso del potere, a trasformare le strutture sociali e politiche, a influire sugli animi delle persone. Ma ogni rivoluzione ha un suo carattere. E quella che noi sosteniamo ha il carattere di essere la più totale che sia stata proposta, non solo per gli animi nel profondo e per le strutture che debbono essere adeguate ad una società veramente di tutti, ma soprattutto per la convocazione di tutti ad operare il nuovo corso. (…)

La lotta per la pace tende a creare una permanente mobilitazione di tutti per controllare la politica estera, la politica militare, la politica scolastica, e denunciare gli errori, le colpe, le storture, le alleanze dei conservatori, degli imperialisti, dei capitalisti, dei nazionalisti per conservare il potere e il profitto a danno della maggioranza della popolazione.

La pace è l’ideale e l’interesse che può oggi unire di più le popolazioni, e la lotta per la pace deve essere severa contro i mascheramenti dei vari imperialismi, contro le crociate verso un popolo o l’altro, contro le seduzioni del benessere per addormentare il popolo. (…)

A noi pare che ci siano due posizioni sbagliate:

a) quella di coloro che dicono di volere la pace, ma lasciano effettivamente la società attuale com’è, con i privilegi, i pregiudizi, lo sfruttamento, l’intolleranza, il potere in mano a gruppi di pochi;

b) quella di coloro che vogliono trasformare la società usando la violenza di minoranze dittatoriali e anche la guerra, che può diventare atomica e distruttiva per tutti.

Per noi il rifiuto della guerra e della sua preparazione militare, industriale, psicologica, è una componente fondamentale del lavoro per la trasformazione generale della società. Perciò lavoriamo in queste due direzioni:

  1. spingere a costituire dappertutto forme di controllo dal basso;

  2. orientare e alimentare questo controllo con idee e iniziative contrarie al capitalismo, al colonialismo, all’imperialismo.

(Aldo Capitini, Il potere di tutti, Firenze, La Nuova Italia, 1969, pp. 158-59)


La denuncia dei gruppi religiosi

La coscienza religiosa dei pacifisti deve denunciare “lo scandalo dell’Occidente che si dice cristiano per bocca dei suoi capi, guidatori di guerre, di sfruttamenti, di oppressioni”, ed essere “oltremodo severa verso i cappellani giustificatori degli eserciti, e profondamente decisa a non bruciare il granello d’incenso sull’altare dei nuovi imperatori del mondo o di altri che mai appaiano. (…) una nuova vita religiosa” costituisce “una tensione complessa e profonda, capace di attirare a sé gli insufficienti rivoluzionari, che restano sul piano politico e sociale” (Aldo Capitini, Il potere di tutti, cit., p. 432).

 

La politica della nonviolenza e l’ONU

Direi che l’ONU è un esempio culminante di uno sforzo giuridico, che va scrutato e animato diversamente. Così come essa è, rischia sempre di essere sottoposta ad un tipo di interessi economici e ideologici, ad un tipo di struttura sociale e di profitto. (…) La politica della nonviolenza parte da un altro principio: che il vero “basso”, quello da interpretare e rendere coerente, quello che è delle popolazioni del mondo, è nello stesso tempo per la libera espressione, per l’organizzazione socialistica, per la compresenza di tutti gli esseri. Da questo punto di vista, ben si scorge il pericolo che l’ONU sia portata a fare da alone o da decorazione dell’impero americano, che non ammette forme politiche e sociali diverse dalle proprie … (…) Una struttura giuridica può essere… associata alla volontà di potenza e di preminenza del proprio sistema ideologico-economico, con una boria che potrebbe assomigliarsi all’ottusaggine dei romani che, in nome dell’esser loro i guardiani del mondo, sterminavano i compagni di Spartaco e davano i cristiani in pasto alle belve….

(da La nonviolenza oggi, in Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, cit., p. 143)

Si può affermare, come fa la nuova “Mozione del popolo della pace”, che “sarà necessario un intervento, limitato e circoscritto, di una forza armata”, quando “tutti gli interventi civili messi in campo, fino in fondo, all’interno di un conflitto non saranno stati efficaci”?

Allo scoppio della seconda guerra mondiale Capitini scriveva: “Non c’è situazione avversa in cui non resti sempre qualcosa da fare” (in Nuova socialità e riforma religiosa, Torino, Einaudi, 1950, p. 16).

 

3) UNA PERICOLOSA PROPOSTA DI LEGGE

Un importante Seminario nazionale della Tavola della Pace, in preparazione della Marcia, ha avuto luogo ad Assisi (15-16-17 aprile). Il Seminario era un’ottima occasione per discutere la Proposta di Legge, approvata alla unanimità dalla Camera dei Deputati e quindi passata al Senato, nella disinformazione generale, su “Disposizioni per la promozione e la diffusione della cultura della difesa attraverso la pace e la solidarietà”, N. 2596-3287-A”. Finalità della legge: “rendere consapevoli i cittadini delle politiche di sicurezza e di difesa della nazione e dell’azione delle Forze armate” e far sì che “le amministrazioni pubbliche promuovano iniziative sui temi oggetto della cultura della difesa”, soprattutto nelle scuole nell’ambito della “Giornata del ricordo dei caduti militari e civili nelle missioni internazionali per la pace”.

Con questa Proposta di Legge la guerra diventa “cultura della difesa”.

Serviva diffondere la notizia per creare un fronte di opposizione del movimento pacifista e nonviolento all’approvazione definitiva della legge. Per questo, prima del Seminario, ho scritto a Flavio Lotti e Mao Valpiana chiedendo l’aggiornamento del Programma del Seminario stesso con il tema della Proposta di Legge.

Analoga richiesta era avanzata più autorevolmente da Rocco Altieri che col Centro Gandhi e con tanti altri soggetti si era molto impegnato a Pisa nella opposizione alla cosiddetta “Giornata di solidarietà” dei bambini in caserma (leggere “Il Comune di Pisa arruola i bambini in caserma”, di Rocco Altieri, in “Azione nonviolenta”, n. 6, 2011).

Nel suo messaggio Altieri aveva segnalato che quella: “non fosse una manifestazione estemporanea degli amministratori di Pisa, ma fosse un segnale profondo della deriva della cultura politica italiana che vuole di proposito confondere la pace con la guerra, accreditando di nuovo gli eserciti e gli armamenti… si tenta ora, sull’esempio di Pisa, di coinvolgere tutte le scuole italiane in una smaccata e subdola azione promozionale per le Forze armate, attraverso la proposta di una legge nazionale… Vi supplico, perciò, di attivare tutte le strade possibili perché sia scongiurato proprio nel cinquantesimo anniversario della marcia Perugia-Assisi, un simile smacco alla memoria di Aldo Capitini”. Altieri ha poi illustrato questi argomenti partecipando personalmente al Seminario.


4) PER ATTUALIZZARE CAPITINI

Capitini è stato un profeta ed è la sua profezia che lo rende attuale.

“Il carattere peculiare dell’opera capitiniana risiede nell’unione, meglio nella fusione, di religione e politica” (Norberto Bobbio nella Introduzione di A. Capitini, Il potere di tutti, Firenze, La Nuova Italia, 1969, p. 16)

“La dimensione religiosa è ciò che accomuna la prassi rivoluzionaria di tutti i grandi profeti della nonviolenza (Tolstoj, Gandhi, Capitini, Luther King), e volerla elidere porterebbe a uno snaturamento e a una riduzione della nonviolenza ad antimilitarismo, o a tecnica strumentale della politica per conseguire alcuni risultati” (Rocco Altieri, La rivoluzione nonviolenta. Per una biografia intellettuale di Aldo Capitini, Pisa, Biblioteca Franco Segantini, 1998, p. 9).

Nei cinquant’anni che sono passati dalla Marcia del 1961 il mondo è profondamente cambiato. Non c’è più la divisione del mondo in due blocchi contrapposti e non c’è più la Guerra fredda. Nel 1989 è caduto il Muro di Berlino senza violenza. La nonviolenza ha fatto un lungo cammino, ma le guerre non sono finite. Abbiamo contato cinque guerre negli ultimi venti anni: Golfo persico, Kosovo, Iraq, Afghanistan, Libia.

La guerra in Libia è in corso ed ha acceso un dibattito sul “nuovo pacifismo”.

La cultura del dominio opera non solo con le armi tradizionali, ma anche con la manipolazione e perversione del senso autentico delle parole “guerra” e “pace”, fino a parlare di “guerra umanitaria”. Ma la pace con le armi è una follia! “Bellum alienum a ratione” (Giovanni XXIII).

I tempi sono cambiati, ma rimane “l’opposizione integrale alla guerra”, affermata nel primo punto della “Carta” del Movimento Nonviolento.

Non si può non condividere l’articolo “I primi 50 anni della Marcia Perugia-Assisi e del Movimento Nonviolento”, di Mao Valpiana (“Azione nonviolenta”, 1-2, 2011). E’ anche utile leggere il capitolo “Le marce Perugia-Assisi” in Nonviolenza in cammino, a cura del Movimento Nonviolento, Edizioni del Movimento Nonviolento, 1998 (pp. 187-198). Ma la storia della Marcia ha bisogno ormai di uno studio approfondito.

 

Cartelli che dovrebbero scandire il percorso della Marcia

L’organizzazione della Marcia del Cinquantenario è diversa da quella di cinquant’anni fa, da vari punti di vista. E’ anche difficile fare il confronto.

La Marcia del 1961 fu non solo ideata, ma anche organizzata da Capitini con l’aiuto di un comitato.

Chi legge come Capitini organizzò la Marcia del 1961, nota quanta differenza ci sia tra l’organizzazione di quella Marcia e quella delle altre edizioni, fino a quella di quest’anno (leggere “In cammino per la pace”, in Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza, cit., pp. 221-252).

Quante furono le difficoltà, le incomprensioni, quanti gli ostacoli che incontrò Capitini nella fase preparatoria della Marcia! Soprattutto tra i partiti politici, le amministrazioni comunali, la Chiesa cattolica. Incredibile!

“Le gerarchie ecclesiastiche avevano dato ordine al clero di non partecipare, e nelle chiese era stato detto che quella era una marcia comunista e paracomunista da evitare”(Capitini).

Quella dei cartelli fu “certamente una questione spinosa”.

“Mi parve che fossero da chiarire soltanto dei limiti: nessun cartello di tono violento, nessuna scritta contro la Chiesa e contro correnti ideologiche partecipanti alla marcia (per evitare incidenti), controllo dei cartelli stessi. (…)

Se fossimo stati in molti pacifisti a preparare la marcia, avremmo avuto centinaia e migliaia di cartelli, ma eravamo sopraffatti dal lavoro, non avevamo tanti soldi; aggiungo che molti prendevano volentieri i cartelli preparati da noi, anche se prima non erano del nostro gruppo. Solo che molti di quelli che sono nostri amici, ma non si muovono, avessero creduto più in noi e ci avessero aiutato di più con l’attività e con i denari (l’avvertimento vale per sempre), e avremmo avuto tanti cartelli quanti e più di quelli esclusivamente ‘politici’, il cui elenco mi era stato sottoposto per l’approvazione” (Capitini, Scritti sulla nonviolenza, cit., pp. 236-37).

Quali cartelli dovrebbero scandire il percorso della Marcia di quest’anno?

 

Ottima sarebbe l’apertura della Marcia con le parole attualissime


NON CI SONO “GUERRE UMANITARIE”.

In una foto della prima Marcia (riprodotta sulla copertina del libro di Maurizio Cavicchi, Aldo Capitini. Un itinerario di vita e di pensiero, Lacaita Editore, 2005) si vede Capitini reggere un grande cartello con su scritto SCUOLE NON CASERME. Un altro cartello di quella Marcia aveva la scritta SCUOLE SCUOLE NO ARMI !

Lo slogan che ha contrastato la manifestazione del Comune di Pisa, prima ricordata,

NO AI BAMBINI IN CASERMA

dovrebbe essere ripreso per la Marcia.

Ricordiamo quanto ha scritto Capitini sul Concordato, col quale la Chiesa cattolica ottenne dallo Stato fascista, tra i vari privilegi, anche quello della presenza dei Cappellani militari tra le forze armate, tradendo palesemente il Vangelo della pace. Poiché anche in questo caso il pensiero di Capitini, pur se scomodo, rivela la sua attualità, un altro cartello dovrebbe dire

 

NO AI CAPPELLANI MILITARI.

 

  1. DOPO L’INTERVENTO MILITARE IN LIBIA

Dopo il voto del Parlamento italiano a favore dell’intervento militare nella guerra civile libica, in palese violazione della Costituzione, pur con l’avallo del Presidente della Repubblica, per molti ormai l’appellativo “pacifisti” appare ingannevole e la distinzione dovrebbe essere fatta non fra pacifisti e non-pacifisti, ma tra chi ha fatto la scelta della nonviolenza e gli altri.

Pensiamo ai tanti soggetti che sono coinvolti nella organizzazione della prossima Marcia. Pensiamo ai politici e agli Amministratori che fanno parte del Coordinamento nazionale Enti Locali per la Pace. Tra loro, per esempio, quanti sono quelli che hanno condiviso il voto dei loro partiti favorevoli all’intervento militare in Libia?

Quanti sono quelli che hanno approvato la parata militare del 2 giugno?

Quanti sono gli Amministratori Comunali che hanno promosso manifestazioni come quella dei BAMBINI IN CASERMA del Comune di Pisa, sopra richiamata?

Se la guerra diventa “cultura della difesa”, secondo la proposta di legge passata al Senato, non c’è motivo di allarmarsi?

Se la prossima Marcia non è colta come occasione di mobilitazione contro l’approvazione di quella proposta di legge, non c’è motivo di allarmarsi?

 

CONCLUSIONE

Tutti questi soggetti possono accettare che i cartelli prima proposti scandiscano il percorso della prossima Marcia?

Possono accettare la proposta di emendare il testo della “Mozione del popolo della pace” per adeguarla quanto più possibile al pensiero autentico di Aldo Capitini, espresso dai testi riportati in questo documento?

 

Palmi, 14 luglio 2011

Raffaello Saffioti

Centro Gandhi

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