Come approfondimento alla nonviolenza, pubblichiamo insieme le interviste, realizzate singolarmente da Paolo Arena e Marco Graziotti, della redazione di "Viterbo oltre il muro a Fredo Olivero, Francesco Comina, Crispino Scotolatori, Antonio Vigilante, Massimo Grandicelli, Anna Pascuzzo e Wanda Tommasi.
"Spazio di informazione nonviolenta", è un'esperienza nata dagli incontri di formazione nonviolenta che si svolgono settimanalmente a Viterbo.
Questo ciclo di interviste verrà utilizzato nei momenti formativi realizzati dall'Associazione.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Come è avvenuto il suo accostamento alla nonviolenza?
- Fredo Olivero: Il mio accostamento alla nonviolenza è cominciato nel giugno 1967 con la lettura del testo della scuola di Barbiana, animata da don Lorenzo Milani, Lettera a una professoressa, che venne pubblicato in quei giorni: sconvolse il modo in cui ero stato formato e mi aprì gli occhi rispetto alla lettura della storia recente. Un altro testo che mi preparò culturalmente fu l’enciclica di papa Giovanni XXIII “Pacem in terris” del 1963 nella quale il pontefice si rivolgeva “a tutti gli uomini di buona volontà”, credenti e non credenti, perché la chiesa si deve aprire e guardare a un mondo senza blocchi né muri. La proposta “ricercare ciò che unisce e non ciò che divide!” è stata il punto di lettura degli avvenimenti laici ed ecclesiali.Tutto il tempo del Concilio Vaticano II accompagnò la mia formazione teologica nel seminario per l’America Latina di Verona e mi aprì ad una visione “cattolica” del mondo, cioè universale, sotto la guida di un uomo eccezionale, don Fernando Pavanello, ancora vivo, ma messo da parte dalla Chiesa che contava, anima della chiesa conciliare in America Latina, inviando centinaia di giovani preti “fidei donum” e seguendoli con la sua presenza ogni anno. Negli anni più recenti mi aiutò il collegamento del sindacato italiano con la Polonia di Solidarnosc - sindacato pacifista - in particolare con uno degli uomini migliori, che incontrai e sostenni, pacifista ed obiettore di coscienza Jerzy Popieluszko, ucciso dal potere con il silenzio-assenso della Chiesa che lo vedeva come “un sassolino nella scarpa” da togliere di mezzo con le sue omelie e messe troppo orientate alla solidarietà. Poi la cultura diversa di Gandhi e la rivolta nonviolenta del popolo indiano mi hanno insegnato la possibilità di una nuova strada per la vita “in pace”, sempre smentita dalla scelte di potere, ma valida nelle sue scelte di fondo. Scelta di lotta che liberò il popolo indiano attraverso la resistenza nonviolenta al regime coloniale inglese. Ed, infine, il Vangelo di Cristo, che ancora oggi guida le mie scelte molto critiche nella chiesa cattolica. Certamente non un testo “pacifista”, ma una proposta di fede dove i nonviolenti trovano la loro collocazione. La lettura di Hans Kung (Ciò che credo, 2010) è la sintesi di ciò che anch’io condivido. La teologia della liberazione ha avuto ed ha una base popolare forte nell’America Latina che conosco. La sua strada è oggi di “liberazione e resistenza al potere” anche nella chiesa cattolica, al dominio, per una scelta di servizio dove i poveri sono protagonisti. Nelson Mandela, ed ancora prima le “marce” di Martin Luther King, mi hanno convinto che questa è la strada maestra per una convivenza positiva.
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Francesco Comina: Sono stato come trascinato alla nonviolenza da un sentimento profondo che ho sempre riconosciuto in me, ossia la riprovazione della violenza come contesa umana. Fin da bambino e poi da adolescente quando si razzolava nei cortili a giocare o a incontrarsi in gruppi nelle classiche compagnie di quartiere e di tanto in tanto scoppiavano liti e litigi, anche blandi, sentivo dentro di me questo sentimento di ripudio della violenza che mi ha accompagnato poi per tutta la vita. Lo stesso ripudio lo sentivo in situazioni di maltrattamenti di animali o di vite in genere, anche inanimate (taglio di alberi, devastazioni ambientali ecc). Credo che si siano congiunti degli elementi naturali, di indole personale con elementi di educazione familiare. Mia madre, appassionata lettrice, spesso alimentava questo mio sentimento "nonviolento" leggendomi brani della vita di san Francesco o degli scritti di Gandhi, le lettere di don Milani, i racconti dei sopravvissuti di Hiroshima o della seconda guerra mondiale, brani commoventi di Remarque o di Heinrich Boell o di Thomas Merton. Sentivo, insomma, vibrare quel sentimento umano che ha alitato sulla storia e sulla letteratura.
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Crispino Scotolatori: Negli anni Settanta del secolo scorso, per un insieme di esperienze e riflessioni.
Negli anni della strategia della tensione, negli anni delle stragi di stato, negli "anni di piombo", dinanzi alla diffusa allucinata banalizzazione, supina accettazione e fin infame adorazione della violenza, ed ai concreti tragici ed abominevoli esiti di ciò, mi parve evidente la necessità di scegliere la nonviolenza. Come mi parve evidente la necessità di scegliere la nonviolenza dinanzi ai cancelli del cantiere della centrale nucleare di Montalto di Castro, mentre lottavamo per difendere il pianeta dall'inquinamento e la società dalla militarizzazione.
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Antonio Vigilante: Durante l'adolescenza ho letto molto, in modo anche piuttosto disordinato: e molti dei libri letti erano classici delle religioni, o testi di filosofia orientale. Verso i sedici anni lessi la Bhagavad-Gita, nella interpretazione lirica di Giulio Cogni. Lì incontrai l'idea dell'ahimsa, che mi sembrò subito bellissima. Conoscevo la sofferenza animale - galline vendute al mercato e sgozzate nel tinello di casa, pecore ammazzate nelle masserie del Gargano e poi gonfiate per staccare il vello. All'improvviso tutto ciò mi risultò inaccettabile. A sedici anni diventai vegetariano. Il passo dagli animali agli esseri umani non fu facile. Avevo un carattere non facile, chiuso, ostile. Avevo conosciuto, anche a scuola, la discriminazione classista, e ciò aveva influito non poco sul mio atteggiamento verso i professori e l'istituzione in generale. Avevo, da adolescente, una visione del mondo che si può così sintetizzare: ciò che chiamano Dio non esiste; esiste però il Se', e per raggiungerlo occorre lanciarsi oltre i limiti dell'io. L'apertura alla vita animale mi sembrava una via per sperimentare questo sporgersi verso il Se'; un'altra era, per quello che riuscivo a vedere, la sofferenza stessa. Ma l'amore del prossimo, no. Provavo una rabbia molto forte verso le “autorità”...
Il primo incontro con un pensatore della nonviolenza risale all'università. Avevo deciso di studiare Rensi, un filosofo ateo che è stato tra i pochi filosofi italiani del Novecento che si sia posto il problema della vita non umana. Studiando Rensi, allargai lo sguardo verso altri “minori” della filosofia italiana: e tra questi era Aldo Capitini. Scoprii che era stato anche vegetariano, anzi fondatore della Società Vegetariana: e questo me lo rese immediatamente simpatico. Lessi le sue opere solo molto tempo dopo, ma intanto sapevo di lui, conoscevo il nucleo del suo pensiero. A ventidue anni, dopo la laurea, non ebbi dubbi sulla scelta dell'obiezione di coscienza. Ricordo quando fui chiamato in caserma. Volevano sapere se le cause della mia obiezione erano morali o religiose. Provai a spiegare che può non essere così facile distinguere la morale dalla religione, e che la questione era oziosa. Mi sentii rispondere: “Guaglio', voglio solo sapere se la tua domanda la devo mettere nel mucchio delle 'morali o in quello delle 'religiose'”. “In quello delle 'morali'”, risposi.
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Massimo Grandicelli: Non si è trattato di un vero e proprio avvicinamento. Ho sempre letto molto e, grazie ai miei oltre 67 anni, posso dire di essere stato compagno d’epoca di don Milani, di Capitini e di Dolci; inoltre, la mia formazione intellettuale, oltre che a un’impostazione che oggi potrebbe essere definita liberal-progressista, ricevuta in famiglia, deve molto a Gandhi e a Bertrand Russell, del secondo dei quali ho assorbito pressoché l’intera opera. Per questo ci tengo a precisare che il mio pacifismo e la mia cultura nonviolenta non sono affatto di natura integralista, ma seguono la linea riconducibile proprio a Russell, che finì in carcere perché non interventista durante il primo conflitto mondiale, ma che all’alba del secondo non ebbe alcuna difficoltà a sostenere che davanti a forze come nazismo e fascismo (che definì la copia deforme del comunismo), schierarsi diveniva un fatto di difesa personale e pubblica. Un atteggiamento che trovò sostegno anche in Einstein e altri intellettuali dell’epoca, anche se con varie graduazioni.
La mia posizione non deve essere però essere considerata nei termini di un attivista della nonviolenza: nella frazione del mio tempo che concedo alle varie forme di partecipazione sociale sono attivista di Amnesty International; seguo anche con attenzione la situazione geopolitica mondiale, i suoi rapporti con le risorse disponibili e le ricadute ambientali che ne derivano, nonché la situazione politica del nostro Paese, che considero sempre più infelice.
La mia nonviolenza è pertanto più che altro una filosofia di vita, maturata negli anni della formazione, che non ho più modo di mettere in discussione, anche se, a tratti, mi capita di rileggere Gandhi, don Milani e gli altri, soprattutto quando mi accade di dover sostenere qualche forma di confronto; per il resto ammetto di non essermi aggiornato più che tanto, anche se anni addietro scopersi con sorpresa la figura di Badshah Khan. Negli ultimi anni, il nutrimento della mia teoretica della nonviolenza è debitore quasi esclusivo dei notiziari del Centro di ricerca per la pace di Viterbo.
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Anna Pascuzzo: Sono stata educata alla nonviolenza fin da bambina e, come molte bambine sono cresciuta per fortuna in un ambito familiare sano nel quale la violenza in quanto tale non si coglieva nemmeno nella "sberla" materna. Se nasci e cresci in un contesto in cui la relazione fra gli esseri umani è ricca e civile nello scambio libero delle idee, la direzione della nonviolenza diviene l'unica possibile.
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Wanda Tommasi: Credo di essermi accostata all'idea di nonviolenza attraverso il pensiero di Simone Weil e soprattutto di Etty Hillesum, due autrici su cui ho molto lavorato e che hanno profondamente influito anche sul mio percorso esistenziale.
Come mi parve evidente la necessità di scegliere la nonviolenza nella lotta contro i manicomi e le altre istituzioni totali, e quindi per i diritti umani di tutti gli esseri umani.
Come mi parve evidente la necessità di scegliere la nonviolenza nell'opposizione agli euromissili, perché il disarmo è l'unica via per costruire la pace.
E ancora: riflettendo sugli esiti delle rivoluzioni socialiste novecentesche e solidarizzando coi movimenti che si battevano per la liberazione dell'umanità intera da ogni oppressione; riflettendo sull'orrore dei gulag, dei lager, di Hiroshima e Nagasaki, della guerra del Vietnam, dei regimi dittatoriali e dei poteri terroristici; riflettendo sul dovere di contrastare il colonialismo, l'imperialismo, il totalitarismo, e il militarismo, il maschilismo e il patriarcato: così mi accostai alla nonviolenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali personalità della nonviolenza hanno contato di più per lei, e perché?
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Fredo Olivero: La figura di Cristo, riletta alla luce dei nuovi avvenimenti e delle sue scelte, è forse quella che più mi convince per le mie radici
Il don Milani di Barbiana, rude e talora aggressivo, ma uomo di pace e di nonviolenza (“Lettera ai cappellani militari”) mi ha segnato nelle scelte di chiesa.
I teologi della liberazione (da Gustavo Gutierrez a Vigil, da Frei Betto - che conosco personalmente - a Boff, da Ellacuria a Kung) mi convincono che una lettura seria di questa teologia può rendere nuovamente credibili i cristiani e la chiesa fatta di cristiani battezzati (quindi sacerdoti), protagonisti possibili per un tempo in cui la chiesa si svestirà dei compromessi con i poteri corrotti e non, senza più credere nel potere delle “banche armate”, degli eserciti.
Infine uomini come Popieluszko, ucciso perché aveva data la parola libera agli operai (40.000) delle Fonderie Nova Huta, che davanti alla chiesa di S. Stanislao Kosta prendevano la parola (ogni primo venerdì) per commentare in modo liberante il Vangelo coniugato con una vita di liberazione che sentivano vicina e che ritrovavano nella rilettura del Vangelo.
Oggi Gandhi pesa ancora nelle scelte mondiali: pochi, pero', lo scelgono fino in fondo come modello. Sono tentati, ma solo a parole, poi i fatti li smentiscono.
Uomini come Sereno Regis (e l’associazione fondata da Nanni Salio e a Sereno Regis intitolata dopo la sua morte per ricordare le sue scelte ed approfondirle) mi hanno insegnato a fare un sindacato liberante prima (e non solo promotore di diritti economici!) e, poi, un lavoro di integrazione pacifica tra immigrati e nativi. Cosa possibile se ai muri si sostituiscono guadi e ponti.
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Francesco Comina: Devo dire che padre Ernesto Balducci è stato per me uno dei riferimenti più importanti per il mio accostamento alla cultura della pace e della nonviolenza. Non solo i suoi scritti e le sue conferenze, che mi hanno acceso la passione per l'approfondimento, ma anche la sua opera di mediazione e di divulgazione dei grandi testimoni della pace che egli ci ha lasciato in libri per me fondamentali come quello su Gandhi, su Giorgio La Pira, su Francesco d'Assisi, su Papa Giovanni, ma anche il suo tentativo di elaborare un pensiero universale che aprisse le coscienze dei giovani in una dimensione planetaria come lui amava dire. Su questo versante è stato importante per me l'incontro con Raimon Panikkar, l'uomo ponte fra oriente e occidente, il pensatore capace di rappresentare le varie anime religiose e culturali dal di dentro, da una combinazione di dna, potremmo dire, ossia dal suo essere al tempo stesso cristiano e induista: "Sono nato cristiano, mi sono scoperto indù e torno buddhista, senza però mai perdere la mia fonte identitaria che è stata quella cristiana". Credo che Panikkar abbia dato un contributo fondamentale al tema della pace e della nonviolenza rappresentando il problema non tanto sul piano razionale, quanto piuttosto sul piano esistenziale. Un altro incontro che mi porto nel cuore è stato quello con Alexander Langer, mio conterraneo, un distruttore di muri e un infaticabile costruttore di ponti. La sua morte prematura ha incrinato fortemente quella flebile linea di una prassi politica e istituzionale che potremmo definire pacifista, o comunque permeata dall'orizzonte della cultura della pace. Altri incontri e amicizie sono state per me importantissime, quella con Ryszard Kapuscinski che ebbi l'onore di ospitare a Bolzano per alcuni giorni nel suo ultimo viaggio terreno nell'ottobre del 2006; la sua lezione all'università sul tema dell'altro ha fatto storia. Oppure quella con Adolfo Perez Esquivel, il grande difensore dei diritti umani e ambientali, quella con Alex Zanotelli, con Rigoberta Menchu', con Arturo Paoli, con Ivan Illich, con Johan Galtung, Leonardo Boff, frei Betto, Danilo Dolci, e molti altri testimoni del nostro tempo. E debbo molto anche agli amici feriali e al loro infaticabile impegno per la diffusione di una cultura del nonviolenza e della pace come Enrico Peyretti, Peppe Sini, Raniero La Valle, Ettore Masina, Mao Valpiana, Lidia Menapace, Tonio Dell'Olio, Luigi Adami, Achille Rossi, Giuliana Martirani, Luigi Bettazzi, Gianni Novelli e Gianni Novello, don Ciotti e molti altri che in un modo o nell'altro intrecciano i fili della speranza.
Poi ovviamente i grandi maestri, Gandhi, Martin Luther King, Tolstoj, Teilhard de Chardin, Lanza del Vasto, che hanno costruito le fondamenta della cultura nonviolenta.
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Crispino Scotolatori: È difficile dirlo, anche perché la mia interpretazione della nonviolenza è articolata, complessa, contestuale ed aperta, cosicché in essa colloco persone, esperienze e riflessioni che forse per altri (e soprattutto per chi riduce la nonviolenza a museo e canone, a sfilata di autorità e ricettario di dogmi - ed è evidente che la mia opinione è esattamente opposta a tale impostazione) non sarebbero ad essa omogenei; e viceversa non condivido affatto talune esperienze e riflessioni di personalità pur illustri e comunemente ritenute simboli della nonviolenza.
Inoltre alla scelta della nonviolenza non arrivai per così dire come una tabula rasa, da ingenuo apprendista, ma da militante e dirigente politico già formatosi alla scuola del marxismo critico e antitotalitario, nella nonviolenza trovando non una conversione, ma un approfondimento e un inveramento dei miei stessi pensieri, una rigorizzazione delle mie stesse idee e pratiche e per così dire un'apertura ulteriore, sperimentale, coerente e aggettante.
Detto questo, volendo pur rispondere, distinguerei tra autori che hanno influito su di me per averne letto le opere, come ad esempio Mohandas Gandhi e Vinoba Bhave, Martin Buber ed Erich Fromm, Herbert Marcuse e Gyorgy Lukacs, Ernst Bloch e Guenther Anders, Aldo Capitini e Lanza del Vasto, Virginia Woolf e Carla Lonzi, Ivan Illich e Murray Bookchin, Emmanuel Levinas e Gregory Bateson, Hans Jonas e Colin Ward; persone le cui lotte mi sono parse condivisibili ed esemplari, come ad esempio quelle di Rosa Luxemburg e di Martin Luther King; e persone che ho avuto la ventura di incrociare nel cammino della vita, e tra queste ultime i primi nomi che mi vengono in mente sono quelli di Tomaso Serra, Primo Levi, Ernesto Balducci, Rosanna Benzi, Franco Fortini, Alexander Langer, Vittorio Emanuele Giuntella, Benny Nato, Danilo Dolci, Norberto Bobbio...
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Antonio Vigilante: Aldo Capitini, indubbiamente. E poi Danilo Dolci, Tolstoj, Gandhi. In Capitini c'è una filosofia della nonviolenza che è a mio avviso di altissimo valore anche filosofico. Mi spiace molto che sia praticamente sconosciuto all'estero. Dolci invece è più conosciuto all'estero che in Italia. Ricordo il modo sbrigativo in cui il 30 dicembre del '97 il telegiornale diede la notizia della sua morte. Meno di un minuto, e nessun servizio, per un uomo che era stato candidato al Nobel per la pace, per una vita spesa interamente a favore degli ultimi. Il nostro è un paese che onora i criminali di Stato, e che disprezza i grandi.
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Massimo Grandicelli: Gandhi in primo luogo, che rimane di una universalità senza pari, anche se, ripeto, il suo messaggio risente della particolare cornice del rapporto India-Inghilterra, che aveva colonizzato il paese imponendo persino la lingua, sia pure con il metodo soft di condizionarvi l’accesso a determinate cariche pubbliche.
Poi tutti gli altri che ho nominato. Aggiungo però che la nonviolenza difficilmente può scaturire dalla semplice lettura di un testo, il quale può al più costituire un supporto ad adiuvandum; essa è infatti un modo di essere e può derivare direttamente solo da un’impostazione mentale aperta basata sul rifiuto di qualsiasi assoluto o dogma. Sotto tale punto di vista è possibile ricondurre le cause di un siffatto sviluppo del pensiero (oltre che direttamente alla cultura dell’ambiente in cui ci si sviluppa) indirettamente a un numero veramente sterminato di soggetti, anche non direttamente connessi al tema, protagonisti di arte, cultura, politica e scienza, da Pericle a Cicerone, a Seneca, dagli Scolastici a Dante, a Petrarca, dagli Umanisti ai giganti del pensiero, soprattutto scientifico, sei-settecentesco, come Cartesio, Galilei e Newton, agli Illuministi, per finire nel nostro tempo (e mi scuso per il riassunto superveloce).
La nonviolenza è poi fenomeno squisitamente moderno, quando finalmente si sono creati gli assetti politico-sociali in grado di consentire la messa in discussione della guerra, per millenni strumento di politica nell’indifferenza generale, tranne che delle vittime, che però sono state a lungo prive del diritto di parola.
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Anna Pascuzzo: Amo molto Gandhi ma lo apprezzo più per il coraggio che come simbolo di nonviolenza. Credo che sia stato un uomo molto coraggioso ancor prima del non essere violento. Ho amato e continuo ad amare le donne del femminismo italiano, da quelle dell'800 (Anna Maria Mozzoni e Anna Kuliscioff) alle più recenti donne coraggiose nelle loro battaglie per i diritti, ma mai violente nella rivendicazione degli stessi (Luisa Muraro, Lidia Ravera, Lidia Menapace, Lorenza Rozzi, ecc.).
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Wanda Tommasi: Simone Weil e Etty Hillesum hanno contato molto per me in questo senso: Simone Weil con la sua idea di decreazione, che è un ritrarsi per fare posto all'altro e a Dio, e Etty Hillesum con il suo rifiuto di rispondere alla violenza con l'odio. Soprattutto grazie a quest'ultima, ho scoperto la fecondità della non resistenza al male, il tentativo di sovrastare l'odio con un di più di amore, in una pratica che è stata giustamente definita di resistenza esistenziale.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali libri consiglierebbe di leggere a un giovane che si accostasse oggi alla nonviolenza? E quali libri sarebbe opportuno che a tal fine fossero presenti in ogni biblioteca pubblica e scolastica?
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Fredo Olivero: I libri che consiglierei sono: i testi di Gandhi; i messaggi di Martin Luther King; Lettera ad una professoressa di don Milani e della scuola di Barbiana; le riflessioni raccolte nella biblioteca di un centro come il "Sereno Regis" (anche se non pochi sono i libri, ma più interessanti le loro dispense e ricerche); la Pacem in terris di Giovanni XXIII ed alcuni testi della Teologia della Liberazione (anche al femminile). Poi “esperienze di intercultura” come il Cem o - più piccole - come l’Asai di Torino (che da dieci anni fa crescere giovani e ragazzi, a centinaia, senza confini!). Sono gli stessi che metterei in una biblioteca.
Sul piano interreligioso, tutti i testi che affrontano il tema con il coraggio di leggere le diverse fedi per metterle in dialogo, senza pensare alla “superiorità” di una, ma leggendole tutte come strade per cercare Dio.
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Francesco Comina: Beh, direi innanzitutto i classici, dall'Utopia di Tommaso Moro al Lamento della pace di Erasmo da Rotterdam, dalla Brevissima relazione sulla distruzione delle indie di Bartolomè de Las Casas a Per la pace perpetua di Kant e via discorrendo fino alla Disobbedienza civile di Thoreau.
Venendo al Novecento credo sia di fondamentale importanza leggere le testimonianze dei sommersi e dei sopravvissuti alla shoà, dal Diario di Anna Frank ai libri di Primo Levi, ma anche quei coraggiosi che si sono opposti ai totalitarismi pur non essendo perseguitati, come la vicenda dei giovani della Rosa Bianca, raccontata da Paolo Ghezzi in La Rosa Bianca, un gruppo di resistenza al nazismo in nome della libertà o quella di Franz Jaegerstaetter (Giampiero Girardi, Franz Jaegerstaetter un contadino contro Hitler) o Josef Mayr Nusser (Non giuro a Hitler).
Fondamentale è pure il racconto della costruzione e del lancio della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki con la lettura dei racconti dei sopravvissuti.
Ovviamente fondamentali per una cultura nonviolenta sono i libri di Capitini, le note di Giorgio La Pira per una città della pace, gli scritti di don Lorenzo Milani in particolare la Lettera ai giudici, ma anche le testimonianze nonviolente delle prime comunità che posero il problema del primato della coscienza come quelle dei giovani testimoni di Geova, di Pietro Pinna e quella di Giuseppe Gozzini, che accese il dibattito nazionale con il coinvolgimento di padre Balducci. Italo Mancini, L'ethos dell'occidente, Tornino i volti. Fondamentale in una libreria della nonviolenza è l'antologia gandhiana curata da Giuliano Pontara Teoria e pratica della nonviolenza; ma anche e sempre di Giuliano Pontara La personalità nonviolenta. E ancora: Gandhi: La mia vita per la liberta. Thomas Merton è un altro autore che è fondamentale, in modo particolare il suo Semi di distruzione, Gandhi e la nonviolenza, Nessun uomo è un isola. Ancora Thich Nhat Hanh e tutto il suo lavoro sul rapporto fra spirito e nonviolenza. Ivan Illich: Descolarizzare la società, La convivialità, Nemesi medica; Renè Girard: La violenza e il sacro, La spirale mimetica; Emmanuel Levinas: La traccia dell'altro, Totalità e infinito; Simone Weil: L'ombra e la grazia; Hannah Arendt: La banalità del male; Paulo Freire, La pedagogia degli oppressi, Educazione come pratica di liberazione. Un altro libro che deve stare in una libreria nonviolenta è quello di Raniero La valle e Linda Bimbi che ricostruisce la storia di Marianella Garcia Villas nel Salvador devastato dalla guerra civile, Marianella e i suoi fratelli; quello di Ettore Masina su Monsignor Romero L'arcivescovo deve morire; quello di Joan Jara sulla drammatica fine del marito Victor Jara nel Cile di Pinochet, Victor Jara, una canzone infinita. Altri libri da archiviare sono quello di Marcos Ana sulla sua storia di detenuto per ventidue anni nelle carceri franchiste dal titolo Ditemi com'è un albero, e la straordinaria testimonianza dei sette monaci trappisti uccisi dagli integralisti islamici in Algeria nel 1996: Più forti dell'odio. E moltissimi altri tanto che ci vorrebbe un solo libro per dire quanto è stato scritto e testimoniato sul tema della nonviolenza.
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Crispino Scotolatori: Se dovessi dire undici riferimenti che hanno contato nel mio personale accostamento: i tragici greci, Erasmo, Cervantes, Diderot, Leopardi, Melville, Dostoevskij, le lettere dei condannati a morte della Resistenza, Primo Levi, Franco Basaglia, il femminismo.
Se dovessi dire undici libri per un giovane d'oggi: Giuliano Pontara, L'antibarbarie; Vandana Shiva, Il bene comune della terra; gli atti del processo a don Lorenzo Milani, L'obbedienza non è più una virtu'; l'antologia a cura di Ernesto Balducci e Lodovico Grassi, La pace. Realismo di un'utopia; Mohandas Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza; Aldo Capitini, Scritti sulla nonviolenza; di Hannah Arendt tutte le opere; tutti gli scritti di Simone Weil; la Bibbia (ebraica e cristiana) tradotta in francese da Andrè Chouraqui; l'Autobiografia di Bertrand Russell; Politica dell'azione nonviolenta di Gene Sharp.
Se dovessi dire undici libri che sarebbe bene fossero in ogni biblioteca: la storia della letteratura greca di Albin Lesky, quella della letteratura latina di Concetto Marchesi, quella italiana di Francesco De Sanctis; qualunque opera di Norberto Bobbio; la storia e il dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano e la storia del pensiero filosofico e scientifico di Ludovico Geymonat; i Quaderni del carcere di Gramsci; Arcipelago Gulag di Solzenicyn; Nato di donna di Adrienne Rich; tutti i racconti di Tolstoj; la Brevissima relazione di Bartolomè de Las Casas.
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Antonio Vigilante: Probabilmente La persuasione e la rettorica di Michelstaedter. Mi sembra che in quel libro vi sia tutto. Ma non sono sicuro che la nonviolenza sia qualcosa che si impara dai libri. Dai libri si impara a definirsi, a pensarsi come nonviolenti - o “amici della nonviolenza”, come diceva Capitini. Ma la prassi è un'altra cosa.
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Massimo Grandicelli: L’opera di Gandhi, Capitini, Dolci e don Milani rimane un esempio di sinteticita’; i loro più attuali epigoni sono più analitici e meno immediati nella fruibilita’. Russell richiede per un giovane un certo sforzo; infatti, non poche delle sue tesi possono oggi apparire a un giovane nato e vissuto nella disinibita cultura attuale come superate; diversamente andava per l’epoca fascista e ancor più nel dopoguerra, quando costituirono altrettante sorgenti di libertà e verità in un periodo bigotto e oscurantista, in cui gli inossidabili avanzi di fascismo, sposati al clericalismo imperante, rendevano dura la vita a chiunque volesse mettere in discussione i dogmatismi “di stato” in misura persino più intensiva che nel ventennio; si tratta tuttavia di una patina dovuta al tempo; la sua concezione della libertà di pensiero e del rispetto per gli altri rimane tuttora un modello.
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Anna Pascuzzo: il libro che in ogni caso consiglierei ad un adolescente, ripeto in ogni caso, è il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery... credo che un libro del genere vada letto e riletto più volte nella vita.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative nonviolente in corso oggi nel mondo e in Italia le sembrano particolarmente significative e degne di essere sostenute con più impegno?
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Fredo Olivero: Parto dall’Italia: per me fu significativa, anche personalmente, l’obiezione alle spese militari, la stessa obiezione di coscienza al servizio militare (diventata in molti casi non condivisa dagli stessi obiettori ma scelta più “comoda” del servizio militare). Fece riflettere i giovani degli anni ’80-’90.
Oggi sono significativi: tutti i cammini di dialogo ed integrazione culturale fatti con i nuovi cittadini ed i nativi (soprattutto giovani).
In questi ultimi dieci anni, per me, ha molto senso il lavoro orientato a superare muri e steccati con il dialogo, il confronto, la composizione dei conflitti.
Insieme a questi hanno significato, perché si pongono nella linea della costruzione di pace vera, movimenti come Libera, le associazioni e le cooperativa di resistenza alle mafie.
Infine i lavori di riflessione di centri di cultura per la pace (il Centro Studi "Sereno Regis" e il vostro “La nonviolenza è in cammino”) ci permettono di ragionare e proporre percorsi diversi di convivenza, di capire come si potrebbero reperire ed investire le risorse sociali ed economiche in un paese senza guerre ("di pace") e senza eserciti.
A livello mondiale, tutti i movimenti per i diritti umani (non credo molto all’efficacia di centri come l’Onu, l’Unesco, frutto di mediazioni e poteri imposti, se non diventano “operatori di pace”, non creatori di “eserciti di interposizione” tra le parti!).
L’esperienza dell’economista Yunus mi ha molto interessato (forse perché l’avevo provata con i “sem terra” in un progetto brasiliano a Rio de Janeiro): il microcredito, il prestito dato a chi non ha le garanzie richieste dalle banche per la restituzione, la garanzia sulla parola tua e della famiglia. Questa è una forma vera di nonviolenza verso i poveri e di fiducia!
La teologia della liberazione, i movimenti indigeni, i "sem terra" hanno, di volta in volta, avanzato proposte di pace con i rischi di violenza se non è controllata. Ma passa attraverso questi cammini la composizione dei conflitti sociali e l’educazione concreta alla nonviolenza come stile di vita.
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Francesco Comina: In America Latina ci sono ancora troppe verità nascoste sui terribili eccidi che hanno insanguinato la storia del continente nella seconda metà del Novecento. Il movimento delle donne di plaza de Mayo in Argentina va sostenuto e incoraggiato; così gli importantissimi progetti per togliere i ragazzi dalle strade e liberare le periferie da una violenza divenuta endemica; importantissimo in tutta l'America è il movimento contro il commercio e la vendita di armi da fuoco. Abbiamo fortemente sostenuto il referendum che il presidente Lula aveva promosso in Brasile ma purtroppo hanno vinto ancora una volta gli interessi delle imprese. La lotta contro il femminicidio, una piaga che purtroppo è terribilmente diffusa in varie parti dell'America Latina e in primo luogo in Messico. In Africa vanno sostenuti i progetti per debellare la piaga dei bambini soldato attraverso nuove opportunità di formazione e di educazione per i "figli di nessuno". In Medio Oriente vanno sostenuti tutti quei tentativi di porre una alternativa possibile all'obbligo di leva, come nel caso di Israele. Vanno sostenuti i refusnik, ossia quei giovani che si rifiutano di servire lo stato con le armi dentro una logica di opposizione al "nemico" palestinese. Vanno incoraggiati tutti quei luoghi di incontro e di convivenza fra israeliani, palestinesi, ebrei, cattolici, musulmani ecc. In Europa va rafforzato ancora di più il diritto all'obiezione di coscienza e all'obiezione alle spese militari. Va poi allargato il tema della nonviolenza anche a quel corpo più esteso del corpo umano che è la terra, la Pachamama. In questo senso le sfide sono enormi, dalla difesa nonviolenta dei beni essenziali come l'acqua, le foreste, le montagne. Tutti quei movimenti che lottano per la salvaguardia dell'ambiente coinvolgono direttamente anche l'azione nonviolenta.
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Crispino Scotolatori: Quanto alle iniziative nel mondo: credo di non avere un'informazione sufficiente, e temo quindi di dire cose ovvie, o generiche. Tutte quelle per la pace, la smilitarizzazione e il disarmo; tutte quelle per la difesa della biosfera; tutte quelle per i diritti umani di tutti gli esseri umani; e comunque solo quelle che esplicitamente si oppongano al maschilismo e al patriarcato, che è il criterio dirimente per decidere se una iniziativa meriti di essere sostenuta: dove non c'è opposizione alla violenza maschilista e patriarcale, quell'iniziativa può essere molte cose ma comunque non è nonviolenta.
In Italia: su molte cose spacciate per "nonviolente" ho opinioni alquanto critiche; e talune le ritengo scandalose mistificazioni. Due impegni che ritengo fondamentali sono quello contro la guerra e quello contro il colpo di stato razzista.
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Antonio Vigilante: Ho studiato la resistenza nonviolenta in Birmania, sulla quale ho scritto un saggio che dovrebbe uscire in un libro collettivo. Mi sembra una lotta importante, anche se non priva di contraddizioni. Ma forse è anche importante riprendere esperienze del passato. Penso, per l'Italia, ai Cos di Capitini ed ai gruppi maieutici di Danilo Dolci.
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Massimo Grandicelli: Non sono molto al corrente sulle iniziative specifiche in materia, per i motivi esposti prima; tuttavia, le iniziative contro le guerre e le dittature di qualsiasi forma e dimensione rivendicano certo la priorità, anche se le forme in cui la violenza si manifesta sono molte e subdole; in proposito, un ruolo fondamentale è rivestito dall’informazione: non si può combattere ciò che non si conosce e per combattere occorrono informazioni; in questo, il ruolo del Centro di Viterbo è fondamentale e mi risulta unico in Italia.
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Anna Pascuzzo: In Italia e nel mondo per fortuna si svolgono numerose iniziative contro la violenza, quelle che sostengo io personalmente (anche in quanto fondatrice del movimento antirazzista qui a Catanzaro) è appunto il movimento antirazzista internazionale, ritengo infatti che la discriminazione sia la matrice di ogni violenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: In quali campi ritiene più necessario ed urgente un impegno nonviolento?
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Fredo Olivero: Se mi riferisco all’Italia, credo sia quello della cultura della convivenza tra diversi. L’immigrazione va affrontata, prima, sul piano culturale, poi sociale. Capire che è una risorsa, che una nuova cultura è positiva anche se è diversa, è essenziale per ogni intervento sociale.
Poi, in ambito scolastico: istituzione che ha quasi abbandonato questo impegno.
Sul territorio con i giovani, perché riescano a trovare le ragioni per convivere senza “distruggere l’altro”.
Vi è poi l’ambito ecologico: la nonviolenza verso la “terra madre”, rispetto in ogni campo per lasciare una terra migliore (l’unica dove vivere oggi) alle generazioni future. Anche la non privatizzazione dell’acqua e', per l’Italia, oggi, un cammino sul divieto di condizionare la vita dei poveri comprandosi le risorse insostituibili!
A livello mondiale: vanno ripensate e terminate le “guerre di pacificazione” (Iraq, Afghanistan, Somalia, Sudan) e, quindi, il lavoro per trovare vie per il dialogo ed il sostegno allo sviluppo, investire i fondi nello sviluppo sostenibile (microcredito, sostegno alle iniziative che combattono l’emarginazione). Per gli immigrati: “aiutarli a restare a casa loro”, ma con dignità e riconoscimento dei diritti, investendo risorse vere subito.
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Francesco Comina: In politica credo sia fondamentale che il principio della nonviolenza diventi l'orizzonte non solo di stile e di prassi ma anche di organizzazione dello stato. Nella chiesa la nonviolenza dovrebbe diventare anima e spirito di una religione accogliente, aperta, solidale, umile e povera. Sarebbe importante tornare e approfondire il Cristo nonviolento sulla linea delle riflessioni balducciane.
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Crispino Scotolatori: Cosa rispondere? In tutti. Ma se si intende su cosa proporrei di concentrare oggi le forze qui in Italia, allora direi - lo ripeto - nell'opposizione alla guerra e nell'opposizione al colpo di stato razzista.
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Antonio Vigilante: Danilo Dolci distingueva con cura due cose: il potere ed il dominio. Il potere è possibilità di fare, e come tale non è negativo. Il dominio è invece qualcosa che blocca la possibilità di fare degli altri. Per Dolci, bisognava estendere il potere della gente combattendo il dominio. Questo mi sembra oggi il principale compito della nonviolenza. Esistono sistemi di dominio che diventano sempre più coriacei, difficili da scalfire, mentre il potere individuale - che non è possibile se non attraverso forme di incontro, confronto, organizzazione dal basso - si riduce sempre piu'. Abbiamo una società disgregata, fatta di individui senza più vincoli, resi apatici e spaventati dalla televisione, che orientano la loro frustrazione verso i bersagli indicati dal dominio: i più deboli, i non conformisti, i diversi.
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Massimo Grandicelli: La nonviolenza è una necessità in tutti i campi dell’umano agire; non c’è segmento della politica e del sociale, in tutte le sue articolazioni, che non ne sia interessato; purtroppo in un’epoca i cui si osannano indegnamente i valori dell’individualismo più sfrenato, gabellati per superiorità, e si rinnega la cultura della collaborazione, che ha permesso all’umanità di sollevarsi dal paleolitico in qua, inneggiando a una malintesa competizione, il cui vettore è esattamente inverso, le iniziative sono certo in numero inferiore al necessario. Premesso pertanto che è necessario avere un occhio fisso alle tematiche della guerra, della criminalità, in particolare quella cosiddetta organizzata, dei diritti della donna, dei lavoratori, dei migranti e in genere di tutti gli oppressi, ritengo fondamentale mantenere l’attenzione rivolta al principio comune, di cui i casi elencati rappresentano solo applicazioni, che lo contengono come invariante; la sopraffazione dell’uomo sull’uomo è infatti un atteggiamento che si può rintracciare continuamente persino nei solo apparentemente innocenti rapporti di lavoro tra un coordinatore e un esecutore, quale che sia il contesto. È quindi necessaria un’opera di educazione veramente fondamentale, che però non scorgo neppure in embrione.
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Anna Pascuzzo: Il settore è sempre quello della "diversità". Essa per fortuna è ovunque e in ognuno, discriminarla e tentare di negarla significa fomentare violenza (pensiamo a chi è omofobico, razzista e fascista, il più delle volte è solo un imbecille che non accetta la diversità, perché non conoscendola la teme).
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali centri, organizzazioni, campagne segnalerebbe a un giovane che volesse entrare in contatto con la nonviolenza organizzata oggi in Italia?
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Fredo Olivero: Non segnalo le grandi iniziative mondiali, da tutti conosciute.
Mi fermo a casa nostra. Il vostro centro e', per l’Italia, un riferimento soprattutto culturale: esame di esperienze, proposte, riflessioni. Poi i centri (limitati) di ricerca della pace: dalla catena di Peacelink, ai vari centri di difesa della natura, dal Centro Studi Sereno Regis a Pax Christi.
Vorrei, però, sottolineare l’importanza di associazioni nate con altri obiettivi, ma che, in realtà, usano il metodo nonviolento. Indico, una per tutte, l’Asai (Associazione di animazione interculturale) che da dieci anni sul territorio delle “periferie del centro” di Torino (luoghi di prima immigrazione) fa incontrare centinaia di giovani di cinquanta diverse nazionalità, che, nella scuola e nel territorio, si confrontano, si incontrano, fanno doposcuola, passano insieme i “centri estivi” o i campi di riflessione.
Inoltre, i gruppi ecumenici, i centri per la “composizione dei conflitti” (vedi Gruppo Abele). Coloro che lavorano per l’integrazione dei rifugiati come il “Centro Astalli” di Roma, il coordinamento “Non solo asilo” di Torino, “Terra del fuoco” che si occupa dell’integrazione dei Rom, le iniziative di contrasto alla soluzione violenta dei conflitti come il Centro Caritas di Milano (don Colmegna).
Questi sono quelli che seguo direttamente.
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Crispino Scotolatori: Il Movimento Nonviolento, che con tutti i suoi limiti resta un punto di riferimento fondamentale. Poi questo notiziario. E comunque solo quei centri, quelle organizzazioni e quelle iniziative che tra i criteri-valori di riferimento hanno l'opposizione al potere maschilista e patriarcale.
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Antonio Vigilante: Mi piacerebbe poter dire: la scuola. Ma purtroppo non è cosi'. A scuola si dovrebbero imparare le cose essenziali della nonviolenza. Si dovrebbe imparare a comunicare, ad organizzarsi, a crescere insieme nella ricerca della verità, a far valere il proprio potere. Si impara invece l'ipocrisia, la genuflessione, la ripetizione vuota di nozioni, il tutti contro tutti. Il mio consiglio è di guardarsi intorno, partire dal locale, cercare di capire nella propria città quali sono le forme di dominio, e quali le forze che le contrastano: ed associarsi a quelle forze.
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Massimo Grandicelli: Gli consiglierei di iscriversi nella lista di questo notiziario e di seguirne con attenzione i solo apparentemente ripetitivi messaggi e la preziosa bibliografia. Poi gli consiglierei di attivarsi presso un’organizzazione come Amnesty o Emergency, solo però dopo averlo messo in guardia di non aspettarsi miracoli; qualsiasi organizzazione umana, infatti, presto si inquina di personaggi le cui finalità sono tutt’altro che trasparenti.
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Anna Pascuzzo: Il movimento antirazzista.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Come definirebbe la nonviolenza, e quali sono le sue caratteristiche fondamentali?
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Fredo Olivero: La nonviolenza è la soluzione dei conflitti senza l’uso della forza fisica, repressiva, impositiva della armi, ma attraverso la composizione tra le persone, nella società, tra culture e popoli con forme di dialogo, confronto, nel pieno rispetto dei diritti di tutti, anche dei più deboli.
Le caratteristiche fondamentali sono: il rispetto di tutte le persone (e tutti i viventi), mettendole sullo stesso mio piano e, quindi il rispetto e la valorizzazione dei diritti umani; la considerazione positiva delle diverse culture, lingue, religioni; la volontà di convivenza attraverso il dialogo rispettoso; la rinuncia ad ogni forma di uso della forza contro un altro: togliere la vita (pena di morte) è un reato contro l’umanità; la fine dell’utilizzo degli eserciti armati per risolvere militarmente le ragioni dei conflitti tra i popoli; la creazione di una nuova cultura che prepari gli uomini a convivere pacificamente nel dialogo e nel rispetto reciproco; l’eliminazione dalla religioni ufficiali di ogni giustificazione all’uso della forza in nome di Dio e della fede.
Direi, in particolare, la rinuncia ad andare sempre ad un confronto legale, della giustizia formale, rinunciando a qualche diritto non essenziale per trovare l’accordo: composizione dei conflitti.
E, questo, tra persone, gruppi, stati.
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Francesco Comina: La nonviolenza è un cuore di carne che si accosta ad altri cuori di carne. La nonviolenza è la vita e la vita è la nonviolenza. Liberare la vita equivale ad agire con nonviolenza. Opprimere la vita è fare violenza.
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Crispino Scotolatori: La nonviolenza è la lotta contro la violenza.
Poi: la nonviolenza è la lotta contro la violenza.
Infine: la nonviolenza è la lotta contro la violenza.
E poi è molte altre cose ancora: l'ascolto e il rispetto dell'altro; la compresenza dei criteri dell'empatia, della contestualità, del fallibilismo e della reversibilità; la coerenza tra i mezzi e i fini; la responsabilità; la misericordia.
Ad ogni dogmatismo e ad ogni astrattezza opporre l'amore per il particolare, il concreto, l'irriducibilmente singolare. Mai accettare la massima totalitaria "Fiat iustitia, pereat mundus".
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Antonio Vigilante: Da qualche parte ho scritto: "Nonviolenza è guardare il mondo dal punto di vista del debole, dello svantaggiato, dell'escluso, dello sconfitto. È assumere quello stesso sguardo, quella stessa sofferenza come propria. È rifiutare strenuamente qualsiasi giustificazione che possa essere addotta per la realtà della sofferenza umana".
Dal mio punto di vista, esiste un nesso naturale ed essenziale tra nonviolenza ed anarchismo. Entrambi cercano una società di persone che abbiano un potere reale, senza gerarchie, senza dominio.
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Massimo Grandicelli: Come il rifiuto di concepire i rapporti con qualcuno o qualche cosa in termini di prevaricazione.
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Anna Pascuzzo: Per non incorrere in errori di valutazione o in ambiguità che genererebbero equivoci, intendo precisare che "nonviolenza" non significhi "non reagire". Io non aggredirò mai nessuno, ma nella disgraziata ipotesi in cui sia aggredita, o ci sia un tentativo di violenza nei miei confronti, mi difenderò in qualunque modo. È la mia vita e desidero viverla, non permetterò a nessuno, finché avrò forza e fiato per farlo, di violentarmi.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e femminismo?
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Fredo Olivero: È la parte femminile della rivolta del ’68 rimasta in piedi. Non voglio fare valutazioni, anche se ho conosciuto bene questo aspetto all’interno del sindacato e nella città. La lettura della storia quotidiana fatta dalle donne è una grande risorsa: ci ha fatto scoprire aspetti normalmente sottovalutati e, talora, ignorati. Ci sono settori di questo movimento che utilizzano la stessa nonviolenza partendo da un ambito più sottovalutato del potere sociale. Utile, quindi, culturalmente e socialmente, si può lavorare insieme a chi è convinto di questo cammino.
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Francesco Comina: Penso a quella bellissima riflessione del filosofo Italo Mancini a proposito del principio femminile come principio nonviolento, ossia come principio che è all'opposto di quello maschile che ha dominato la storia del mondo e che è quel principio che ha costruito e alimentato lo spirito della guerra, della forza e della contesa violenta. Un principio, quello maschile, che ha negato la vita all'opposto di quello femminile creatore di vita, custode della creazione, un principio della responsabilità, della tenerezza, della carezza, della forza creativa. Questo non significa che la donna è un essere nonviolento per principio e l'uomo un essere violento. Ci sono donne fortemente avvolte dal principio maschile della guerra, della violenza e uomini permeati dal principio femminile. Il femminismo come movimento diffuso ha posto il tema dei diritti della donna al centro del dibattito politico, civile, etico, storico. Ha assunto il tema della pace come suo tema.
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Crispino Scotolatori: Il femminismo è l'esperienza storica maggiore e decisiva della nonviolenza. Senza lotta contro il potere maschilista e patriarcale non si dà nonviolenza.
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Antonio Vigilante: È noto che Gandhi ha imparato molto dalla lotta delle femministe in Inghilterra. Meno note sono le idee di Gandhi in fatto di rapporti tra i sessi. Per Gandhi le donne non devono lavorare, il loro posto è la casa; nè sono concepibili cose come la contraccezione o l'aborto. Su quest'ultimo punto, in particolare, mi sembra che sia difficile che la tradizione nonviolenta e quella femminista si incontrino. Dal mio punto di vista, che come detto è quello di chi è attento soprattutto alla zona di confine tra nonviolenza ed anarchismo, trovo poi fastidiosa una certa riscoperta dell'autorità da parte delle femministe italiane del gruppo di Diotima.
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Massimo Grandicelli: Il femminismo fu/è una reazione a una concezione violenta, perché prevaricante, dei rapporti uomo/donna; tuttavia ha anche assunto forme in cui non è difficile percepire un’applicazione inversa di quello stesso fenomeno che si proponeva di combattere.
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Anna Pascuzzo: Io sono femminista e la nonviolenza è la mia pratica femminista di relazionarmi con gli uomini, le donne e il mondo.
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Wanda Tommasi: Non tutto il femminismo, ma le pratiche del femminismo della differenza sessuale mi sembrano nonviolente nella loro impostazione di fondo: in esse, infatti, non sono al centro le rivendicazioni nè le recriminazioni nei confronti del soggetto maschile, ma è al centro piuttosto il senso libero di essere donna, da coltivare e nutrire nelle relazioni innanzitutto con altre donne, ma anche con uomini. In questo modo, si mette al centro qualcosa di positivo, da nutrire e far crescere; ciò non esclude il negativo nè il conflitto, ma fa sempre da orientamento ciò che sta a cuore. Inoltre, dare la priorità alle relazioni rispetto al diritto, alle leggi e alle istituzioni significa privilegiare ciò che è vivo nello scambio con altri, uno scambio che può essere anche conflittuale, ma in una forma comunque intensa e viva di contatto.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza ed ecologia?
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Fredo Olivero: Vi è un modo serio, rispettoso della vita di chi lavora sulla terra dove è nato, che è il vero rapporto nonviolento con la natura.
Ogni forma di difesa della vita (ecologia) può essere nonviolenta. In particolare, il contrasto alle nuove tecnologie non controllabili (nucleare), all’estrazione del petrolio in qualsiasi modo per mantenere una cultura del consumismo, la difesa delle vittime del nucleare e delle guerre è ecologia.
Ma vi è un aspetto che ritengo valga la pena di essere affrontato con maggiore serietà: gli idrocarburi (petrolio), risorsa enorme, devono essere usati per il trasporto, il riscaldamento solo dell’attuale generazione? I nostri figli non ne hanno diritto? Dobbiamo rischiare l’inquinamento irreversibile per arrivare ad utilizzare nuove fonti?
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Francesco Comina: Ho già risposto rispondendo ad una domanda precedente. Un rapporto strettissimo perché la vita umana dipende dalla vita del pianeta. E dunque la guerra contro il pianeta è una guerra contro l'uomo. L'unica soluzione è un il superamento della violenza che va nella direzione dell'azione nonviolenta per salvare il pianeta dalle acque alla biosfera.
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Crispino Scotolatori: La nonviolenza essendo amore per la vita e prendersi cura del mondo, la difesa della biosfera è suo compito primario.
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Antonio Vigilante: Io penso che un aspetto centrale nella nonviolenza sia quella che chiamo "etica dell'attenzione", vale a dire la considerazione delle conseguenze vicine e lontane delle nostre azioni. È importante, ogni volta che si fa qualcosa, chiedersi: di quale mondo favorisco la nascita, di quale mondo favorisco la morte con questa azione? È evidente, ad esempio, il dovere morale del vegetarianesimo, non solo perché la vita non umana ha valore, ma anche perché la sarcofagia ossessivo-compulsiva dei paesi industrializzati è causa diretta della morte per fame di milioni di persone nei paesi poveri.
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Massimo Grandicelli: Una diretta conseguenza di quanto espresso sopra definendo la nonviolenza. Lo denuncia la stessa terminologia: si sente e si legge prevalentemente di sfruttamento anzichè di utilizzo (possibilmente intelligente) delle risorse.
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Anna Pascuzzo: Coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza, impegno antirazzista e lotta per il riconoscimento dei diritti umani di tutti gli esseri umani?
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Fredo Olivero: Sono sempre stato contrario alle associazioni che esistono solo sulla carta, cartelli ideologici che sono vissuti sfruttando l’antirazzismo. Oggi, pero', è il tempo di partire dai diritti umani delle persone per arrivare a combattere ogni forma di razzismo. Si va dall’accoglienza dei clandestini che sono per lo più dei richiedenti asilo, al dialogo sul territorio. Quello che oggi è fatto dai cartelli di associazioni contro il respingimento, per l’accoglienza dei migranti e rifugiati mi pare più serio che in passato. Hanno una parte importante coloro che difendono la salute dei “non cittadini” (barboni, irregolari stranieri, donne e uomini vittime di tratta, ecc.). È questo il diritto ad una vita dignitosa.
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Francesco Comina: Rispondo citando Italo Mancini che nel suo libretto Tornino i volti sintetizza la lezione che viene da quel grande filone di pensiero che ha posto l'altro al centro dell'analisi e della interpretazione di senso della storia (Bubner, Ricoeur, Levinas, Panikkar...): "Riconoscimento del volto altrui questa è la pace, rifiuto del volto questa è la guerra".
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Crispino Scotolatori: La nonviolenza è esattamente questa impegno, questa lotta, questo riconoscimento.
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Antonio Vigilante: Il punto di partenza di ogni riflessione nonviolenta dovrebbe essere l'analisi attenta della violenza. Bisogna guardarsi dall'errore di rifiutare la violenza prima di averla interrogata e compresa. Io ho l'impressione che vi sia qualche relazione tra la cosiddetta sacralità della persona umana e la violenza. Un dato di fatto è che in ogni società esistono gruppi di persone che vengono considerate meno sacre delle altre: i paria nell'India di Gandhi, i rom ed i clandestini in Italia. Diciamolo apertamente: i rom sono gli intoccabili italiani, ed il sistema di segregazione razziale dei rom è in tutto e per tutto simile alla segregazione dei paria. Perché questo accade? E'' possibile che la violenza si annidi nella stessa sacralità della persona. È come se il riconoscimento dell'altro come sacro richiedesse, al tempo stesso, la dissacrazione di alcuni, quasi come uno sfogo necessario.
Uscire dalla violenza, se così stanno le cose, vuol dire partire da li': dalla dissacrazione. Non escludo che ciò possa condurre a rivedere radicalmente il concetto di sacralità della persona umana.
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Massimo Grandicelli: Idem come sopra. Una volta isolata e quindi eliminata la violenza dai rapporti tra i popoli, la prima conseguenza è la scomparsa di qualsiasi forma di razzismo e di negazione dei diritti a chicchessia.
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Anna Pascuzzo: Coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotta antimafia?
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Fredo Olivero: Coloro che operano in Italia ed in Europa per contrastare la mafia (ad esempio Libera, Gruppo Abele, Acmos, gruppi antimafia delle regioni interessate da Policoro a Palermo, da Napoli a Reggio Calabria, da Bari a Badolato) usano i principi della lotta nonviolenta. Una maggiore attenzione dei movimenti nonviolenti va data alle iniziative di recupero culturale, economico e sociale dei beni sottratti. Se non si utilizzano socialmente, tornano, di fatto, sotto il controllo della mafia. Va fatto un lavoro di appoggio per creare un clima culturale e politico accogliendo e sostenendo le loro iniziative. Dobbiamo coinvolgere, anche, le forze di polizia che condividono questa strada...
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Francesco Comina: Anche in questo caso la lotta contro il crimine organizzato e contro la legge della forza per implementare interessi personali e di gruppo che tolgono risorse alla società tenendola sotto scacco è un altro grande tema nonviolento. In questo senso da Danilo Dolci in avanti abbiamo avuto grandi testimonianze di lotte nonviolente contro l'omertà e la subordinazione alla legge criminale. Quanti giornalisti, sacerdoti, politici sono stati uccisi perché hanno tentato di opporsi con mezzi nonviolenti ai poteri forti dei vari territori?
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Crispino Scotolatori: Nonviolenza e antimafia sono esattamente la stessa cosa. La nonviolenza è la lotta antimafia. Nonviolenza infatti significa: opposizione alla violenza. Antimafia infatti significa: opposizione alla violenza.
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Antonio Vigilante: Un rapporto essenziale. Danilo Dolci ha mostrato che la mafia si combatte costruendo dal basso una realtà sociale diversa; mettendo la gente a discutere, a confrontarsi sui problemi comuni; creando le possibilità per una autentica democrazia. Combattere le mafie vuol dire combattere per una democrazia effettiva, cosa che in Italia - tra stragi di Stato, poteri occulti, corruzione, populismo mediatico eccetera - è sempre mancata. Ma sono due lotte, quella contro le mafie e quella per la democrazia, estremamente difficili: e di certo oggi in Italia mancano le energie sia per la prima che per la seconda cosa.
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Massimo Grandicelli: Idem come sopra; la violenza è la base fondante di qualsiasi associazione mafiosa; una volta eliminata la violenza il rapporto di mafia svanisce.
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Anna Pascuzzo: Coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte del movimento dei lavoratori e delle classi sociali sfruttate ed oppresse?
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Fredo Olivero: Dobbiamo distinguere molto tra occidente e sud del mondo. Il sindacato in occidente (vedi Italia ed Europa) è accettato dalla società: difende i diritti dei lavoratori (di alcuni, per lo più già garantiti). Ogni movimento può essere un luogo dove far conoscere le proposte nonviolente. Il sud del mondo ha movimenti anche molto diversi e più impegnati a difendere la sopravvivenza dei deboli. Con questi movimenti (della terra, delle donne, dell’acqua, della salute) si può essere molto più vicini e propositivi. Ma il movimento nonviolento è quasi assente dal movimento dei lavoratori che, sovente, non è convinto che la “composizione dei conflitti” è possibile.
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Francesco Comina: In gran parte la storia dell'emancipazione operaia e delle classi sociali sfruttate e oppresse è stata una storia nonviolenta costruita attraverso processi, anche lenti, di consapevolezza dei diritti e dei doveri che hanno portato anche a momenti di scontro violento, ma che alla fine hanno trovato la giusta collocazione dentro un quadro di mediazione politica e istituzionale.
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Crispino Scotolatori: Dalla nascita del movimento operaio la nonviolenza è la sua cassetta degli attrezzi. Altre forme di lotta si sono rivelate subalterne ed effettualmente complici dell'oppressione (e della sua riproduzione).
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Massimo Grandicelli: È un nesso raramente proposto; tuttavia è reale: lo sfruttamento è solo una della mille facce della violenza. Sostenevo prima che la violenza assume connotazioni subdole; una volta eliminata la violenza dai rapporti di lavoro, nei quali è presente con un’estensione sempre più preoccupante, la prima forza a guadagnarne sarebbe proprio il lavoro stesso; c’è da dire che non di rado si rintraccia la violenza non solo nei rapporti datore/operatore, ma anche in quelli inversi. In cui è l’operatore a far violenza al datore; un esempio: negli anni Settanta (ma oggi sono cambiate le forme, non le sostanze) non era difficile sentire risuonare tesi del tipo: una volta che arrivo al lavoro, lo stipendio è già guadagnato; il lavoro sarebbe quindi un surplus.
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Anna Pascuzzo: Coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e lotte di liberazione dei popoli oppressi?
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Fredo Olivero: Negli anni ’70-’80 ho sostenuto le lotte dei popoli oppressi: dal Vietnam alla Bolivia, dal Brasile all’Argentina, all’Uruguay, al Cile (oppressi dai generali), dal Centro America (Nicaragua, El Salvador, Guatemala), alla Polonia (Solidarnosc, che considerava “l’orso russo” irrecuperabile). Avendo seguito già in precedenza Cuba e Che Guevara, la lotta di liberazione non mi faceva rabbrividire. Era il popolo che si ribellava, anche se - quasi sempre - erano normalmente le persone del popolo a morire. In particolare, visitando a metà degli anni ’80 il Vietnam capii che per alcuni aspetti era una lotta popolare di resistenza e l’invasore Usa era terribile portatore di morte e distruzione. Questo non significò mai approvare l’autoritarismo del regime comunista.
Leggendo Gandhi e seguendo l’est europeo incontrai il movimento politico-sociale e sindacale polacco Solidarnosc che era frutto di lotta di popolo, di lavoratori e nonviolento per scelta contro un regime (“l’orso russo”, come veniva chiamato) che avrebbe distrutto ogni armata.
Credo che non ci siano, oggi, esperienze di lotta nonviolenta, se non limitate, e, quando vi sono, sovente vengono distrutte od emarginate e considerate utopie (irrealizzabili). Il Brasile di Lula è figlio di un cammino complesso, ma certo - in alcuni aspetti - di scelte nonviolente. Forse lo stesso Paraguay del vescovo Lugo, la lotta di Aung San Suu Kyi in Myanmar, e ben poco altro.
I più pensano che le armi siano “un grande mezzo” e che la “resistenza armata“ sia legittima ed efficace. Credo, invece, che - se alcuni movimenti sociali crescessero - la nonviolenza sarebbe un cammino possibile.
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Francesco Comina: Su questo punto credo che la lezione di Paulo Freire sia di fondamentale importanza. La nonviolenza è prima di tutto consapevolezza. Quando gli sfruttati sapranno parlare, ossia conosceranno le parole che indicano gli strumenti per la liberazione dallo stato di sottomissione e di ingiustizia, allora si apre una nuova storia per i popoli oppressi, quella del confronto diretto e della affermazione dei propri diritti. Purtroppo oggi il problema dell'esclusione di altri popoli e altri stati non è soltanto un problema politica ma è diventato un problema economico che aumenta la durezza e la complessità del sistema di sfruttamento. Su questo il movimento nonviolento ha il dovere di impegnarsi maggiormente per scoperchiare i meccanismi perversi del mercato che oramai sono diventati sistema di divaricazione fra ricchi e poveri. Questi sistemi hanno i loro centri nei grandi istituti internazionali preposti alla gestione e al controllo dello sviluppo mondiale.
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Crispino Scotolatori: La nonviolenza è l'unica risorsa dei popoli oppressi in lotta per la comune liberazione. Ogni altra via ha fallito, o provocato catastrofi.
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Massimo Grandicelli: Sono due modi di intendere non sempre allineati. La lezione di Gandhi è esplicita in materia; tuttavia, nel nostro tempo praticamente tutte le realtà a mia conoscenza dove sia in corso qualche forma di rivendicazione, fanno uso della violenza.
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Anna Pascuzzo: Le rivoluzioni, ahimè, hanno sempre un prezzo, esso sovente è frutto di una violenza subita o agita. Io ripudio la violenza e la guerra, credo importante il dialogo e in questo rilevante diviene la politica.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e pacifismo?
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Fredo Olivero: Nonviolenza e pacifismo sono, per me, due modi simili di affrontare il problema centrale della convivenza umana. La prima parte da una scelta (la nonviolenza), l’altro dall’obiettivo (la convivenza pacifica). Le scelte possono dar vita ad un futuro comune, almeno negli obiettivi centrali.
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Francesco Comina: Come lo intendo io il pacifismo è un movimento di massa che pone il tema di un mondo finalmente libero dall'idea che le contese fra gli stati si possano risolvere per via militare. La nonviolenza scava più a fondo ed entra nel cuore umano ponendo il problema del rispetto della vita (animata e inanimata) come centro di ogni azione del quotidiano. Mi viene una citazione di Gandhi: "Lo spirito universale e onnipresente dell'ahimsa equivale ad amare la più modesta creatura quanto noi stessi".
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Crispino Scotolatori: Nell'opposizione alla guerra, agli eserciti e alle armi la nonviolenza è l'unica scelta limpida, coerente ed efficace.
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Antonio Vigilante: Si dice comunemente che il pacifismo si limita a rifiutare la guerra, mentre la nonviolenza pratica metodi alternativi per far prevalere il bene e la giustizia. Il pacifismo sarebbe una posizione passiva, che finisce per favorire il prevalere della violenza. Può essere che sia cosi', soprattutto in alcuni momenti storici, in cui fondamentale è la lotta. Ma bisogna tener conto di una cosa: il mondo è fatto anche di idee. Pensare in un certo modo, ed aiutare altri a pensare in un certo modo, vuol dire già trasformare il mondo, anche se non si digiuna, non si marcia, non si boicotta.
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Massimo Grandicelli: Il pacifismo è il rifiuto della guerra, che però costituisce solo una delle possibili forme di violenza; ne deriva che il concetto di nonviolenza sia più esteso di quello di pacifismo.
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Anna Pascuzzo: Nonviolenza e pacifismo/antimilitarismo/disarmo coincidono (e il disarmo è indispensabile).
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale rapporto tra nonviolenza e antimilitarismo?
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Fredo Olivero: L’antimilitarismo è un aspetto primario e cruciale della nonviolenza: le armi, gli eserciti sono una sottrazione enorme di risorse alla qualità della vita dei ceti più deboli. Le “guerre per la pacificazione” sono, sovente, la copertura di una guerra non dichiarata o camuffata o giustificata. La produzione e l’esportazione degli armamenti è una grande promozione contro la cultura della nonviolenza. La gente comune, alcuni anziani che hanno “fatto la guerra” (come mio padre), non hanno il coraggio di dire che questo è stato un periodo infame, che ha sottratto uomini e risorse ai paesi, e che, alla fine, c’era solo distruzione. Il Mir (anche negli aspetti di ricostruzione dei rapporti conflittuali) merita un riconoscimento. Il lavoro da fare oggi è sulle persone coinvolte, sui giornalisti, sulla gente normale.
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Francesco Comina: La nonviolenza è un universo di vita. Un occhio della nonviolenza guarda con passione e si impegna con convinzione per debellare gli eserciti. Ma è un occhio. La nonviolenza è molto di piu'.
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Massimo Grandicelli: C’è un nesso assai delicato e attiene alla necessità della difesa; al nostro stadio di evoluzione vedo difficile liberarsi delle forze armate, che sopravvivono in qualità di una sorta di polizia. Quello che dovrebbe essere tassativamente vietato è l’attacco, l’aggressione, cioè. Ne deriva che si può essere nonviolenti, ma non necessariamente antimilitaristi.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e disarmo?
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Fredo Olivero: Il disarmo è una scelta dei popoli e degli stati, il cammino per non distruggere l’avversario. La nonviolenza è la strada da percorrere per convincere un popolo ed un governo che questo strumento è una scelta positiva che mi porta su altre strade: convivenza pacifica, maggiori risorse di vita risparmiando armi, eserciti, morti, distruzioni, guerre. Senza disarmo la nonviolenza rischia di tornare ogni volta da capo e rendere inefficace il suo cammino.
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Francesco Comina: La nonviolenza è disarmo. Le armi sono la spina dorsale del sistema violento. La vita è disarmata. La clava dei nostri antenati era certamente un'arma che serviva alla sopravvivenza. Le clave di oggi, ossia i missili e le bombe, i fucili e le pistole, non servono alla sopravvivenza, servono per uccidere. La nonviolenza oggi è il disarmo.
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Massimo Grandicelli: Il disarmo è una dottrina da perseguire, ma in termini generali e non unilaterali; valgono le considerazioni di cui alla domanda precedente.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e diritto alla salute e all'assistenza?
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Francesco Comina: La nonviolenza è il luogo dei diritti (e anche dei doveri). È lo spazio della responsabilità nei confronti del mondo e nei confronti degli altri. Un uomo che chiede aiuto ha tutto il diritto di essere aiutato e la nonviolenza è questo tendere la mano al bisognoso. Quindi c'è il dovere di dare aiuto e il diritto di chiedere aiuto senza distinzioni e discriminazioni. In questo senso la parabola del buon samaritano è un manifesto.
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Massimo Grandicelli: I diritti umani hanno carattere generale; la privazione di uno qualsiasi di quelli previsti deve rientrare tra le forme di violenza.
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Anna Pascuzzo: La salute e l'assistenza sono diritti primari, pertanto debbono essere assicurati e garantiti per tutti gli esseri umani, la loro assenza o carenza anche parziale può stimolare violenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e psicoterapie?
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Fredo Olivero: È una scelta possibile per aiutare l’uomo e la donna ad uscire dal disagio mentale con strumenti che non li privino della libertà. Alcuni percorsi psicoterapeutici si muovono su linee pacifiste, di superamento del disagio in modo incruento, dialogico, ridando dignità ai pazienti. Altri utilizzano (per quel che conosco) la stessa violenza per aiutare ad “uscire dal disagio”. Quindi è uno strumento possibile, ma con risvolti anche ambigui.
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Francesco Comina: Le derive della psiche, il non adattamento della psiche alle forme del vivere serenamente dipendono da tante cose, ma prima di tutto dipendono da una problematica di adattamento del soggetto ai ritmi e alla frenesia del mondo moderno, ritmi e dinamiche che spesso sono subalterne a logiche violente. La nonviolenza è l'armonia fra la mente, il corpo e l'ambiente. La nonviolenza è prima di tutto un atto di equilibrio interiore. E non è un caso che i grandi maestri della nonviolenza puntino molto all'armonia fra la mente e il corpo lavorando sul piano del respiro e sulla meditazione. E questo non solo i maestri dell'oriente ma anche all'interno del contesto occidentale.
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Massimo Grandicelli: La nonviolenza si acquisisce con l’educazione e con il riconoscimento dei diritti fondamentali; vedo la psicoterapia più legata a casi di patologia.
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Anna Pascuzzo: Credo che le psicoterapie a volte siano violente ed invasive.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali rapporti vede tra nonviolenza e informazione?
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Fredo Olivero: La violenza dei regimi, oltre alla forza degli eserciti, utilizza lo strumento dell’informazione al servizio del potere: è un’arma micidiale di consenso. Non è possibile costruire pace, attraverso la nonviolenza, senza l’appoggio dei media. Poi c’è un’informazione di base (forse si tratta più di formazione) fatta alla persona per renderla capace di comprendere le ragioni della scelta nonviolenta e di farla propria con costanza nel tempo. È il compito di centri come il vostro che conduce verso una convinzione documentata e serena.
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Francesco Comina: Cito una bellissima frase di uno dei più grandi reporter della storia, che ho avuto la fortuna di conoscere e di essergli amico, Ryszard Kapuscinski: "Il cinico non può fare il mestiere di giornalista, solo le persone buone possono farlo". Ryszard poi argomentava questa sua tesi. Il giornalista ha come fonte principale del suo lavoro la gente comune, il popolo. È questa la fonte prioritaria. Amare le persone, riuscire ad avere un rapporto fraterno con loro significa anche raccogliere il materiale vivo per l'elaborazione di un reportage o di un articolo. Perché la fonte sono gli altri. Per questo motivo il grande reporter polacco negli ultimi anni insisteva molto sulla responsabilità per l'altro, sul riconoscimento del volto altrui.
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Massimo Grandicelli: Considero l’informazione un diritto fondamentale; si veda quanto dicevo prima sui diritti umani.
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Anna Pascuzzo: L'informazione è importante ma non è un deterrente per la violenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione filosofica?
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Fredo Olivero: La scelta nonviolenta è una scelta culturale e, quindi, anche una scelta filosofica che proviene da una certa visione del mondo umano, dove i contrasti, i conflitti tra persone e popoli possono trovare sempre una composizione in positivo. Questo taglia la testa ad ogni lettura filosofica autoritaria. Quindi, solo una filosofia umanizzante è possibile con la scelta nonviolenta, non integrista sul piano religioso, non autoritaria sul piano della fede, democratica nel confronto sociale.
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Francesco Comina: Beh, qui c'è un pò tutto. Dal pensiero nasce l'idea e dall'idea l'azione. Possiamo pensare il mondo come un terreno di sperimentazione del libero arbitrio o come senso di responsabilità. Credo che su questo valga la lettura introduttiva di padre Balducci nel suo libro su Gandhi lì dove contrappone i due grandi pensieri del moderno, quello che sta all'origine della cosiddetta civiltà moderna, ispirato da Cartesio quando disse il suo famoso "Cogito ergo sum" e dette avvio alla linea speculativo del pensiero moderno (con la divisione fra res cogitans e res extensa e l'immissione della violenza strutturale) e quello di Gandhi che punta invece sull'armonia, tanto da rifiutare la violenza al punto da ribaltare il principio della vendetta e arrivare a dire: "Se tu mi uccidi sono io che muoio", ossia se tu fai questo, se tu ti comporti così tu hai la responsabilità della mia morte...
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Antonio Vigilante: Restiamo in tema di pensiero e trasformazione del mondo. Per Marx la filosofia ha sempre pensato il mondo, mentre bisogna cambiarlo. Anche per la filosofia della nonviolenza - e mi riferisco soprattutto a Capitini - si tratta non più di pensare, ma di trasformare la realtà; o meglio: di pensarla attraverso la prassi. Se Gandhi, come ho cercato di mostrare in uno studio sul suo pensiero, resta ancorato agli schemi della fondazione metafisica dell'etica (c'è Dio, dunque chi fa il bene finirà per vincere), Capitini segue la via interessantissima di una fondazione pratica della metafisica; cioè: io so che questo-ente-qui (questo uomo, questo animale, questo insetto) ha per me un valore assoluto, al punto che mi è impossibile ucciderlo; questo vuol dire che questa realtà, che ogni giorno uccide, schiaccia, umilia gli enti, è inaccettabile; io, partendo dall'atto di rispetto verso questo-ente-qui, mi apro ad un'altra realtà.
Una osservazione ancora. Gandhi chiamò il suo metodo satyagraha, una parola che condensa i tre concetti di forza (agraha), verità (satya) ed essere (sat). In Italia questo termine è tradotto con nonviolenza, una parola che ha una pregnanza semantica assolutamente non paragonabile a quella del termine adoperato da Gandhi. Sarebbe opportuno trovare un termine alternativo; ma quale? In un mio libro mi sono chiesto se non si possa tradurre satyagraha con filosofia. Filosofia è amore della conoscenza e della verità; e cos'altro è il satyagraha? La ricerca nonviolenta è una ricerca intrinsecamente filosofica, intesa come aspirazione alla verità (amore della sapienza), ma anche come approfondimento della logica morale (sapienza dell'amore). Ciò che è fondamentale è che la verità non diventi Verità, che l'aspirazione non porti al possesso - perché non c'è violenza più grande di quella di chi si ritiene in possesso della Verità.
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Massimo Grandicelli: Per me la nonviolenza è una deduzione di un corretto, ragionevole e coerente “fare filosofia” a partire dai diritti fondamentali.
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Anna Pascuzzo: Contributi altissimi di "humanitas" e di relazione fra esseri umani.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione delle e sulle religioni?
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Fredo Olivero: Tutte le religioni “del libro”, che affermano un Dio onnipotente, si sono asservite ai capi religiosi delle rispettive chiese, facendo di loro “l’immagine in terra” del Dio onnipotente. La burocrazia religiosa sia del cristianesimo cattolico, che dell’islam che dell’ebraismo e', purtroppo, cosi', con sfumature e comportamenti diversi. Quando potere politico e religioso si sono alleati e supportati, sono nate religioni di regime che hanno favorito l’integrismo. Questa lettura non è totalizzante, ma, certo, ha basi storicamente dimostrabili. Condivido l’analisi di Hans Kung in Ciò che credo (Rizzoli, 2010), che è vicino alle scelte della nonviolenza.
Ma è possibile un altro cammino? Penso che solo se si lascia, come ci annuncia il Cristo, la “libertà dei figlio di Dio” a chi crede, la fede e la religione possono essere positive. La paura di “chiese” democratiche è un abbaglio: il servizio critico del potere è scelta nonviolenta.
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Francesco Comina: Qui si aprirebbe un capitolo enorme. Bisognerebbe fare una miriade di distinzioni fra religione e istituzione, fra parola e strumento, fra chiese e comunità... Diciamo che nel momento in cui lo spirito della religione diventa sistema e si sacralizza, allora emerge il tema della violenza. I principi ispiratori delle grandi religioni adottano la nonviolenza, le dinamiche di potere assumono la violenza. Credo che Panikkar abbia svolto un lavoro importantissimo per trovare scenari di fraternità reciproca fra i grandi flussi religiosi dell'umanità.
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Antonio Vigilante: Le religioni sono una brutta faccenda. Concepirsi come cristiano, musulmano, buddhista vuol dire porre dei limiti alla propria esperienza, alla comprensione del mondo, forse anche all'umanità. Naturalmente nelle religioni, in mezzo ai mali del dogmatismo, della superstizione, dei rituali ossessivo-compulsivi, della giustificazione ideologica delle differenze sociali c'è anche qualcosa di buono. Il punto è che è impossibile tenere solo il bene, senza uscire dalla religione. Si consideri la Bibbia: è piena di violenze, di assurdità, di atrocità, di cose oscene e scandalose. Che farne? È possibile tenere della Bibbia solo ciò che è in accordo con la nostra visione morale, e continuare ad essere ebrei o cristiani? Mi sembra difficile: io, almeno, non vi riuscirei. Meglio mi sembra non parlare più di religioni, e recuperare quel che di buono c'è nelle tradizioni religiose - penso al Discorso della montagna, o al Daridranarayana (Dio sotto forma di povero) dello hinduismo, o alla concezione della "bodhicitta" buddhista - in un'ottica laica. In questa direzione va, in Italia, la riflessione di Luigi Lombardi Vallauri, ed in questa direzione procede il pensiero di Aldo Capitini. Come ho cercato di mostrare studiando lo stesso Capitini, procedere in questa direzione vuol dire superare anche la distinzione tra fede ed ateismo. In sintesi, il meglio che la nonviolenza possa fare è lavorare per la distruzione delle religioni. Ed evitare di trasformarsi in religione essa stessa.
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Massimo Grandicelli: Qualsiasi religione che voglia dirsi coerente dovrebbe prevedere la nonviolenza tra le sue deduzione “prime”.
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Anna Pascuzzo: La nonviolenza deve essere alla base delle religioni, una religione che contempli la violenza (anche solo quella verbale) diviene fanatismo.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'educazione?
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Fredo Olivero: È certamente una scelta alternativa per l’educazione: far crescere nella nonviolenza è una forma educativa fondamentale. Preparare e convincere le nuove generazioni ad un futuro di dialogo e di pacifica convivenza, far comprendere che il diverso è bello, che l’immigrato e la sua cultura sono una risorsa - mentre quasi tutti i media e la politica predicano l’opposto - è veramente difficile. La nonviolenza ha come strada maestra l’educazione, il far crescere i giovani affinché pensino e ragionino con la propria testa. Se non nascono reti, centri di cultura e di riflessione, scuole, università capaci di proporre questa strada, la nonviolenza non ha futuro. Proporre questi cammini anche concreti (lo sperimento con l’Asai già citata) è possibile, è bello e molto più interessante ed efficace.
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Francesco Comina: Anche questo è un enorme capitolo. Credo che uno dei punti su cui l'azione nonviolenta dovrebbe investire di più è proprio il tema dell'educazione. Viviamo in un tempo "liquido" come ci dicono i sociologi, dominato dalla cultura fast food, da internet, dai mezzi informatici, dai nuovi network. I giovani sono i più esposti al rischio di una banalizzazione della vita, ad una perdita del senso di approfondimento della complessità del vivere. Il tempo sembra correre sempre più veloce, non ci si ferma più a pensare, a ragionare sulle cose, a discutere. La lezione di don Milani sembra lontanissima. Eppure credo che bisognerebbe recuperarla così come bisognerebbe recuperare la grande lezione di Dolci.
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Antonio Vigilante: Questo è un tema molto importante per me. La storia dell'educazione è anche, se non principalmente, una storia di violenze: fisiche, psicologiche, culturali. L'educazione è stata per secoli la prassi sociale che ha mutilato delle creature per farle entrare docilmente nel recinto chiuso d'un ambiente sociale, di contesti spesso estremamente artefatti, privi di libertà, di gioia, di dignità. Ciò non appartiene al passato. Ancora oggi, alla luce del sole e con la convinzione di fare qualcosa di buono, i cosiddetti educatori programmano la loro attività: scrivono prima come vogliono che diventino le persone affidate loro, e specificano addirittura i tempi entro i quali prevedono che quelle persone diventino come loro hanno deciso. Se le cose non vanno come hanno previsto, ricorrono alla punizione. Che ciò sia violenza, non appare immediatamente evidente. Sfugge che nessuno ha il diritto, nemmeno con le migliori intenzioni, di programmare quel che dovrà diventare un altro essere umano.
Siamo talmente abituati a pensare in modo violento l'educazione, che al di fuori di questo progettare la vita altrui ci sembra che non sia possibile alcunché che sia caratterizzabile come educazione. E invece qualcosa c'e'. C'è la creazione, qui ed ora, di situazioni educative. Educare, non far in modo che qualcuno diventi come vogliamo, ma offrire situazioni umane nelle quali le persone possano star bene, crescere, sperimentare, comunicare. Educare vuol dire creare contesti sani. Basta una considerazione anche superficiale delle scuole che abbiamo, per accorgersi del loro devastante carattere diseducativo. Le scuole sono ambienti malati, in cui l'umanità soffre. Nelle chiacchiere infinite sulle riforme scolastiche, il problema reale non è mai stato neppure sfiorato. Si discute di indirizzi, di curricula, di soldi da investire o da risparmiare, di strumenti burocratici. Non si discute delle relazioni umane, della comunicazione, della libertà, della possibilità reale di esprimersi, di creare, di partecipare ad esperienze sociali reali. Quando si scopre che la nostra scuola è tra le peggiori d'Europa, c'è perfino chi chiede più durezza, più severità, più rigore: mentre è evidente, e viene notato anche dagli osservatori internazionali, che il limite strutturale della scuola italiana è la sua rigidità, il suo essere ancora fondata sulla struttura lezione-interrogazione, che non consente alcun apprendimento reale.
Lo sguardo nonviolento sull'educazione consente di superare alcuni miti consolidati, come quello del carattere asimmetrico della relazione educativa, e porta l'attenzione sul tema fondamentale dell'empowerment. Educare nell'ottica nonviolenta vuol dire aiutare le persone ad acquisire coscienza del proprio potere personale e della possibilità di accrescerlo attraverso la collaborazione con altri.
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Massimo Grandicelli: L’educazione, già nel senso “greco” e poi in quello illuministico, che valgono tuttora, muove dal primato della ragione sulla forza; l’avere presente i temi della nonviolenza dovrebbe costituire un deterrente a evitare “scorciatoie”, convenienti solo in apparenza. L’educazione dovrebbe aver chiaro in primis che la violenza è solo l’ultimo rifugio degli incapaci.
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Anna Pascuzzo: È condizione necessaria per una educazione civile e democratica.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'economia?
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Fredo Olivero: L’economia di sviluppo è considerata, oggi dai più come l’unica strada da imporre per guidare un paese. Ma quale economia è possibile? È possibile un’economia che permetta consumi non crescenti, ma una qualità migliore della vita?
Credo che le riflessioni che la nonviolenza pone ai paesi ed ai governi siano: è inutile produrre armi sottraendo risorse alla qualità della vita; è inutile un esercito che serva a consumare risorse in tempo di pace e distruggerle nelle guerre; vi è una possibilità di vita migliore se non consumistica, senza eserciti e senza armi; per i paesi del sud del mondo, dove armi, eserciti e guerre consumano un terzo delle risorse, certo che ha qualcosa da dire; ma anche per i paesi del nord, trainati da produzioni di sistema di armi e consumi dannosi (auto che rovinano l’atmosfera, produzioni inquinanti, estinzione di fonti energetiche non rinnovabili, risorse umane e finanziarie consumati nella produzione di armi di distruzione).
Dunque si', l’economia attuale espansionistica è in contrasto con la nonviolenza che propone qualità della vita anche senza crescita del Pil di un paese.
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Francesco Comina: La nonviolenza è anche impegno per la giustizia. Oggi non è tanto la politica che governa le cose ma l'economia. E l'economia è vista non come gestione di un patrimonio collettivo ma come guerra di accaparramento delle risorse disponibili. E poi come lotta per il potere e il controllo sugli altri. L'azione nonviolenta ha il compito di denunciare questo scempio.
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Massimo Grandicelli: Tutte le proposte dell’economia che implichino qualche forma di sfruttamento conducono a contraddizioni evidenti. Ne è prova palmare il cosiddetto “liberismo” che impazza da trent’anni e ha prodotto guasti impressionanti. Un’economia di sfruttamento implica la violenza e viceversa; la nonviolenza si lega a una visione economica a carattere sociale.
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Anna Pascuzzo: La nonviolenza dovrebbe rappresentare la base di ogni disciplina che regola la vita dell'essere umano, e sulle basi filosofiche, e su quelle etiche e su quelle economiche.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sul diritto e le leggi?
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Francesco Comina: Credo che buona parte della risposta sia stata formulata in maniera splendida da don Milani nella sua Lettera ai giudici. Oggi però si pone un problema ulteriore, ossia la tensione fra la legge di uno stato e la legge di uno stato diventato pianeta. Come si conciliano questi due piani?
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Antonio Vigilante: Le leggi da sempre sono fatte dai potenti, e spacciate prima per volontà di Dio e poi, quando ciò non è più stato possibile, come espressioni di una presunta volontà generale. Ancora oggi nel nostro parlamento abbiamo solo rappresentanti della classe borghese, eppure si pretende che le leggi valgano per tutti - e che il parlamento sia il parlamento italiano, e non il parlamento della borghesia italiana. Delle leggi fatte da soli rappresentanti della borghesia (per giunta spesso pessimi rappresentanti) non possono incarnare il bene o il giusto; quando accade, accade quasi per caso. Di qui il diritto e anche il dovere della disobbedienza. L'obiezione di coscienza, con la scoperta della fallibilità delle leggi, è una delle grandi conquiste dell'umanità. Comporta tuttavia un rischio, quello di fondare ancora una volta verticalmente la propria obiezione, di ricorrere a Dio per opporsi alle leggi dello Stato - vale a dire opporre ad una verità presunta una Verità indubitabile. C'è, in altri termini, il rischio di agire come detentori della Verità, più che come ricercatori. Ma è un rischio che viene superato agevolmente dalla discussione pubblica che segue all'atto di obiezione di coscienza. La coscienza dell'obiettore va intesa etimologicamente come cum-scientia, sospende l'obbedienza alla legge per aprire una discussione pubblica sul suo valore.
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Massimo Grandicelli: La legge non necessariamente implica l’equità, che è un concetto indipendente; una visione nonviolenta è indispensabile per pensare un corpus di leggi più equo.
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Anna Pascuzzo: È condizione indispensabile per il rispetto delle leggi e la tutela dei diritti
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sull'etica e sulla bioetica?
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Francesco Comina: Il rapporto fra vita e etica è un rapporto strettissimo. Tutto ciò che fa sì che la vita venga difesa e salvata è un tema che investe la nonviolenza. Però non a tutti i costi. La vita è un dinamismo, la vita è un'energia che ha un suo inizio e che ha una sua fine nell'assorbimento di questa energia in un tutto più grande. La tecnologia aiuta la vita ma la natura è parte della vita.
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Massimo Grandicelli: Un’etica può essere equa o iniqua, a seconda dei principi morali a cui si informa; se tra questi concetti includiamo la nonviolenza avremo di necessità un’etica più equa. La bioetica è però un discorso a parte: in generale può valere quanto affermato sopra, ma è necessario evitare di cadere in concezioni “assolute”, come quella che voleva la Englaro attaccata alle macchine senza limiti, o che vieta l’aborto quando l’embrione è ancora paradossalmente una morula di cellule staminali. Tali tesi estremiste non derivano da un’analisi logica dei concetti, ma dalla corruzione del concetto di nonviolenza con l’innesto di convinzioni religiose o comunque estranee.
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Anna Pascuzzo: Anche in questo settore apporta civiltà e libertà di scelta (la violenza impone e determina, nel senso che obbliga, le scelte).
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione sulla scienza e la tecnologia?
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Massimo Grandicelli: Penso a tutte le alternative possibili a tecniche come la vivisezione.
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Anna Pascuzzo: Libertà di ricerca.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Cosa apporta la nonviolenza alla riflessione storica e alla pratica storiografica?
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Francesco Comina: Che è possibile scriver una storia aliena dalla forza, fatta di grandi principi di diritto universali, di concordia e di mutua fecondazione fra uomini e popoli.
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Massimo Grandicelli: La nonviolenza è soprattutto un atteggiamento dell’animo; un po' come la visione zen del mondo, illumina qualsiasi azione. Se c’è un campo in cui la corruzione soggettiva dei fatti ad opera del pregiudizio soggettivo è subdolamente in agguato questo è proprio la ricerca storica. E il falso è un’altra forma di violenza.
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Anna Pascuzzo: Libertà.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche deliberative nonviolente ha una grande importanza il metodo del consenso: come lo caratterizzerebbe?
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Francesco Comina: Consenso non solo democratico, ma anche fiducia nel carisma e nella visione.
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Massimo Grandicelli: Non capisco bene cosa si intenda; un consenso generale sincero è praticamente impossibile da conseguire; nel mio lavoro di dirigente ho sempre attribuito grande valore anche al dissenso, apparendomi il consenso una forma troppo simile all’omerta’; al momento di decidere, tuttavia, cercavo per quanto possibile di decidere in comitato; nei casi irrimediabilmente dubbi valeva la mia parola, perché la responsabilità in fondo era la mia. È evidente che menti preparate a un approccio nonviolento tendono a conciliarsi; torniamo quindi a un problema di educazione.
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Anna Pascuzzo: Il metodo del consenso deve partire dalla nonviolenza, non arrivarci come se fosse un traguardo; solo se il consenso è libero e nonviolento si può arrivare a compiere scelte nonviolente e capaci di interessi collettivi e non solo personali.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Tra le tecniche operative della nonviolenza nella gestione e risoluzione dei conflitti quali ritiene più importanti, e perché?
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Francesco Comina: Galtung ha fatto degli studi approfonditi su questo versante. Credo innanzitutto l'ascolto. Ascoltare le ragioni delle parti in conflitto è il primo elemento che dovrebbe essere messo in campo, di qui poi il lavoro sulle ragioni dell'una e dell'altra parte, la lettura del contesto, la geografia, l'occhio particolare alla diversità culturale, religiosa, le prospettive politiche ecc. Insomma credo che nella gestione del conflitto vadano valutati tutti gli elementi in campo. È un discorso complicato, difficile, rischioso.
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Massimo Grandicelli: È importante in un dissidio mettere in luce tutti gli enunciati infondati e contradditori; ritengo fondamentale un’educazione, oltre che nonviolenta, anche logico-formale.
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Anna Pascuzzo: Chiedo scusa per questa risposta, ma a mio avviso non ci sono "tecniche" di nonviolenza, la nonviolenza è prassi quotidiana, non teoria o tecnica.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe la formazione alla nonviolenza?
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Francesco Comina: Umanistica, antropologica, storica, letteraria, filosofica, geografica, politica, giuridica, economica. Una formazione a 360 gradi perché la nonviolenza è una comprensione totale della realtà.
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Massimo Grandicelli: Metterei da subito, soprattutto ai giovanissimi, l’accento sulla priorità della cooperazione sulla competitivita’; esattamente il contrario del messaggio incivile che l’attuale società trasmette ai giovani.
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Anna Pascuzzo: Indispensabile per un essere umano.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Come caratterizzerebbe l'addestramento all'azione nonviolenta?
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Massimo Grandicelli: Anche per mezzo dell’esercizio a sport cooperativi più che competitivi.
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Anna Pascuzzo: Non mi piace il termine addestramento.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali mezzi d'informazione e quali esperienze editoriali le sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?
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Francesco Comina: Non conosco tutti gli ambiti editoriali e d'informazione legati alla nonviolenza. In Italia c'è "Azione nonviolenta" che si occupa specificatamente del tema, ma anche "Mosaico di pace", i "Quaderni Satyagraha", "La nonviolenza è in cammino", ci sono poi varie pubblicazioni sui territori legati a centri per la pace o iniziative sulla nonviolenza. Sul piano editoriale presso varie case editrici ci sono pubblicazioni sulla nonviolenza. Purtroppo le vecchie Edizioni cultura della pace di padre Balducci si sono affievolite molto dopo la sua morte, ma quello era un tentativo importante di dare profilo alla cultura della pace e della nonviolenza.
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Massimo Grandicelli: Non sono molto informato: la mia impressione è che quasi si debba partire da zero, in materia.
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Anna Pascuzzo: Attualmente nessuno.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali esperienze in ambito scolastico ed universitario le sembra che più adeguatamente contribuiscano a far conoscere o a promuovere la nonviolenza?
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Francesco Comina: La nonviolenza nella scuola e nell'università non è ancora penetrata come meriterebbe. Comunque ci sono le esperienze di Rocco Altieri, di Alberto L'Abate, Tonino Drago, Alberto Conci, Achille Rossi sul campo educativo.
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Massimo Grandicelli: Idem come per il punto precedente.
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Anna Pascuzzo: Attualmente non ne conosco.
Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti presenti in Italia danno sovente un'impressione di marginalità, ininfluenza, inadeguatezza; è cosi'? E perché accade? E come potrebbero migliorare la qualità, la percezione e l'efficacia della loro azione?
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Francesco Comina: Credo che sia un pò il gatto che si morde la coda. Il movimento nonviolento ha fatto fatica a costruirsi un ambito solido di presenza sul proscenio e dall'altra parte manca fortemente la cultura della nonviolenza nella nostra società, catturata da ben altri interessi e miti. Va fatto un serio e impegnativo sforzo per fare del tema della nonviolenza non un argomento di interesse di quei pochi volenterosi che se ne occupano ma un tema strategico per la società. A Bolzano, grazie al lavoro di un piccolo nucleo di persone che si sono occupate di nonviolenza, negli ultimi dieci anni si è riusciti a creare un centro per la pace collegato al Comune che sta diventando sempre più un organismo strategico sia sul piano della cultura sul territorio con notevole afflusso di persone, sia sul piano della diffusione di contenuti. La crescita del Centro pace di Bolzano connessa al successo enorme di pubblico che sta avendo dimostra come in realtà ci sia grande interesse popolare. Ci vuole una capacità creativa e organizzativa capace di sfruttare le possibilità di appoggio sulla realtà territoriale.
C'è poi il vasto problema della capacità di diffondere le iniziative e le azioni nonviolente, e anche in questo caso secondo me ci vuole una maggior conoscenza del settore dell'informazione che ha un suo linguaggio, dei tempi particolari e delle procedure fisse. Il nonviolento che ha la premura di far conoscere le sue iniziative deva anche saper comunicare con i media e saper catturare l'attenzione del mondo dell'informazione in generale. Ma deve conoscere le leggi e le logiche che governano i media.
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Antonio Vigilante: L'Italia ha dato alla nonviolenza grandi maestri come Capitini, Dolci, don Milani, Lanza del Vasto, Balducci. Gli anni Cinquanta e Sessanta hanno visto il fiorire di esperienze straordinarie, tra le migliori manifestazioni di civiltà degli ultimi cento anni di vita politica del nostra disgraziato paese. Ma erano esperienze osteggiate in mille modi: Capitini era uno schedato politico, Dolci per i giudici italiani (quelli che applicano le leggi della borghesia italiana) nulla più che un "individuo con spiccata attitudine a delinquere", don Milani è stato processato. Le forze reazionarie hanno cercato di soffocare sul nascere quelle espressioni di politica autentica. Si direbbe che vi sono riuscite. Ciò che accomuna questi grandi maestri della nonviolenza è la ricerca di strutture alternative a quelle del dominio - potremmo chiamarle contro-strutture. Penso ai Cos ed ai Cor di Capitini ed ai gruppi maieutici ed al Centro per lo sviluppo creativo di Dolci, strutture che si opponevano alla politica partitocratica e clientelare; o alla scuola di Barbiana, che si opponeva alla scuola della borghesia. Mi sembra che nei decenni successivi sia venuta a mancare la capacità di creare queste contro-strutture, di contestare in modo forte il dominio mostrando alternative praticabili. Si è creata una nonviolenza della testimonianza, centrata sulle manifestazioni più che sulle strutture.
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Massimo Grandicelli: È cosi’; accade perché il concetto di nonviolenza non è incorporato nel messaggio educativo formalizzato da scuole e università.
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Anna Pascuzzo: Non è cosi', la Rete di Lilliput e il movimento antirazzista sono molto attivi in Italia.
Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di migliori forme di coordinamento? E se si', come?
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Massimo Grandicelli: Più che altro dovrebbero aumentare i movimenti che esplicitamente includano la nonviolenza tra i loro principi informatori.
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Anna Pascuzzo: I movimenti in quanto tali non possono avere forme organizzate, non sarebbero più movimenti, ma diverrebbero sindacati, partiti o associazioni se si organizzassero. La spontaneità è la loro forza, sempre, anche allorquando sembri un limite.
Paolo Arena e Marco Graziotti: I movimenti nonviolenti dovrebbero dotarsi di ulteriori strumenti di comunicazione? E con quali caratteristiche?
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Massimo Grandicelli: Non credo sia un problema di strumenti.
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Anna Pascuzzo: Vale quel che ho risposto alla domanda precedente.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e movimenti sociali: quali rapporti?
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Massimo Grandicelli: Scarsi, ho l’impressione.
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Anna Pascuzzo: I movimenti sociali a volte adottano pratiche violente.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e istituzioni: quali rapporti?
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Massimo Grandicelli: Scarsi
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Anna Pascuzzo: Molto spesso le istituzioni sono violentissime.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cultura: quali rapporti?
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Massimo Grandicelli: Scarsi
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Anna Pascuzzo: Coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e forze politiche: quali rapporti?
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Massimo Grandicelli: Inesistenti, ho l’impressione.
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Anna Pascuzzo: Attualmente le forze politiche in Italia sono violentissime.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e organizzazioni sindacali: quali rapporti?
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Massimo Grandicelli: Inesistenti, ho l’impressione.
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Anna Pascuzzo: Dovrebbero coincidere, ma il condizionale è d'obbligo.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e agenzie della socializzazione: quali rapporti?
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Massimo Grandicelli: Inesistenti, ho l’impressione.
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Anna Pascuzzo: Se per agenzie della socializzazione s'intendono le scuole e gli ambiti culturale, i rapporti sono strettissimi.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e pratiche artistiche: quali rapporti?
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Francesco Comina: La nonviolenza ha l'arte come suo elemento vitale. L'utopia di un mondo diverso sta alla capacità di rappresentare l'orizzonte ultimo della realtà. Non è un caso che le espressioni artistiche più pregnanti ci siano venute da uomini che hanno ascoltato quel sentimento profondo dell'umanità che è la vita nella sua nudità ontologica, la vita senza corazze. Frate Francesco ha cantato il Cantico delle creature e Marcos Ana ha cantato l'orrore dei sotterranei del generale Franco per ventitré anni riuscendo a sopravvivere alla morte. Quando uscì non aveva vendetta. Ancora stretto fra le sbarre come prigioniero politico scrisse questi versi pieni di pace, pieni di amore:
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Massimo Grandicelli: Occasionali, direi.
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Anna Pascuzzo: L'arte non è mai violenta; bisognerebbe capire cosa sia arte.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e amicizia: quale relazione? E come concretamente nella sua esperienza essa si è data?
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Francesco Comina: L'amicizia è quel filo sottile che lega due persone e che le fa vibrare nel profondo. L'amicizia è un altro nome della nonviolenza perché l'amicizia è quella corrispondenza che c'è fra due uomini che si sorreggono vicendevolmente gratuitamente. Un mondo di amici è un mondo di pace, un mondo di nemici è un mondo di guerra. La violenza è quella forma patologica di creazione del nemico che nelle sue derive politiche rappresenta il paradosso della politica, ossia la guerra.
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Massimo Grandicelli: Pressoché tutte le persone che frequento tendono alla nonviolenza, anche inconsapevolmente. La nonviolenza è intrinseca all’amicizia, quella vera; un’amicizia che non rifiuti la violenza o accetta l’incoerenza o prima o poi si troverà nella condizione di rinnegare l’amicizia stessa.
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Anna Pascuzzo: Amicizia e nonviolenza coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e percezione dell'unità dell'umanità: quale relazione e quali implicazioni?
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Francesco Comina: L'unità nell'umanità non può essere uniformismo e nemmeno livellamento sul piano di una sola cultura, questo sarebbe monomorfismo, vittoria di una cultura sulle altre. È quello che hanno da sempre auspicato i totalitarismi. Già nella Bibbia l'idea di una torre di Babele che desse la scalata al cielo è stata travolta dalla furia del Dio del pluralismo che ha poi disperso l'umanità nei suoi linguaggi e culture particolari. L'unità del genere umano deve avvenire nella sua diversità e dunque non attraverso spianate ma attraverso i ponti di congiunzione delle varie diversità culturali. Anche su questo Panikkar ci lascia una grande lezione.
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Massimo Grandicelli: La concezione dell’unicità del mondo, non solo dell’umanità e della vita, è l’assioma di base da cui la nonviolenza discende.
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Anna Pascuzzo: Se c'è percezione dell'umanità non deve esserci violenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e politica: quale relazione?
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Francesco Comina: Direi con Raniero La Valle: "La politica è pace e la pace è politica". La rottura della politica è la guerra. La violenza è il piegamento della politica ad interessi parziali.
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Massimo Grandicelli: Nessuna o falsa.
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Anna Pascuzzo: Le relazioni di nonviolenza con la politica attuale sono inesistenti.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e vita quotidiana: quale relazione?
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Francesco Comina: Ogni giorno è un passo in avanti nella costruzione della personalità nonviolenta.
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Massimo Grandicelli: Il rispetto del “tutto”, di cui ciò che ci è caro è solo parte, deve informare continuamente i nostri atti.
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Anna Pascuzzo: Attualmente quasi inesistenti.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura del territorio in cui si vive: quale relazione?
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Francesco Comina: Pensare globalmente e agire localmente.
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Massimo Grandicelli: Non solo dove si vive, vedi quanto dicevo prima.
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Anna Pascuzzo: Coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e cura delle persone con cui si vive: quale relazione?
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Francesco Comina: Il volto dell'altro, diceva Levinas, non è solo il volto del culturalmente altro, ma è il volto di colui che ti sta accanto: "Incontrare un uomo - scriveva Levinas - significa essere tenuti svegli da un enigma".
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Massimo Grandicelli: Si vedano le risposte precedenti. L’amore può vivere solo in un contesto esente dalla violenza.
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Anna Pascuzzo: Coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: La nonviolenza dinanzi alla morte: quali riflessioni?
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Francesco Comina: San Francesco era arrivato ad una così forte comprensione della sua personalità nonviolenta che nel dare un nome alle cose che aveva intorno, chiamava sorella la morte. David Maria Turoldo, quando ha scoperto il tumore che poi lo porterà a morte nel fabbraio del 1992, iniziò a fare i conti con il tema della morte al punto da dialogare con lei. Tiziano Terzani, dopo averla combattuta fin che potè farlo, l'accettò come evoluzione della vita. Ivan Illich aveva un tumore al collo. Non volle mai curarlo perché anche il male è una componente della vita e non si può scacciare, diceva lui, con i cannoni.
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Massimo Grandicelli: Non concepire la morte come violenza ma come componente del tutto.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali le maggiori esperienze storiche della nonviolenza?
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Francesco Comina: Gandhi rappresenta ovviamente la trasposizione pratica, politica, di una nonviolenza che ha saputo farsi storia. Ma anche i suoi seguaci sono degni di menzione: in modo particolare il Gandhi dell'islam che si rifece fortemente al metodo gandhiano e ne fu amico: Badshah Khan. Importante la lezione di Martin Luther King, quella di Mandela e di Desmond Tutu in Sudafrica. Ma sono molti i segni nonviolenti che hanno cambiato la storia.
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Massimo Grandicelli: Gandhi, Badshah Kahn, Dolci, Capitini e don Milani; come ho già scritto la mia conoscenza non va oltre.
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Anna Pascuzzo: Innanzitutto Gandhi...
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi nel mondo?
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Francesco Comina: La nonviolenza oggi nel mondo è messa a dura prova dal pensiero unico che vorrebbe appiattire ogni discorso sul piano economico e tecnocratico. Ma c'è anche un risveglio delle coscienze davanti ai problemi assoluti che incombono. Credo che la rinascita e il risveglio delle coscienze rimetta in moto un nuovo spirito dell'azione nonviolenta e dell'obiezione di coscienza.
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Massimo Grandicelli: Marginale.
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Anna Pascuzzo: Complesso e da costruire.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale è lo stato della nonviolenza oggi in Italia?
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Francesco Comina: Un pò ritirata rispetto a pochi anni fa quando alcuni grandi maestri e alcuni movimenti più articolati della società avevano maggior coscienza del tema. Credo che si ponga un forte problema generazionale. Bisogna consegnare ai giovani l'amore per la nonviolenza prima che l'amore si spenga.
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Massimo Grandicelli: Meno che marginale.
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Anna Pascuzzo: Complesso e tutto da rifare.
Paolo Arena e Marco Graziotti: È adeguato il rapporto tra movimenti nonviolenti italiani e movimenti di altri paesi? E come migliorarlo?
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Massimo Grandicelli: Non saprei.
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Anna Pascuzzo: Non saprei.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quale le sembra che sia la percezione diffusa della nonviolenza oggi in Italia?
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Massimo Grandicelli: Scarsa.
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Anna Pascuzzo: Non vedo percezione diffusa di nonviolenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Quali iniziative intraprendere perché vi sia da parte dell'opinione pubblica una percezione corretta e una conoscenza adeguata della nonviolenza?
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Massimo Grandicelli: È necessario raggiungere le basi dell’educazione, che purtroppo stanno vivendo da noi uno dei momenti più bassi della nostra storia.
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Anna Pascuzzo: È necessario educare alla nonviolenza fin dal piccolo nucleo familiare, arrivare ad apprendere pratiche di nonviolenza nelle scuole e in ogni ambito di aggregazione.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e intercultura: quale relazione?
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Massimo Grandicelli: La negazione della cultura rientra nella violenza contro un diritto fondamentale; naturalmente è necessario uno sforzo collettivo per espungere quelle forme che presso talune realtà sono considerate forme di “costume”, mentre sono in realtà vere e proprie forme di violenza contro la persona (leggi “infibulazione”, ecc.).
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Anna Pascuzzo: Coincidono.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e conoscenza di se': quale relazione?
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Massimo Grandicelli: La nonviolenza è la base per il rifiuto di qualunque eccesso, che sarebbe una violenza contro sè stessi e il proprio corpo.
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Anna Pascuzzo: Il discorso è complesso, ma ritengo che la coscienza di sé preveda il rispetto per l'alterità.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e scienze umane: quale relazione?
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Anna Pascuzzo: La nonviolenza nasce con l'humanitas...
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e linguaggio (ed anche: nonviolenza e semiotica): quale relazione?
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Massimo Grandicelli: Il linguaggio vive un periodo all’insegna della violenza come mai si è registrato dal neolitico a oggi. È importante agire su questa leva; ma i media e soprattutto l’abbassamento della cultura scolastica, ad onta dell’aumento del numero di laureati (ormai abbiamo i “dottori 300 parole”) non aiutano.
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Anna Pascuzzo: Il linguaggio nonviolento è importantissimo, è alla base di ogni civiltà.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e stili di vita: quale relazione?
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Massimo Grandicelli: Di nuovo vale quanto detto prima. Ogni nostra manifestazione dovrebbe ricordarci del valore della nonviolenza.
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Anna Pascuzzo: La nonviolenza si attua in stili di vita nonviolenti.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e critica dell'industrialismo: quali implicazioni e conseguenze?
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Massimo Grandicelli: È un discorso delicato. Anche difficile. L’industrialismo non è di per sè una manifestazione di violenza; lo diviene quando in nome di un malinteso senso della “produttivita’” e del “mercato” (ormai due epiteti della violenza civile) si consente di fare a meno di un processo di analisi del minimo impatto.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e rispetto per i viventi, la biosfera, la "madre terra": quali implicazioni e conseguenze?
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Massimo Grandicelli: Come dicevo prima, l’assioma di base da cui la nonviolenza discende è la concezione dell’unicità del mondo, della vita e dell’umanità.
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Anna Pascuzzo: Il rispetto per ogni vivente è alla base della nonviolenza.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, compresenza, convivenza, scelte di vita comunitarie: quali implicazioni e conseguenze?
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Massimo Grandicelli: Vedi la risposta precedente.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza, riconoscimento dell'altro, principio responsabilità, scelte di giustizia, misericordia: quali implicazioni e conseguenze?
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Massimo Grandicelli: Nonviolenza non necessariamente comporta un unico modello di riferimento all’interesse generale. L’importante è che il “range” di scelte permanga nell’area della nonviolenza; le scelte di vita poi differenziano il grado di riferimento “all’altro”, che può essere maggiore o minore a seconda della propria disponibilità. I casi estremi di annullamento di sè a favore di un altro mi sembrano ricadere nella violenza a sé stessi.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza come cammino: in quale direzione?
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Massimo Grandicelli: Il concetto di fondo è quello di “Amore per il tutto”.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Nonviolenza e internet: quale relazione? e quali possibilità?
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Massimo Grandicelli: Internet è uno strumento. Importantissimo per allargare l’area di coinvolgimento.
Paolo Arena e Marco Graziotti: Potrebbe presentare la sua stessa persona (dati biografici, esperienze significative, opere e scritti...) a un lettore che non la conoscesse affatto?
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Antonio Vigilante: Sono nato a Foggia, dove vivo, nel '71. Insegno scienze sociali nei licei e collaboro con l'università di Bari. Circa dieci anni fa ho cominciato a studiare con qualche sistematicità la nonviolenza ed i suoi problemi. Ho cominciato scrivendo un libro su Capitini, La realtà liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini (Edizioni del Rosone, Foggia 1999), poi una presentazione d'insieme del pensiero nonviolento (Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004), infine due libri su Gandhi: nel primo, Il Dio di Gandhi. Religione, etica e politica (Levante, Bari 2009), analizzo criticamente le sue convinzioni religiose, mentre nel secondo, La pedagogia di Gandhi (Edizioni del Rosone, Foggia 2010), studio le sue convinzioni e le sue pratiche educative. Attualmente sono impegnato in uno studio su Danilo Dolci.
Ho un blog personale all'indirizzo: http://minimokarma.blogsome.com
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Massimo Grandicelli: Ho 67 anni suonati e sono pensione. Nella vita sono stato dirigente in una grande istituzione, nell’ambito della quale ho avuto la fortuna di condurre i progetti più complessi e decisivi di informatizzazione. Sono stato sposato 16 anni e ho avuto tre figli, ora molto grandi (da 36 a 42 anni) e ho due nipoti. Ora sono separato da 27 anni, ma dopo alcune vicissitudini, mantengo una relazione importante, che però non implica la convivenza. La mia preparazione scolastica include il corso d’ingegneria alla Sapienza, dal quale ho dovuto ritirarmi prima della laurea per una serie di disgrazie familiari. Non ho però mai smesso di studiare e leggo moltissimo, quasi sempre saggi di pressochè tutto il campo scientifico, economico, legale e politico; oltre a riviste come “Le Scienze”, “Limes”, “Micromega”, "JP4 Aeronautica", "Volare", "La Rivista Aeronautica Militare", "Meteorologia", e qualche altra, oltre a due quotidiani. Mi orizzonto quindi bene in fisica, ingegneria, matematica, astrofisica, logica formale, biologia, genetica, paleontologia, scienze del linguaggio, economia, diritto, ecc.; non per questo disdegno il campo umanistico e il libro presente costantemente sul mio comodino è la Commedia di Dante. Raramente però leggo romanzi. Il mio patrimonio bibliotecario è di circa duemila unita’, più i quasi mille che ho lasciato nella casa dove tuttora vive la mia ex-moglie. Quando ho tempo pratico l’arrampicata in montagna, sia su roccia che ghiaccio, lo sci-alpinismo; poi l’escursionismo spinto come forma di allenamento al dislivello e alla fatica continua. Sono in possesso dei brevetti di pilotaggio e pratico il volo acrobatico proprio a Viterbo. In gioventù e fino ai 50 anni ho anche esercitato molto l’immersione subacquea, con autorespiratori e senza, lasciando poi per ovvie esigenze di tempo. Sono alto 180 cm e peso 68 chili (dovrei perderne un paio per essere al meglio in montagna). Mangio poco (una volta al giorno) e bevo (pochissimo) solo in rare occasioni. Non fumo (ho smesso prima dei 28 anni), nè faccio uso di droghe e non ricorro mai ai medicinali per alcuna ragione, tranne ovviamente i casi eccezionali, come quando quattro anni fa dovetti ricorre a un antinfiammatorio. Oltre ai miei tre figli ho avuto la fortuna di incidere positivamente su due giovani, uno a 18 anni e l’altro a 27, oggi uno quarantunenne e felicemente pilota di lungo raggio, mentre l’altro, trentanovenne, è guida alpina, e con i quali intrattengo una splendida amicizia “alla pari”, che illumina la mia inevitabile decadenza. Spero basti cosi’.
Aggiungerei all'intervista: Si’; un concetto di minimizzazione del bisogno, che troppo spesso è alibi per le forme più occulte e subdole di violenza.
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Anna Pascuzzo: Metto a disposizione alcuni dati estratti dal mio curriculum: nata a Catanzaro nel 1974, laurea in Lettere Moderne con indirizzo psicopedagogico (tesi di laurea sul "Ruolo dell’educazione nella formazione alla diversità"), vari titolo post-laurea; tra le pubblicazioni scientifiche il libro informativo sulla legge 194/1978, pubblicato nell’ottobre 2009 con il patrocinio della Commissione per le Pari Opportunità di Catanzaro "Io consapevole, io libera”; docente nel corso per mediatori transculturali promosso dall’Asp di Catanzaro, e referente sulla metodologia di accoglienza presso i centri antiviolenza delle donne abusate; docente e relatrice sulla violenza ai minori e la psicologia infantile nell’ambito del corso per mediatori transculturali; ideatrice e docente del corso di scrittura creativa “Io scrivo” presso gli istituti scolastici superiori della città di Catanzaro e associazioni di aggregazione giovanile, componente della Commissione per le Pari Opportunità del Comune di Catanzaro (dal 6 giugno 2007); fondatrice del movimento antirazzista di Catanzaro (nato il 4 ottobre 2008); autrice e interprete (dal 2007) della lezione-spettacolo “Contro i diritti negati” per gli allievi degli istituti scolastici di primo e secondo grado; autrice dei romanzi: “Storia d’amore, di lotta e libertà” e “Le colonne di Emma” pubblicati rispettivamente nel 2006 e nel 2008 dalle case editrici Rubbettino e Altromondoeditore; autrice e interprete del testo teatrale “Contro i diritti negati” premiato da Amnesty International come migliore spettacolo sui diritti umani nell’anno 2008...
Note biografiche degli intervistati:
Fredo Olivero: Don Fredo Olivero è in Italia una delle figure più autorevoli dell'impegno di solidarietà, di pace e di nonviolenza; è stato per molti anni responsabile dell’Ufficio “Stranieri e Nomadi” del Comune di Torino, ed è direttore dell’Ufficio Pastorale Migranti dell’Arcidiocesi di Torino e direttore di Migrantes Piemonte/Valle d’Aosta; coordina stabilmente i centri di ascolto e accoglienza della Caritas-Migrantes e le attività della Pastorale. È autore di molte utilissime pubblicazioni.
Francesco Comina: Coordinatore del Centro per la pace del Comune di Bolzano, è stato uno dei principali punti di riferimento in Italia della campagna di sostegno al sì al referendum brasiliano per proibire il commercio delle armi. Giornalista e saggista, pacifista nonviolento, è impegnato nel movimento di Pax Christi; nato a Bolzano nel 1967, laureatosi con una tesi su Raimon (Raimundo) Panikkar, collabora a varie riviste.
Crispino Scotolatori: Personalità vicina al Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo
Antonio Vigilante: È nato a Foggia. Insegna scienze sociali nei licei e collabora con l'università di Bari. Da circa dieci anni studia con sistematicità la nonviolenza ed i suoi problemi. Ha cominciato scrivendo un libro su Capitini, La realtà liberata. Escatologia e nonviolenza in Capitini (Edizioni del Rosone, Foggia 1999), poi una presentazione d'insieme del pensiero nonviolento (Il pensiero nonviolento. Una introduzione, Edizioni del Rosone, Foggia 2004), infine due libri su Gandhi: nel primo, Il Dio di Gandhi. Religione, etica e politica (Levante, Bari 2009), analizzando criticamente le sue convinzioni religiose, mentre nel secondo, La pedagogia di Gandhi (Edizioni del Rosone, Foggia 2010), studiandone le sue convinzioni e le sue pratiche educative. Attualmente è impegnato in uno studio su Danilo Dolci. Ha un blog personale all'indirizzo: http://minimokarma.blogsome.com
Anna Pascuzzo: Docente nel corso per mediatori transculturali promosso dall’Asp di Catanzaro, e referente sulla metodologia di accoglienza presso i centri antiviolenza delle donne abusate; docente e relatrice sulla violenza ai minori e la psicologia infantile nell’ambito del corso per mediatori transculturali; ideatrice e docente del corso di scrittura creativa “Io scrivo” presso gli istituti scolastici superiori della città di Catanzaro e associazioni di aggregazione giovanile, componente della Commissione per le Pari Opportunità del Comune di Catanzaro (dal 6 giugno 2007); fondatrice del movimento antirazzista di Catanzaro (nato il 4 ottobre 2008); autrice e interprete (dal 2007) della lezione-spettacolo “Contro i diritti negati” per gli allievi degli istituti scolastici di primo e secondo grado; autrice dei romanzi: “Storia d’amore, di lotta e libertà” e “Le colonne di Emma” pubblicati rispettivamente nel 2006 e nel 2008 dalle case editrici Rubbettino e Altromondoeditore; autrice e interprete del testo teatrale “Contro i diritti negati” premiato da Amnesty International come migliore spettacolo sui diritti umani nell’anno 2008...
Wanda Tommasi: Wanda Tommasi è docente di storia della filosofia contemporanea all'Università di Verona, fa parte della comunità filosofica di "Diotima". Tra le opere di Wanda Tommasi: La natura e la macchina. Hegel sull'economia e le scienze, Liguori, Napoli 1979; Maurice Blanchot: la parola errante, Bertani, Verona 1984; Simone Weil: segni, idoli e simboli, Franco Angeli, Milano 1993; Simone Weil. Esperienza religiosa, esperienza femminile, Liguori, Napoli 1997; I filosofi e le donne, Tre Lune, Mantova 2001; Etty Hillesum. L'intelligenza del cuore, Edizioni Messaggero, Padova 2002; La scrittura del deserto, Liguori, Napoli 2004; Maria Zambrano. La passione della figlia, Liguori, Napoli 2007
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Paolo Arena e Marco Graziotti, dell'Associazione "Viterbo oltre il muro", che opera nell'ambito della formazione alla nonviolenza, hanno proposto singolarmente agli intervistati queste domande.
Come Accademia Apuana della Pace, nel pubblicare queste interviste,abbiamo deciso di raggrupparle , in modo da permetterne, nella lettura, un confronto tra le diverse posizioni.
Fonte: Centro di Ricerca per la Pace di Viterbo
Altre interviste di Paolo Arena e Marco Graziotti pubblicate sul sito: