Il tema della libertà in Rete attraversa il mondo, mobilita ovunque il popolo di Internet e oggi troverà una sua particolare manifestazione a Roma con una "notte bianca" per protestare contro un provvedimento dell'Autorità per la garanzia nelle comunicazioni in materia di diritto d'autore.
Provvedimento che potrebbe essere approvato domani. Il punto chiave della delibera riguarda il potere che l'Agicom assumerebbe di oscurare, anche in via cautelare, con un semplice procedimento amministrativo e senza le necessarie garanzie, l'accesso a siti e servizi web per presunte violazioni del diritto d'autore.
Bisogna dire subito che il modello tradizionale del diritto d'autore sta strettissimo alla rete, ne ignora le caratteristiche. Un legislatore consapevole dovrebbe in primo luogo prendere atto di questo dato di realtà, partire dalla premessa che la Rete è un luogo di condivisione del sapere, che il diritto di manifestazione del pensiero ha trovato strade nuove, sì che provvedimenti puramente repressivi legati ai vecchi schemi concretamente possono diventare uno strumento che, con il pretesto della tutela del diritto d'autore, introducono una nuova e inammissibile forma di censura.
Non si nega la necessità di dare tutele alla creazione artistica, di perseguire i comportamenti illegali. Ma non si può entrare nel futuro con la testa rivolta al passato. Abbarbicati a un modello di diritto d'autore di cui pure i liberisti contestano ormai l'efficienza, non vogliamo renderci conto che oggi il vero tema è quello che Lawrence Lessig ha chiamato "il futuro delle idee" nel tempo di Internet, legato alla diffusione delle tecnologie digitali, alla generalizzazione delle pratiche di condivisione del sapere, alle nuove modalità di creazione rese possibili dalla Rete. E ricordiamo pure che due anni fa il premio Nobel per l'economia è stato attribuito a Elinor Ostrom proprio per i suoi studi sulla conoscenza come bene comune, e che qualche settimana fa all'Onu è stato presentato un documento che definisce l'accesso a Internet come un diritto fondamentale d'ogni persona.
Da qui bisogna partire, come fa, ad esempio, il "programme numerique" appena presentato dal Partito socialista francese, che indica come obiettivi l'abrogazione della legge Hadopi (che ha finalità censorie analoghe a quelle della delibera dell'Agicom), la fine della "guerra alla condivisione" dei contenuti presenti su Internet, l'accettazione dello scambio dei beni culturali al di fuori del mercato, nuove forme di gestione dei diritti degli autori. Si condividano o no questi obiettivi, e le specificazioni che li accompagnano, è comunque evidente che si impone un cambiamento di registro per affrontare il tema della conoscenza in Rete, partendo proprio dalla premessa che siamo di fronte alla necessità di inventare nuove forme giuridiche, come già sta avvenendo, ad esempio attraverso la possibilità dell'autore di gestire la propria opera con la tecnica dei "creative commons" (cinque milioni di casi anche in Italia).
L'Agicom deve prendere atto di tutto questo, rinunciando alla frettolosa approvazione di regole censorie e aprendo una vera consultazione in materia. Ma il punto centrale di una vera riflessione collettiva deve essere un altro e partire da un interrogativo molto semplice. Si può ammettere che in una materia cruciale per l'assetto delle libertà e dei diritti, per lo sviluppo complessivo e le dinamiche della società, le regole vengano da una autorità indipendente? Questo è materia di stretta competenza del Parlamento, che non può sfuggire ad una responsabilità davvero di natura costituzionale. Inammissibile, comunque, è la pretesa di imporre sanzioni con un semplice provvedimento amministrativo quando sono in questione diritti fondamentali, cancellando una competenza propria della magistratura, come prevede la Costituzione e come ha ricordato in Francia il Conseil constitutionnel, dichiarando illegittima una norma che affidava ad una autorità amministrativa, e non ai giudici, la competenza in materia.
Non possiamo dire che la libertà in Rete è un bene prezioso, con una scappellata alle primavere arabe, e poi accettare spensieratamente logiche che possono ridurre al silenzio chi si esprime su Internet.
Dal quotidiano "La Repubblica" del 5 luglio 2011