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La riscoperta di Danilo Dolci (Salvatore Ferita)

Dall'edizione palermitana del quotidiano "La repubblica" del 15 ottobre 2007, col titolo "La missione di Danilo Dolci. La riscoperta di una lezione" e il sommario "Uno spettacolo teatrale, un documentario, la ristampa di libri e la visita dei suoi collaboratori svizzeri: il boom del sociologo a dieci anni dalla morte".
Notizie minime della nonviolenza in cammino, n. 443 del 2 maggio 2008 
Nessuno forse l'avrebbe detto: a dieci anni dalla morte di Danilo Dolci, il triestino che negli anni Cinquanta scelse la Sicilia povera e disperata per la sua battaglia a favore del lavoro, del pane e soprattutto della dignità umana, le iniziative per rievocarlo si moltiplicano di giorno in giorno. Un sipario di silenzio e ostracismo era infatti calato sul magistero di Dolci dopo la sua morte.

Ma solo in apparenza, almeno in Sicilia: in realtà, grazie agli sforzi spesso sotterranei di Amico Dolci, musicista, figlio di Danilo, responsabile del Centro per lo sviluppo creativo intitolato al sociologo, e di Giuseppe Barone, autore del libro “La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo biografico di Danilo Dolci” (Dante & Descartes, 2004), cui si deve tra l’altro la cura di un volume fresco di stampa, intitolato Una rivoluzione nonviolenta (Terredimezzo editore), accuratissima scelta di interventi di Dolci e di un'antologia che alla fine dell'anno vedrà la luce per i tipi di Mesogea (Ciò che ho imparato e altri scritti), il discorso e la riflessione sul sociologo triestino non sono mai stati interrotti.

Vengono in mente, a questo proposito, le parole di Erich Fromm: "Se la maggioranza degli individui non fosse così cieca davanti alla vera grandezza, Dolci sarebbe ancora più noto di quello che è. È incoraggiante tuttavia il fatto che sono già molti coloro che lo capiscono: sono le persone per le quali la sua esistenza e il successo della sua opera alimentano la speranza nella sopravvivenza dell'uomo".

Tra queste persone c'è sicuramente Renato Sarti, che ha scritto col regista Franco Però il testo del dramma teatrale "È vietato digiunare in spiaggia", che andrà in scena oggi al teatro Valle di Roma.

Dramma che gira attorno al processo che Dolci e i suoi compagni subirono nel 1956 per aver fatto uno sciopero alla rovescia. "Tutto è nato - spiega Sarti - dalla sensazione che di Danilo Dolci si siano perse le tracce oggi in Italia. È un grosso errore, dal momento che le sue provocazioni, le sue battaglie concrete, i suoi modi di vedere i problemi, non sono legati a un tempo passato. Riscoprire ora questo apostolo controverso, a dieci anni dalla sua scomparsa, è necessario poiché è necessario cercare le voci che possono indicarci modi diversi per affrontare la nostra realtà. Lo spettacolo prende le mosse da un fatto preciso, da una forma di protesta senza precedenti. Per ribellarsi contro la mancanza cronica di lavoro, avendo ben chiaro nella mente ciò che recita l'articolo 4 della nostra Costituzione, Dolci assieme ai disoccupati di Partinico, Trappeto e Balestrate decise di ripristinare una strada pubblica di campagna, oramai in disuso. Otto ore di lavoro gratuito, per dimostrare la volontà di lavorare di quelli che venivano definiti banditi".

Il passaggio fondamentale del dramma, che ha come voce narrante quella di un cantastorie, riguarda l'arringa del grande giurista Piero Calamandrei, il più famoso dei difensori degli scioperanti, che in teatro verrà letta da attori d'eccezione come Fausto Bertinotti, Gherardo Colombo, Gian Carlo Caselli. Nel proemio, così Dolci viene presentato: "... Decisi di purtari 'n Sicilia la so stazza. / Ai poveri braccianti dal tempo addummisciuti / ci vosi regalari coscienza e libertà".

"Quasi all'inizio del suo discorso difensivo - aggiunge Renato Sarti - Calamandrei si chiede dove sia il delitto, in che cosa consista, chi lo abbia commesso. Non a caso, sono sempre le parole del giurista, il banco degli imputati e quello dei difensori sono così vicini, fino a parere un banco solo. Dove sono gli imputati e dove i difensori? Qui, in realtà, o siamo tutti difensori o siamo tutti imputati. Sono convinto che in quel processo si rispecchiano tante delle strade seguite da Dolci e tanta parte, negativa soprattutto, del nostro Paese".

Ma questo è solo l'inizio: a Palermo, da qualche giorno, sono state avviate le "Giornate delle creature dedicate a Danilo Dolci, a dieci anni dalla scomparsa" (ideazione e cura di Daniele Moretto), che prevedono, tra le altre cose, laboratori maieutici, seminari, conferenze. Il primo dicembre, sempre in città, inizierà la "Festa per i giovani", organizzata dall'Arci e da altre associazioni. La giornata inaugurale sarà dedicata a Dolci, con la presentazione del libro Una rivoluzione nonviolenta e la proiezione di un docufilm di Alberto Castiglione.

E sempre in occasione del decennale della morte, è da poco arrivata in Sicilia una delegazione del comitato svizzero "Danilo Dolci", formata da alcuni tra i più importanti e duraturi collaboratori del Centro studi e iniziative di Danilo Dolci all'estero, sin dalla fine degli anni Cinquanta, i quali si sono in particolare impegnati, anche con notevoli sforzi finanziari, nella progettazione e costruzione del Centro educativo di Mirto dal 1970 in poi, partecipando a tutte le iniziative ad esso connesse.

La delegazione svizzera visiterà i luoghi legati all'attività del sociologo triestino: Partinico, Trappeto, e incontrerà prima gli studenti e i docenti del Liceo "Danilo Dolci" nel quartiere Brancaccio, e poi Rita Borsellino. Tra i membri della delegazione, c'è Rolf Maeder, il traduttore di tutte le opere di Danilo Dolci in tedesco. Tutto è cominciato con la traduzione delle poesie di Danilo, per sua espressa richiesta. Ne è nata un'antologia bilingue, dal titolo Poema umano. Der Menschen Gedicht. Fu un incontro fulminante: Rolf ebbe infatti modo di frequentare Danilo non solo sui libri, ma anche personalmente, in diverse occasioni. È stato la voce di Dolci in Svizzera e in Germania: ogni qualvolta infatti Dolci metteva piede in quella parte d'Europa per conferenze, seminari, laboratori maieutici, Rolf Maeder faceva la traduzione simultanea.

"Sono stati momenti di straordinaria intensità - confida Maeder -, di apprendimento continuo: io ho insegnato nelle scuole e quindi per me il problema legato all'educazione, al rapporto con gli altri, è sempre stato centrale. Va però detto che all'inizio, in Svizzera, nei confronti dell'operato di Danilo c'è stato un interesse che riguardava quasi esclusivamente l'aspetto sociologico e quello economico. Noi del comitato, in realtà, ci siamo prodigati affinché potesse essere messo in luce soprattutto il versante filosofico e pedagogico del suo pensiero. Cosa che in realtà ha avuto dei frutti: le università hanno organizzato convegni e simposi. A marzo a Basilea se n'è tenuto uno".

Non sarà stato certo facile tradurre le opere di Danilo Dolci: per via della sua lingua, spesso dalle forti impennate poetiche, a volte sospinta da propulsioni visionarie e profetiche. Per non dire del metodo maieutico: che presuppone la conoscenza della filosofia socratica, aggiornata alla luce di una nuova pedagogia, che parte dall'uomo e non dai libri. "Se avessi tradotto Danilo mettendo mano al vocabolario, avrei fatto un pessimo servizio a lui e soprattutto ai lettori svizzeri e tedeschi. Ho allora fatto ricorso a un linguaggio filosofico che fosse in un certo modo corrispondente, tenendo conto poi della personalità di Danilo, delle sue esigenze riguardo alla comunicazione e all'insegnamento sempre fondate sul rispetto dell'altro, specie se in condizioni di subalternità".

Ma chissà che idea hanno oggi in Svizzera di Danilo Dolci, se circolano ancora i suoi libri, se e quanto il suo nome è conosciuto. Ecco cosa dice in proposito la figlia di Dolci, Daniela, musicista, che oramai da anni vive in Svizzera. "Certo, oggi nell'ambito della comunità scientifica, degli addetti ai lavori insomma, il nome di mio padre è oramai noto. La gente di una certa età sa chi è stato Danilo Dolci e cosa ha fatto. È la gente comune che tra gli anni Settanta e Ottanta ha potuto seguire le sue conferenze. E poi voglio raccontare un'esperienza personale: mia figlia, che studia musica, ha frequentato per tre anni, nella Svizzera interna, una scuola di specializzazione. È stata per lei un'esperienza formativa stimolante. Sono andata a congratularmi col direttore dell'istituto: quando gli dissi per caso che ero figlia di Danilo Dolci, ebbe un sussulto, e commosso mi disse che proprio a mio padre si ispirava per il metodo di insegnamento adottato".