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La rivoluzione cristiana

Questa espressione, lanciata da don Primo Mazzolari in aiuto dell’uomo, oggi fa più paura di ieri

La rivoluzione cristiana di don Primo Mazzolari era, ed è, molto semplice: seguire il Vangelo. Per il Vangelo i poveri sono poveri, i ricchi ricchi, i prepotenti prepotenti, la guerra è guerra, la pace pace, Dio e il nostro prossimo sono da amare, e così siamo da amare noi stessi come figli di Dio: non si possono fare confusioni. Anche in maniera così telegrafica alcuni punti di partenza di questa rivoluzione risultano chiari, non c’è bisogno di distinguo. La parola «rivoluzione» al nostro animo borghese incute paura: figuriamoci, fa già paura la parola «dialogo». Cambiare sì, quando è necessario, ma con calma. Con tanta calma che, poi, non cambia nulla.
E l’ispirazione cristiana? Per spiegarmi, posso servirmi soltanto delle parole di Mazzolari. Ai poveri è sempre stato rubato tutto, per questo sono poveri. Non gli si dà nemmeno la parola. A molti esseri umani vengono a mancare le attese della vita fin dal primo giorno che vedono la luce: naturalmente, non sempre la causa è della mano dell’uomo; ma a questi «poveri nati» siamo obbligati a dare ancora di più e non ci riusciamo (ci riescono alcuni santi). È tutt’altro che facile, dunque, essere rivoluzionari cristiani. Rapinare il cibo, le speranze, la vita al nostro prossimo, invece, è facile. Non si è catastrofisti se lo si ricorda: del resto, ne abbiamo conferma ogni ora su tutti i giornali, le radio e le tv. «I beni che sono prima di noi e senza di noi, appartengono all’uomo, costituiscono il patrimonio dell’uomo», scriveva il parroco di Bozzolo nel gennaio 1949. Usciti da poco dalla seconda guerra mondiale, senza le informazioni planetarie che abbiamo oggi, la frase era tanto naturale da sembrare ovvia o poetica e, comunque, da non farci tanto caso. È invece fondamentale, come il primo articolo di una Costituzione umana globale: «Questo per un senso di naturale rettitudine». In realtà, questo senso di naturale rettitudine non c’è: i beni che sono prima dell’uomo e ci sono senza la necessità del suo lavoro oggi costituiscono il patrimonio soltanto di qualcuno, che tutti gli altri pagano. Sono stati rubati: terra, aria, acqua.

Il fatto è questo: una volta rubati (anche nel concreto quotidiano, e cioè nelle città, nei paesi, a Milano come a Napoli, a Palermo come a Torino) vengono rivenduti, e quelli che sono i legittimi proprietari devono riacquistarli pagandoli con un lavoro straordinario. I ricchi espropriano i poveri. Ecco un motivo - il furto - per cui i ricchi sono ricchi e i poveri restano poveri: la sopraffazione è evidente, eppure sul piano pratico, molti che si dicono cristiani stanno dalla parte dei sopraffattori. Ed ecco un motivo per cui l’espressione rivoluzionaria mazzolariana fa paura a gran parte dei cristiani. Con la sopraffazione si costituiscono le caste. Il Vangelo resta chiuso. Mazzolari? Un poeta.

«Se poi uno ha la grazia di credere in Dio», precisava il sacerdote, «scorge in tali beni una così chiara indicazione, che ci vuole dell’improntitudine per dire: "questo, Dio l’ha dato a me e non ad altri», quando gli altri sono milioni e milioni e non hanno né casa, né pane, né vestito. Nel Vangelo e nell’insegnamento della Chiesa non si trovano le pezze giustificative di così blasfema destinazione dei beni terrestri[...] »

Via tutti i ladri privati e pubblici, soprattutto questi ultimi che, invece di frenare la corruzione privata, la alimentano a dismisura. E tra gli amministratori pubblici che vendono ai privati i beni che Dio ha dato a tutti, migliaia si dicono cristiani, si professano cattolici. La «rivoluzione cristiana» è allora uno scandalo: da rivoluzione spirituale diventa chiaramente anche una rivoluzione sociale e politica, non basta più parlare nei confessionali, ma occorre parlare nelle piazze. Poiché il suo invito alla rivoluzione fa paura, il poeta Mazzolari diventa il sacerdote stravagante, colui che vien fatto tacere.

Mario Pancera

Giovedì, 27 dicembre 2007