Carissima, carissimo,
sono rientrato da poco dal Brasile, dove, dopo alcuni impegni lavorativi, ho incontrato amici e visitato progetti che la nostra Rete accompagna da tempo. Sono capitato in un momento in cui si sta sviluppando una nuova protesta sociale. Gruppi di centinaia di giovani delle periferie, chiamati “Rolezinhos”, che si convocano su internet e, invadono gli Shopping Centers, suscitando paura nei frequentatori abituali, dal momento che arrivano in massa. Ma sono diversi dai manifestanti dello scorso luglio che accusavano il Governo di distogliere i fondi per la scuola, la salute, i trasporti per costruire gli stadi. Oltre a protestare per la corruzione dilagante. Ciò sta suscitando le più disparate interpretazioni a secondo con chi parli. Alcuni, quelli che hanno scelto il neoliberismo come idolo, prostrandosi al Dio denaro e al Dio consumo, con le loro analisi che partono solo dal giudizio, non meritano nessuna considerazione. Essendo di una tale povertà analitica da farmi vergognare per loro.
Mentre c’è chi va al cuore del problema, come il nostro amico e referente Waldemar Boff, che afferma che non si tratta di giovani poveri, delle grandi periferie senza spazi per passare il tempo e la cultura, penalizzati dai servizi pubblici assenti o molto scadenti. Waldemar afferma che i giovani rolezinhos sono la nuova classe media, ossia, le classi C e D frutto della crescita economica grazie alle politiche sociali e educative dei governi Lula-Dilma.
Che cosa si nasconde dietro il loro andare negli Shopping? Che cosa stanno comunicando questi ragazzi con il loro andare in massa nei bunker del consumo, nelle nuove cattedrali, dove puoi entrare solo se sei un “soggetto economico e sociale all’altezza”? Non vanno per fare manifestazioni o per rubare. Sono lì per dimostrare che gli spazi che prima loro non frequentavano, perché frequentati solo dai ricchi benestanti, fanno parte di loro. Perché anche loro possono comprare i “beni simbolo” (scarpe Nike e roba firmata) affinché questa merce possa essere un bene comune, popolare, alla portata degli operai. Il conflitto di classe in Brasile é sempre stato offuscato, tenuto nascosto. Per questo l’élite non gradisce che venga alla luce, per questo usano l’ideologia del”brasiliano cordiale e pacifico”. I gestori degli shopping non hanno niente in contrario che la gente delle periferie li frequenti. Non chiedono che vi arrivino in massa, perché disturba i normali frequentatori, perché rivela il conflitto sotterraneo di classe esistente. I responsabili degli shopping chiedono solo che non si presentino in massa... perché loro gradiscono che ci siano più compratori, indipendentemente dalla classe sociale.
Le nuove classi C e D emergenti costituiscono un capitale economico nuovo da sfruttare, ma manca in loro il capitale culturale, che permetta loro di contestare questo tipo di società, come bene ha scritto la sociologa Valquiria Padilha.
Cercano di rompere le barriere dell’apartheid sociale. E’ una denuncia verso un Paese altamente ingiusto, tra i più disuguali del mondo, organizzato su un grave peccato sociale. La nostra società é conservatrice e le nostre élite altamente insensibili alla sofferenza dei loro simili e, per questo ciniche.
Attualmente in Brasile ci sono 60 milioni di famiglie di cui 5 mila possiedono il 50% della ricchezza nazionale. Siamo in una democrazia senza uguaglianza. I rolezinhos denunciano questa contraddizione. Essi entrano nel paradiso delle merci “visto virtualmente in TV”, per vederle realmente, toccarle con le proprie mani e acquistarle. Ecco il sacrilegio insopportabile per i “padroni e i frequentatori degli shopping.
Di fronte a questi nuovi movimenti sociali di massa emersi nello scorso luglio e, alle ricolte che ne sono seguite, i movimenti cristiani si sono interpellati preparando il 13° incontro delle Comunità Ecclesiali di Base – CEBs, che si è svolto dal 7 all’11 gennaio scorso a Juazeiro do Norte nello stato del Cearà, avendo come tema: “Giustizia e profezia a servizio della Vita”, dove per la prima volta é arrivato un messaggio di condivisione e augurale del papa, riconoscendo nelle CEBs il modo d’essere, antico e nuovo, della Chiesa, una Chiesa che non si stanchi di essere il volto di “una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade”, piuttosto che di “una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze”. Insomma una chiesa dove “il pastore prenda il puzzo delle sue pecore”.
Direi, un’intesa perfetta fra il papa e la comunità, senza nessuno sforzo, come se fosse la cosa più naturale. E la commozione era sul volto di tutti. Mai visto un papa così in sintonia con la gente , fino a identificarsi totalmente con loro, con i loro problemi, con le loro difficoltà, come se fosse uno di famiglia, un padre, un fratello, un amico. Papa Francesco sta superando se stesso.
Le sue espressioni semplici, le immagini popolari di cui il papa si serve per comunicare le sue idee non devono trarre in inganno; si tratta di parole che hanno alla loro base un pensiero solido, preciso, attuale, una convinzione lungamente maturata nella riflessione e nell’esperienza. Di conoscenze profonde, di dimestichezza con i grandi problemi del pensiero e della teologia del nostro tempo.
Ma egli colpisce per il suo linguaggio laico usa nelle sue espressioni. Dove al centro mette la persona umana, l’uomo, tutto l’uomo, tutti gli uomini, dai “rolezinhos” a chi lavora per la Pace, dai movimenti sociali di protesta a quegli di salvaguardia ambientale... Un linguaggio antropologico che sostituisce, almeno provvisoriamente, quello teologico. Così le parole rivolte a tutti, coinvolgono tutti, credenti e non credenti, perché sa molto bene che non tutti i suoi interlocutori hanno una fede e una religione. Ha capito profondamente che quello laico é l’unico linguaggio udibile da parte dell’uomo e delle donne di oggi. L’urlo dei giovani emarginati del Brasile e di tutto il mondo prende sostanza anche dalla “sua” condanna dell’idolo del denaro, che domina i pensieri, gli atteggiamenti e crea gravi ingiustizie. La denuncia di papa Francesco non potrebbe essere più semplice e più efficace. E’ il no più deciso al capitalismo selvaggio, al liberalismo, al mercato senza regole e controlli, che uccide tutti i giorni!
Il papa merita di essere ascoltato. Il suo non è un discorso di tecnica politica, ma un discorso di politica vera, di politica morale. Dove il campo economico è oggi, ancora assai lontano dai principi di giustizia umana e cristiana.
Questo é un tempo di riflessione e di ricerca delle cause profonde del disordine economico e morale che grava sulle nostre società. Ogni uomo, per la sua quota di responsabilità. Credente o no, é chiamato in causa. Si ascolti questo papa e non gli eterni banditori dell’egoismo, veri e unici mandanti della morte di decine di milioni di uomini e donne ogni anno, che stanno distruggendo il tessuto dell’umana società.
E’ a questo punto che Waldemar ed io ci siamo domandati: cosa é che ci fa felici?
Abbiamo concordato sul fatto che, nella società neoliberista nella quale viviamo, l’ideale di felicità è centrato sul consumismo e sull’edonismo. Il che non significa che, realmente, essa sia frutto, come suggerisce la pubblicità, del possesso di beni materiali o della somma di piaceri.
Dalla felicità il discorso è passato all’amore. Cos’è l’amore? Abbiamo deciso di parlare a partire dalle nostre esperienze. E’ stato allora che Waldemar ha riflettuto sul fatto che una delle grandi preoccupazioni del mondo di oggi è che gli straordinari progressi tecno scientifici stimolano una accentuata atomizzazione degli individui, spingendoli a perdere i loro vincoli di solidarietà, affettivi, religiosi, ecc... E che questi vincoli sono sostituiti da altri, burocratici, amministrativi e, soprattutto, anonimi (reti sociali), distanti dalle antiche relazioni affettive tra le persone, unite l’una all’altra sotto il segno dell’uguaglianza e della fraternità, con gli stessi diritti e doveri, indipendentemente dalle disuguaglianze esteriori.
Waldemar ha continuato: ciò che rende una persona felice non è il possesso di un bene o una vita confortevole. E’ soprattutto il progetto di vita che assume. Ogni progetto, coniugale, professionale, artistico, scientifico, politico, religioso, suppone una traiettoria piena di difficoltà e sfide. Ma è appassionante. E’ la passione o, se vuoi, l’amore, che densifica la nostra soggettività. E ogni progetto suppone vincoli comunitari. Se il sogno è personale, il progetto è collettivo.
Gli ho dato ragione. Vivere per un progetto, una causa, una missione, un ideale o anche un’utopia, è ciò che dà senso alla vita. E una vita piena di significato è, anche se colpita da dolori e sofferenze, é ciò che ci dà la felicità.
Saranno felici le 85 persone più ricche del mondo che hanno “accumulato” la fortuna di 1.7 trilioni di dollari, pari al reddito della metà della popolazione mondiale: tre miardi e mezzo di persone. Questo è un dato uscito da Davos (il Forum Mondiale dei paesi ricchi) lo scorso 20 gennaio.Questo dato, purtroppo reale é un grave pericolo sia per l’economia mondiale, sia per la democrazia.
Mentre anche in Italia la forbice si allarga, i 10 individui più ricchi posseggono una quantità di ricchezza più o meno equivalente ai 5 milioni di italiani più poveri (studio Bankitalia).
Antonio Vermigli
Fonte: Rete di Quarrata
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Lettera di febbraio della Rete di Quarrata: riflettendo dal Brasile sulle conseguenze del liberismo
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