Di fronte agli episodi sempre più frequenti di discriminazione razziale si è aperto un dibattito, a mio avviso fuorviante, sul fatto se l'Italia sia o meno un paese razzista.
Proviamo a porci una domanda apparentemente provocatoria: la Germania degli anni 30 era razzista?
A mio avviso la maggioranza dei cittadini tedeschi di allora, e a maggior ragione degli italiani di oggi, non covava un senso di odio e repulsione nei confronti di chi avesse religione, colore della pelle, o credo politico diversi dai propri. Il tema vero fu la reazione di quella maggioranza rispetto al progressivo estendersi di fenomeni sempre più diffusi e violenti di discriminazione, e all'egemonia che gruppi più o meno ristretti cominciarono ad esercitare sul senso comune. Probabilmente chi vedeva ingoiare migliaia di esseri umani dai campi di concentramento e poi osservava piovere cenere sui tetti delle proprie abitazioni, non era razzista, ma semplicemente per paura, quieto vivere, ignavia, preferiva girare la testa dall'altra parte.
In Italia stiamo assistendo ad un fenomeno piuttosto ricorrente: si sta indirizzando una drammatica, diffusa e profonda insicurezza sociale, non sul terreno della giustizia e dell’equità sociale, contro chi negli anni della crisi ha accumulato profitti giganteschi sulle spalle di un mondo del lavoro reso sempre più povero e precario, bensì sul terreno dell'ordine pubblico (vedi le intemerate del Ministro degli Interni contro gli sbarchi, i Rom o i disgraziati che vendono perline sulle spiagge), indicando nel migrante (irregolare o meno poco importa) la causa principale del senso di fragilità che molti cittadini stanno sperimentando da troppi anni. Questa “narrazione” è stata progressivamente legittimata da settori sempre più ampi e importanti dei gruppi dirigenti del nostro paese, diventando in qualche modo egemone. Quindi oggi, come 80 anni fa, sarebbe sbagliato discutere sulla percentuale di razzisti presenti nel nostro paese, oggi, come sempre nella Storia, il nodo vero è quello della reazione della maggioranza rispetto al proliferare di un senso comune fuorviante; il nodo vero è capire se il nostro paese sarà capace di reagire all’ignavia, che come ci ha insegnato il Sommo Dante, rende indegni sia del paradiso che dell’inferno. Io non me la prendo tanto con i pochi razzisti, o i cinici politicanti che per un mero tornaconto elettorale ne cavalchino le pulsioni, bensì con gli ignavi, i pavidi e gli indifferenti che con il loro colpevole silenzio o la loro subalterna accondiscendenza, trasformano quella minoranza in maggioranza.
Per dirla con Gramsci infatti: "L’indifferenza è il peso morto della storia… Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; … è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente.
Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?"
Ecco, certi tornanti della Storia non sono “fenomeni naturali” ma conseguenza diretta di scelte e comportamenti. Fare il proprio dovere denunciando con gli argomenti ed i comportamenti il razzismo, più o meno strisciante, ci eviterà di ascoltare domani l’ipocrita piagnucolio o le oscene bestemmie di chi oggi abbia alzato le spalle voltando la testa dall’altra parte magari con un complice sorriso.