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Manifestando a Tel Aviv contro la guerra (Adam Keller)

Pubblicato su Notizie Minime della nonviolenza, n. 685 del 30 dicembre 2008
Traduzione di Floriana Lipparini dell'articolo di Adam Keller per "The Other Israel" dal titolo  "Guerra a Gaza. È cominciata", datato Tel Aviv, 27, a testimonianza dell'azione dei pacifisti israeliani.

Questa mattina, alcuni di noi si sono alzati  ansiosi di ascoltare il primo notiziario sperando ancora  nell'impossibile. Questa mattina, più di duecento cittadini di Gaza i  cui nomi probabilmente non conosceremo mai si sono alzati senza  immaginare che fosse la loro ultima mattina. E anche nella città di  confine israeliana di Netivot il cinquantottenne Beber Vaknin si è  alzato ed è andato a passeggiare per le tranquille strade del weekend nella sua cittadina natale, senza sapere che molto prima del tramonto sarebbe diventato un numero nelle statistiche...
Il bombardamento e il  massacro sono arrivati come una scioccante sorpresa alle 11,30 del  mattino, anche se non c'era in realtà ragione alcuna di sentirsi  sorpresi. In preda alla rabbia e all'indignazione abbiamo febbrilmente  scritto dure parole di protesta e denuncia e le abbiamo indirizzate a  tutti gli altri attivisti, ai media e a chiunque in Israele e nel mondo  intero fosse possibilmente intenzionato ad ascoltare: "La guerra di  Gaza è una brutale pazzia di un governo in bancarotta", "Barak conduce la sua campagna elettorale per mezzo di stragi da entrambi i lati del confine".
A tempo di record, un incontro di protesta viene suggerito  dalla Coalizione delle Donne per la Pace e velocemente raccolto da  Hadash, da Gush Shalom, dagli anarchici, da Marabut e anche dalla base  di Meretz. Il messaggio si diffonde fra tutti per passaparola, per  telefono, per e-mail, sms e Facebook: "Fermate la guerra. Fermate la  guerra. Troviamoci alle 18 per un'assemblea aperta in piazza della  Cineteca a Tel Aviv. Corteo alle 19,30.
Vieni tu, venite tutti".
Sono  stati contattati amici sia a Gaza sia a Sderot, entrambe sotto le bombe, e da entrambe è arrivato il loro sentito sostegno a ogni  tentativo di fermare la follia. S'improvvisano trasporti da Haifa e  Gerusalemme, e persino dalle città arabe di Tyra e Nazareth alcune  persone vengono a Tel Aviv, nonostante vi siano cortei anche nelle loro  città.
La polizia in qualche modo viene a sapere della cosa. Molto  prima delle 18 la Cineteca è circondata da tutti i lati, polizia  regolare in tenuta antisommossa, reparti a cavallo e un mucchio di  macchine di pattuglia che scaricano agenti in continuazione. "Guardate,  questi non hanno pistole, hanno fucili automatici. Vogliono portare la  guerra anche qui?", sussurra una ragazza con indosso una maglietta  dell'Associazione per i diritti degli animali.
Da una parte, una  dozzina di giovani prepara dei cartelli: "Fermate il massacro", "La  guerra è di Olmert, le vittime sono nostre", "No all'omicidio degli  innocenti", "Noi israeliani diciamo: il governo di Israele commette  crimini di guerra", "Intervento internazionale ora", "Europa ferma la  guerra", "Livni, l'omicidio non è femminista", "Il comandamento dice:  non uccidere".
Uno slogan ripetuto di frequente, "Questa non è la mia  guerra", è scritto in arabo, ebraico, inglese o in una combinazione  dei tre. Nel frattempo, all'interno del palazzo della Cineteca, ha  luogo un evento organizzato molto tempo prima. La comunità dei  rifugiati africani in Israele chiede alle autorità di dare asilo ai  rifugiati e di non deportarli. È arrivata una giovane donna di colore  a parlare dei bambini del Congo, dove sono forzati a lavorare nelle  miniere e a maneggiare materiali cancerogeni. Le circostanze non hanno  permesso di entrare per dare a questa causa l'attenzione che merita.
Alle 19 in piazza della Cineteca ci sono più di mille persone, più di quante ci si potrebbe aspettare in Israele durante le prime ore di una guerra, con la febbre bellica di cui sono responsabili i media  israeliani.
Formati i cordoni e spiegati gli striscioni, i  percussionisti danno il via alla musica, ma la polizia blocca tutte le  uscite. Uno scontro su larga scala sembra inevitabile ma gli  organizzatori gridano: "Fermi, aspettate", e cominciano a negoziare.  Dopo circa venti minuti di tensione, nella meraviglia di tutti, gli  agenti si dividono per lasciar passare i manifestanti. L'accordo con la  polizia è che il corteo si dirigerà verso il Ministero della Difesa  evitando di interferire con il traffico sulla strada principale. Gli  abitanti della normalmente tranquilla via Sprintzak guardano giù dai  loro balconi il flusso in movimento continuo di manifestanti che  gridano: "Ebrei e arabi si rifiutano di essere nemici", "A Gaza e  Sderot i bambini vogliono vivere", "La guerra è un disastro, la pace è la soluzione", "Fermiamo la guerra, torniamo alla tregua", "Facciamo tacere i fucili, salviamo la gente", "Barak, Barak, quanti ne hai  uccisi oggi?", "Le stragi non ti daranno il potere", "Il sangue scorre  per il prestigio dei ministri", "Il sangue scorre per i sondaggi dei  partiti corrotti", "No alla guerra, torniamo alle trattative".
Persino  "No alla guerra, sì alla pace" che di solito suonerebbe come un truismo naif, oggi suona come un messaggio netto e radicale.
Per un  tempo ragionevole la polizia non interviene, ma all'angolo di via Kaplan d'improvviso  una carica a cavallo va direttamente contro la  folla.
Alcune centinaia di metri sulla destra si vedono i cancelli del  Ministero.
"Signore e signori della stampa, il nostro attacco di oggi  su Gaza è stato chirurgico e precisamente mirato", la voce di Olmert  alla radio che alcuni attivisti hanno acceso viene trasmessa dalle  torri dall'altra parte della strada. "Bugiardo, criminale di guerra",  sale un urlo in risposta, e molti giovani cercano di sfondare i blocchi  della polizia ma sono immediatamente trascinati nelle auto delle  pattuglie in attesa.
Va avanti fino alle 21,30, quando si annuncia:  "Abbiamo terminato qui per oggi. Ma continueremo a tornare finché  sarà finita. Chiunque voglia spendere qualche altra ora, può unirsi a  noi per picchettare la stazione di polizia dove sono riuniti i nostri  amici".
Sull'autobus, andando verso casa, la radio fra i vari servizi  di guerra dal sud trasmette una breve notizia sulla manifestazione. Il  numero di partecipanti viene indicato come duecento... Ovviamente è un  servizio ostile, un tentativo di sminuire l'opposizione alla guerra.
Ma  forse non ci si dovrebbe scoraggiare troppo, essendo almeno stati nominati, in un giorno di euforia di guerra orchestrata dai media.