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Mosca, Kiev e i doveri di noi diplomatici

Oggi - come nel primo dopoguerra - domina il bellicismo Ma i ‘Commis de l’Etat’ hanno giurato fedeltà alla Costituzione, non al potere politico. Ecco perché bisogna spiegare che il negoziato conviene. A tutti.

Viviamo un momento delicato della storia occidentale. La guerra è ritornata sul suolo europeo. L’Unione Europea, avendo deciso di partecipare attivamente con l’invio di armi a favore del Paese aggredito, ha dovuto rinnegare le finalità costituzionali che la caratterizzano: la ricerca della pace e della prosperità.

È doveroso per ogni cittadino intervenire se può nel dibattito pubblico ed evitare l’autocensura che rischia di cancellare il ruolo di freno svolto storicamente dall’opinione pubblica di fronte agli eccessi della classe dirigente europea.

Il diplomatico ha l’obbligo di mettere il mestiere, l’esperienza e la competenza a disposizione del dibattito pubblico. La riservatezza è richiesta ed è d’obbligo per chi gestisce un dossier delicato a contatto con l’autorità politica e con accesso alle fonti riservate. Diviene tuttavia ridicola e insopportabile se viene estesa agli altri funzionari che hanno, come tutti i cittadini, il diritto costituzionalmente garantito di libertà d’espressione.

Questa premessa si rende necessaria perché purtroppo molte volte si è fatta una brutta confusione tra i doveri e i diritti di una professione composta da “Commis de l’Etat” che hanno giurato fede alla costituzione e allo Stato, ma non al potere politico.

La guerra in Ucraina ha portato la nostra epoca a somigliare per molti aspetti al periodo che ha preceduto la prima guerra mondiale. Allora come oggi, in società affluenti e libere, la potenza degli Stati e la loro arroganza hanno svolto e svolgono un ruolo nefasto. Nel primo dopoguerra fecero precipitare l’umanità in un abisso di dolore e di distruzione. Allora come oggi il nazionalismo e il riarmo furono e sono considerati valori e obiettivi da perseguire. La retorica bellicista imperversava e imperversa.

Stefan Zweig scrive nell’estate del 1914: “Alla guerra pensavamo di tanto in tanto così come sovente si pensa alla morte, qualcosa di possibile ma ancora lontano”. Gli appelli alla pace di tanti intellettuali, cattolici, liberali e socialisti non furono ascoltati.

Oggi potremmo, come i “Sonnambuli” descritti dal magnifico libro di Cristopher Clark, incamminarci verso lo stesso vicolo cieco dal quale è più difficile fare ritorno, soprattutto se si tiene conto che nell’epoca contemporanea esiste l’opzione nucleare, sconosciuta nel 1914.

Il mantra ripetuto dalle classi al potere in Europa (purtroppo assecondato da tanti analisti sulla stampa occidentale) è costituito dalla ricerca della “pace giusta”, in altre parole dalla sconfitta della Russia. La mediazione è considerata impossibile in quanto entrambe le parti credono ancora di potere avere la meglio l’una sull’altra e non sono disposte a concessioni.

Gli obiettivi massimali sono per l’Ucraina la riconquista di tutti i territori occupati dai russi, inclusa la Crimea; per la Russia sembrerebbe essenziale l’avanzata militare fino a Odessa, in modo da ricongiungere le regioni ucraine occupate alla Transinistria.

In considerazione del massacro di giovani che in Ucraina forse più che in Russia (100.000 da fonti Usa, 250.000 da fonti turche non contraddette dal Mossad) è stato realizzato in maniera funzionale ai menzionati obiettivi, essi più difficilmente potranno essere sconfessati da Kiev come da Mosca. La mediazione tra interessi geo-politici contrapposti, per la quale avremmo voluto l’Europa si attivasse, sarebbe stata facile prima della guerra e forse anche a pochi mesi dall’invasione. La Storia stabilirà a chi va attribuita la responsabilità di aver arrestato gli sforzi della diplomazia.

Anche oggi tuttavia è necessario adoperarsi per giungere rapidamente al negoziato al fine di evitare il massacro dei giovani ucraini e russi, nonché il rischio di un’escalation che potrebbe portare a un conflitto allargato. L’utilizzo del nucleare tattico diverrebbe un’ipotesi plausibile in questo contesto.

Paesi come la Cina, la Turchia, Israele, il Brasile sono stati attenti a incentivare il dialogo tra le parti e alcuni accordi sono stati raggiunti. Il Pontefice è nel campo una voce isolata e autorevole nella quale i cattolici, i cristiani (e non solo) del mondo intero hanno fede. La mediazione del Vaticano infonde fiducia in questi mesi bui.

Per poter pervenire al cessate il fuoco e a contatti diplomatici strutturati tra le parti c’è bisogno di una chiara volontà politica. L’Ucraina, opportunamente condotta alla ragione dagli americani, e la Russia, su cui Cina, Turchia e Brasile possono avere una benefica influenza, hanno ancora molto da guadagnare dalla fine della guerra.

L’Ucraina potrà contare sulla pace e potrà mettere fine alla distruzione del Paese, al massacro delle sue giovani generazioni. Lo sviluppo economico e civile sarà assicurato dal suo avvicinamento all’Europa e dalla neutralità. La Russia potrebbe ottenere invece la neutralità del vicino e non avrebbe le basi militari della Nato ai suoi confini. In avvenire, in una conferenza sulla Sicurezza europea, la stabilità della regione sarebbe da perseguire con il ritiro delle truppe russe, a cui corrisponderebbe la graduale diminuzione delle sanzioni.

Il nodo è rappresentato dai territori contesi. La regolazione del loro statuto, autonomia oppure, dopo referendum gestiti da autorità internazionali, eventuale annessione alla Russia, sarà deciso alla fine di una mediazione complessa che potrà durare anni. Ovviamente il regime dei territori contesi è un obiettivo del negoziato, non una pre-condizione.

L’unica pre-condizione potrà essere la cessazione delle ostilità. La rinuncia a ulteriori conquiste da parte di Mosca e di contro-offensive da parte di Kiev potrebbe innescare un processo di mediazione.

Il ruolo della vecchia Europa (la nuova Europa con Polonia, Scandinavi e Baltici in testa, in accordo con il Regno Unito, porta avanti una strategia bellicista che ha radici profonde nell’humus culturale e politico di questi Paesi) sarebbe essenziale. In linea con le posizioni osservate in passato, i Paesi fondatori della Ue e quelli mediterranei potrebbero adoperarsi per favorire, in un confronto franco e leale con gli alleati americani, la linea più flessibile, di dialogo e di pace, consona agli interessi geo-politici, economici e culturali europei.


*Elena Basile è stata Ambasciatrice d’Italia a Stoccolma e a Bruxelles dal 2013 al 2021, scrittrice di libri di narrativa e commentatrice dell’attualità internazionale, collaborava finora con noi con lo pseudonimo di Ipazia

Fonte: Pubblicato su Il fatto quotidiano il 4 giugno 2023 - https://www.ilfattoquotidiano.it/